Pier Paolo Pasolini a Maria Callas, 1969

Cara Maria,
stasera, appena finito di lavorare, su quel sentiero di polvere rosa, ho sentito con le mie antenne in te la stessa angoscia che ieri tu con le tue antenne hai sentito in me. Un’angoscia leggera leggera, non più che un’ombra, eppure invincibile. Ieri in me si trattava di un po’ di nevrosi: ma oggi in te c’era una ragione precisa (precisa fino a un certo punto, naturalmente) ad opprimerti, col sole che se ne andava. Era il sentimento di non essere stata del tutto padrona di te, del tuo corpo, della tua realtà: di essere stata “adoperata” (e per di più con la fatale brutalità tecnica che il cinema implica) e quindi di aver perduto in parte la tua totale libertà. Questo stringimento al cuore lo proverai spesso, durante la nostra opera: e lo sentirò anch’io con te. È terribile essere adoperati, ma anche adoperare. Ma il cinema è fatto così: bisogna spezzare e frantumare una realtà “intera” per ricostruirla nella sua verità sintetica e assoluta, che la rende poi più “intera” ancora. Tu sei come una pietra preziosa che viene violentemente frantumata in mille schegge per poter essere ricostruita di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale della poesia.
È appunto terribile sentirsi spezzati, sentire che in un certo momento, in una certa ora, in un certo giorno, non si è più tutti se stessi, ma una piccola scheggia di se stessi: e questo umilia, lo so. Io oggi ho colto un attimo del tuo fulgore, e tu avresti voluto darmelo tutto. Ma non è possibile. Ogni giorno un barbaglio, e alla fine si avrà l’intera, intatta luminosità. C’è poi anche il fatto che io parlo poco, oppure mi esprimo in termini un po’ incomprensibili. Ma a questo ci vuol poco a mettere rimedio: sono un po’ in trance, ho una visione o meglio delle visioni, le “Visioni della Medea”: in queste condizioni di emergenza, devi avere un po’ di pazienza con me, e cavarmi un po’ le parole con la forza.
Ti abbraccio

Pier Paolo


A Pier Paolo Pasolini.
2 febbraio 1971
(in italiano da un aereo)

Caro, ti scrivo dalle nuvole. Sembra proprio un tappeto bello, soffice da poterci camminare sopra. [...] Cerca di stare bene – cerca di avere pazienza con i deboli tipo Alberto.*
Sai, caro amico, di veri amici veri pochi ne ho trovati–per non dire nessuno. Tu penso di sì–sento di sì–ma il tempo ci mostrerà. E ci tengo alla tua verità e sincerità. Siamo assai legati psichicamente–oso dire come raro si fa in vita. È raro sai ed è bello. Però bisogna che duri. E che cosa è che dura? Finora io so che io sono–ma poi… col tempo–piano piano si vedono gli altri. Alberto non mi ha mai molto persuasa sai–perdonami. Ma mi dispiace per te perché soffri–era un tuo amico. Fa’ però come dice Dante: guarda e passa. Tu sei superiore a loro. So che sono parole e le parole sono parole e basta. Ma pensa a te e la tua salute.

Vorrei avere tue notizie. Le mie sono che avevo preso il volo ma lo spirito comanda no a quando il corpo può. E là il mio corpo m’ha bastonata e forte. Però le tragedie non bisogna farle che sulla scena.
La vita la si fa da noi entro le nostre possibilità. Ora so le mie.
Hai ragione anche chi ha vinto, ha vinto per sempre. Grazie di quelle sacrosante parole. Ma non dispero ancora, sai. [...]

Tua Maria

* Alberto Moravia



In questa foto tratta dal web PP Pasolini e Maria Callas sul set di "Medea"
"Una passione platonica, lei voleva convertirlo all'eterossessualita'" racconta Dacia Maraini.
Fu comunque un' amicizia speciale.