L'infinito viaggiare
di Claudio Magris

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Illuminante ne è la prefazione anche se, come Magris stesso sostiene: "Le prefazioni sono sempre sospette; inutili se il libro che esse introducono non le richiede o indizi della sua insuffi­cienza se esso ne ha bisogno, rischiano pure di guastare la lettura, come la spiegazione di una barzelletta o l'anticipa­zione del suo finale."
Eppure, continua: "forse il prologo si addice a una raccolta di pagine di viaggio, perché il viaggio - nel mondo e sulla carta - è di per sé un continuo preambolo, un preludio a qualcosa che deve sempre ancora venire e sta sempre ancora dietro l'angolo; partire, fermarsi, tornare indietro, fare e disfare le valigie, annotare sul taccuino il paesaggio che, mentre lo si attraversa, fugge, si sfalda e si ricompone come una sequenza cinematografica, con le sue dissolvenze e riassestamenti, o come un volto che muta nel tempo.
La prefazione è una specie di valigia, un nécessaire, e quest'ultimo fa parte del viaggio; alla partenza, quando ci si mette dentro le poche cose prevedibilmente indispensabili, dimenticando sempre qualcosa d'essenziale; durante il cammino, quando si raccoglie ciò che si vuole portare a casa; al ritorno, quando si apre il bagaglio e non si trovano le cose che erano sembrate più importanti, mentre saltano fuori oggetti che non ci si ricorda di aver messo dentro. Così accade con la scrittura; qualcosa che, mentre si viaggiava e si viveva, pareva fondamentale è svanito, sulla carta non c'è più, mentre prende imperiosamente forma e si impone come essenziale qualcosa che nella vita - nel viaggio della vita - avevamo appena notato."

"Il viaggio è anche una benevola noia, una protettrice insignificanza. L’avventura più rischiosa, difficile e seducente si svolge a casa; è là che si gioca la vita, la capacità o incapacità di amare e di costruire, di avere e dare felicità, di crescere con coraggio o rattrappirsi nella paura; è là che ci si mette a rischio. La casa non è un idillio; è lo spazio dell'esistenza concreta e dunque esposta al conflitto, al malinteso, all'errore, alla sopraffazione e all'aridità, al naufragio. Per questo essa è il luogo centrale della vita, col suo bene e il suo male; il luogo della passione più forte, talora deva­stante - per la compagna e il compagno dei propri giorni, per i figli - e la passione coinvolge senza riguardi."
Ecco perché sostiene che il viaggiare è anche: "... una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un’altra."

"Ci sono luoghi che affascinano perché sembrano radicalmente diversi e altri che incantano perché, già la prima volta, risultano familiari, quasi un luogo natio. Conoscere è spesso, platonicamente, riconoscere, l'emergere di qualcosa magari ignorato sino a quell'attimo ma accolto come proprio. Per vedere un luogo occorre rivederlo. Il noto e il familiare, continuamente riscoperti e arricchiti, sono la premessa dell'incontro, della seduzione e dell'avventura; la ventesima o centesima volta in cui si parla con un amico o si fa all'amore con una persona amata sono infinitamente più intense della prima. Ciò vale pure per i luoghi; il viaggio più affascinante è un ritorno, come l'odissea, e i luoghi del percorso consueto, i microcosmi quotidiani attraversati da tanti anni, sono una sfida ulissiaca. "Perché cavalcate per queste terre?" chiede nella famosa ballata di Rilke l'alfiere al marchese che procede al suo fianco. "Per ritornare" risponde l'altro."