Evviva, vedo apparire un amore di gioventù: il TEATRO.
Me ne innamorai al Liceo dove prendevo regolarmente 4 di scritto e 8 di orale facendomi interrogare di Latino o Greco sugli autori.
Poi a teatro ho visto cose meravigliose che voi umani non potreste immaginare. Cito a caso: Arnoldo Foà in Lisistrata nel teatro romano di Ostia, lo Strehler memorabile del Campiello, La tempesta e il Giardino dei ciliegi, Albertazzi negli anni 70, l’Ambleto di Testori, il Re Lear di Ronconi più recentemente come anche cose brillanti come una spassosissima Anatra all’arancia con Lionello e Valeria Valeri. Insomma anni davvero importanti.
Ora, da tempo non vado più a teatro. Pigrizia? Altre cose? Costa troppo? Forse tutto ciò ma soprattutto, mentre per altro sono riuscito credo a modernizzarmi, non sopporto di vedere un Amleto in jeans o scenografie di classici in chiave minimalista/pop/kitsch.
Va bene solo una panchina ed un albero in Aspettando Godot, anzi ora che ci penso l’ho visto così con regia di Job e musiche di Renato Sellani, però non mi sta bene Checov e sedie di plastica trasparente da bar. Ma ancor più grave è che di “classici” non se ne vedono più molti. Commedie musicali quante ne vuoi , piece tratte da film (ma quando mai?) a iosa , monologhi messi su in quattro e quattr'otto e anche qui un conto è Gaber ed altro l’attricetta o il comico televisivo.

Insomma non c’è più il teatro di una volta, signori miei.
Oppure non c’è più lo zio fred di una volta, chissà forse è vero questo.


Comunque mi manca una cosa e la voglio fare nei prossimi decenni: vedere al Globe di Londra ricostruito “Sogno di una notte di mezza estate”, in piedi davanti al palco in mezzo alla plebe vociante, magari mi porto pure una gallina viva che fa tanto scespir del seicento.
Non capirò nulla ma volete mettere che emozione!