Ricordai che un mattino ormai lontano nel tempo avevo trovato un bozzolo nella corteccia di un albero. Nell’involucro era già stato aperto un foro, chiaro indizio che la farfalla si preparava a venire alla luce. Aspettai qualche minuto, ma l’indugio sembrò troppo lungo alla mia impazienza. Allora, curvandomi sul bozzolo, presi a riscaldarlo con il mio respiro per affrettare il miracolo che infatti si verificò di lì a poco, sotto i miei occhi, con rapidità maggiore di quella consentita dalla natura.
Il bozzolo si dischiuse e ne uscì la farfalla: ma quale non fu il mio orrore quando mi accorsi che aveva le ali imperfette, mutilate, e che cercava invano, con frenetici sforzi, di spiegarle. Tentai di portarle aiuto, riscaldando ancora con il mio respiro il misero corpo tremante. Invano. Sarebbe dovuta nascere senza fretta e le sue ali avrebbero dovuto svilupparsi adagio adagio, al sole. Adesso era troppo tardi. Il tepore artificiale del mio alito l’aveva costretta ad apparire prima del tempo prestabilito. Dopo pochi secondi di accanita lotta, la povera farfalla mi morì sul palmo della mano. Quel minuscolo corpicino è, credo, il più greve crimine che pesi sulla mia coscienza. Perché, oggi, mi accorgo che è peccato mortale violare le leggi della natura. Non dovremmo affrettarci, non dovremmo essere impazienti: dovremmo obbedire con fiducia all’eterno ritmo del creato.

Nikos Kazantzakis, Zorba il greco