Nel 1886 Rodin scriveva così


“Mia feroce amica,
la mia povera testa è ben malata, e non riesco più ad alzarmi la mattina. Questa sera ho camminato per ore senza trovarti nei nostri luoghi. Come mi sarebbe dolce la morte! E com’è lunga la mia agonia. Perchè non mi hai atteso all’atelier? A quale dolore ero predestinato. Ho momenti di amnesia in cui soffro di meno, ma oggi l’implacabile dolore persiste. Camille, mia bene amata nonostante tutto, nonostante la follia che sento venire e che sarà opera tua se tutto questo continua. Perchè non mi credi? Abbandono il mio Salon, la scultura; se potessi andare in un posto qualsiasi, in un paese in cui poter dimenticare ma non esiste…Ma poi in un solo istante sento la tua terribile potenza. Abbi pietà, crudele. Non ne posso più, non posso più passare un giorno senza vederti. Se no, l’atroce follia. E’ finita, non lavoro più, divinità malefica, e tuttavia ti amo furiosamente…”

(e la lettera prosegue, una delle più lunghe e struggenti anche se di fatto Rodin abbandonò Camille).


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