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Dopo aver letto tutte le vostre interessantissime considerazioni provo anch'io a fornire un piccolo contributo



- Il fenomeno dell'orario provvisorio va di pari passo con l'italica abitudine a ricorrere al ricorso (la ripetizione è voluta). Si ricorre contro le graduatorie, contro le nomine e sa Dio cos'altro, creando degli enormi ingolfamenti burocratici che sono la cifra principale della pubblica amministrazione italiana.
Per il mio istituto sono io personalmente ad occuparmi degli orari. È un mio limite personale dovuto al mio carattere ansioso, ma non riesco a partire per la pausa estiva, che a dispetto dei luoghi comuni sugli insegnanti è decisamente corta, se prima non ho prodotto un orario funzionante. È chiaro che affinché questo sia possibile è necessario che siano già stabiliti e assegnati definitivamente gli insegnanti e che non ci siano stravolgimenti nel numero delle sezioni. Assicuro però che è possibile avere un orario agibile prima dell'inizio della scuola.
Anche da noi l'orario delle prime due settimane è formalmente provvisorio. Ma raramente è necessario fare più di qualche ritocco marginale.
Aggiungo una nota di colore. Da noi la scuola inizia nella settimana in cui cade il 1° settembre. Quest'anno le lezioni sono iniziate lunedì 29 agosto. A quell'epoca dell'anno le librerie e le case editrici sono ancora chiuse e irraggiungibili. È sempre necessario aspettare (talvolta anche parecchio) per poter ottenere i libri editi in Italia e in uso nelle nostre scuole. Visto che l'editoria italiana sopravvive soprattutto grazie alle edizioni scolastiche, trovo assai bizzarro che non sia mai stato possibile alterare i ritmi di lavoro nelle aziende che producono testi e materiali scolastici. Si sopravvive lo stesso perché per fortuna esistono anche sistemi alternativi e la nostra dipendenza dall'editoria italiana è limitata a poche materie.

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- La preparazione dei docenti: aggiungo un aneddoto capitato a un compagno di scuola di mia figlia alle elementari (circa dieci anni fa) che parlando di Hitler disse che era morto suicida e venne ripreso dalla "maestra" (virgolette d'obbligo) che sostenne che non era possibile data la personalità del soggetto
- Più che la carta igienica siamo ormai al contributo volontario, caldamente richiesto e raccomandato, per cui esiste un apposito percorso dal sito della scuola a quello dei pagamenti della Pubblica Amministrazione.


La scuola italiana è fatta di molta buona volontà da parte di quei pochi che la vivono come una missione e molto menefreghismo da parte di chi la considera una sorta di disturbo necessario ad arrivare al 27 del mese o, peggio ancora, per chi la vive come una punizione del destino che non ha riservato loro un posto nella società più prestigioso e meglio remunerato.
Come ho spesso detto, anche in questa sede. Non è ammissibile che la scuola debba dipendere dalla buona volontà di vi opera in modo eroico. E magari sopportare anche la critica per cui l'insegnamento deve essere una vocazione e quindi l'insegnante è reprensibile se si lamenta e non lavora in modo eroico.


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E il classismo di cui parla Kurtz comincia già nel momento in cui si sceglie la scuola ... ho avuto la fortuna/sfortuna di mandare le mie figlie alla scuola dell'obbligo in quel ghetto per ricchi che è il quartiere di Milano Due a Segrate e se da un lato la fortuna stava nel fatto di avere ottimi insegnanti (a parte quella di cui sopra) la sfortuna è stata quella di conoscere da vicino lo snobismo classista dei genitori che è sfociato in terza media quando facevano a gara per mandarli nelle scuole (pubbliche) più prestigiose al di là di ogni ragionevole dubbio o intenzione del ragazzo. La campionessa di questo sport l'ho sentita con le mie orecchie dire a una cena di fine scuola materna (!) "I miei figli non potranno che andare al Berchet, sennò cosa studiano a fare?"

La cosa che più mi rattrista e che mi spinge spesso a dire alle mie figlie che credo sia il caso di considerare seriamente un loro futuro lontano da questo Paese è che chi si trova a guidarlo non è che non percepisca quest'emergenza nazionale come grave e urgente ma semplicemente fonda il suo perpetuarsi al potere proprio facendo sì che la classe dirigente del futuro sia parte di quella élite che ha accesso a canali formativi diversi e più efficienti di quelli derelitti della scuola pubblica.
In questo caso devi convincere le tue figlie a studiare veramente le lingue, non come fine, ma come strumento. L'unico modo per farlo efficacemente è andare sul posto. Molti miei conterranei hanno maledetto fieramente il fatto che per una minoranza linguistica come la nostra sia quasi inevitabile andare a studiare in tedesco o in francese nella Svizzera interna. Nessuno però si è lamentato a posteriori di essere fluente in una o in più lingue. Il mio narcisismo intellettuale si fa gran vanto d'aver conseguito un master bilingue in Lettere e potendo aggiungere a quelle due anche la terza, che in realtà è la lingua madre.


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E il fatto che la manovalanza non qualificata sia in concorrenza con la manovalanza non qualificata di tutto il resto del mondo è semplicemente parte dello stesso disegno perché tutto ciò che sta al di sotto di una linea di galleggiamento sempre più alta non riveste alcun interesse per chi ne sta abbondantemente al di sopra.
Io vivo nell'hinterland milanese e qui, più che altrove, si ha la netta percezione di come la società italiana sia inesorabilmente viaggiando verso un modello in cui non esisterà più un ceto medio ma soltanto una piccola parte di popolazione indecentemente ricca a cui farà da contraltare una stragrande maggioranza di persone collocate sul pericoloso crinale della soglia di povertà.
L'educazione costa. È un dato di fatto. E una buona educazione costa molto. È chiaro che una scuola privatizzata farebbe girare quantità enormi di soldi, che confluirebbero nell'economia privata. È altrettanto chiaro che alcune visioni politiche e alcune corrispondenti visioni della società vedrebbero di buon occhio questo enorme giro d'affari. Ed è ancora più chiaro che una simile soluzione riporterebbe la società allo stato in cui si trovava prima e durante la rivoluzione industriale. La vera scuola, quella in cui si impara veramente qualcosa e che fornisce competenze veramente spendibili, sarebbe quella per chi può sostenerne i costi, i ricchi, gli altri dovrebbero accontentarsi di una scuola che "forma" manodopera a basso prezzo.
In questo modo però si può subito dire addio alla qualità della ricerca scientifica di quel malcapitato stato e anche al livello delle sue istituzioni democratiche (chiaramente d'ostacolo in un modello scolastico ultraliberista) e della creazione culturale, intesa nel senso più ampio possibile, dal cinema alle canzoni pop, passando dalle orchestre e dai musei.
Possibile che questi, che non sono esattamente dettagli marginali, sfuggano ai più?