E la scuola è ricominciata. Dalle nostre parti stiamo concludendo la seconda settimana di lezioni. Gli allievi sono in classe, tutti mascherati ma tutti presenti.

È l'anno terzo dell'istruzione al tempo del COVID. L'ombra delle misure di protezione s'allarga e si restringe in corrispondenza delle ondate pandemiche e sembra che tutto continui a mutare, soprattutto il virus, ma immutabile è la sensazione di perenne emergenza e sempiterna improvvisazione delle autorità mediche e scolastiche.

Intando come misura personalissima dell'aumento generalizzato del grado di follia diffusa, prendo le richieste sconsiderate dei genitori, spesso, ma non sempre, madri nei confronti dei figli e della scuola.

C'è chi chiede di assentarsi ripetutamente per sessioni di "shooting fotografici" (stiamo parlando di allievi di prima media, undicenni!) e con la richiesta mi propongono pure di sottoscrivere un documento in cui attesto che le assenze non ledono l'obbligo di frequenza della scuola. Per non trattare a parolacce una simile genitrice ci vuole un certo sangue freddo, che per fortuna ho saputo matenere.

C'è chi non può assolutamente seguire la lezione di musica strumentale in un orario diverso da quello in cui c'è lezione. Chiaramente è la scuola che secondo la famiglia deve adeguarsi alle esigenze dell'insegnante privato di musica. Che diamine. Mica vorremo tarpare le ali al chiarissimo enfant prodige (che naturalmente se fosse tale sarebbe già inserito in un programma per talenti artistici a livello cantonale).

Poi ci sono gli sportivi: tutti promesse brillantissime, tutti olimpionici, tutti nell'impellentissima necessità di allenarsi o gareggiare in orario di scuola.



Insomma. Credo che una prima grande vittima della pandemia sia la percezione dell'importanza civica dell'obbligo scolastico. Un'altra vittima è il senso della proporzione e della misura e una terza vittoma, forse tra i primissimi compianti caduti del contagio, è il senso del ridicolo.