16 novembre 2020

QUARANTENA



Nell’ora peggiore della stagione peggiore
dell’anno peggiore di un intero popolo
un uomo partì dalla
workhouse con sua moglie.
Stava camminando – entrambi stavano camminando – verso nord.

Lei era malata per la febbre da carestia e non riusciva a tenere il passo.
Lui la sollevò e la mise sulla schiena.
Camminò così verso ovest e ovest e nord.
Finché sotto stelle gelide al calar della notte arrivarono.

Al mattino entrambi furono trovati morti.
Di freddo. Di fame. Delle tossine di un’intera storia.
Ma i piedi di lei premevano contro il suo sterno.
L’ultimo calore della sua carne fu il suo ultimo dono per lei.

Non lasciate che nessuna poesia d’amore arrivi mai a questa soglia.
Non c’è posto qui per l’inesatta
lode alle facili grazie e alla sensualità del corpo.
C’è solo tempo per questo impietoso inventario:

La loro morte insieme nell’inverno del 1847.
E quello che hanno sofferto. Come hanno vissuto.
E cosa c’è tra un uomo e una donna.
E in quale oscurità essa può essere messa alla più dura prova.



EAVAN BOLAND



(Quarantine, da Contro la poesia d’amore, 2001)



Illustrazione di Ephraim Moses Lilien