"Fotografo le ferite del mondo e l'Uomo è sempre al centro".
Al Santa Maria della Scala di Siena aperta la mostra "In viaggio intorno all'Uomo" di Steve Mc Curry, con 200 opere del più famoso fotoreporter in attività.
"Quando scatto le fotografie mi entrano nell'anima - dice - mi interessano le persone".
La mostra sarà visitabile fino al 3 novembre dalle 10,00 alle 19,00.

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"Le persone al centro di tutto"
McCurry racconta le sue foto

"Oggi un'immagine si legge e un titolo si guarda" dice il nuovo sindaco Valentini. Al Santa Maria della Scala di Siena aperta la mostra con 200 opere del più famoso fotoreporter in attività
di LAURA MONTANARI
Lo leggo dopo




Il camminamento in pietra che porta al tempio di Angkor (Cambogia) è una linea retta, lunga come una strada, la foto ferma il momento di un temporale monsonico, quando i turisti sono tutti scomparsi e tre monaci avanzano solitari, nelle loro tuniche rosse assediate dalla pioggia. Steve McCurry dice che un fotografo "deve saper aspettare". Il "momento" del suo orologio segna la differenza che passa tra uno che scatta fotografie e un grande fotoreporter. "Bisogna sapersi fermare, non avere fretta, guardare".


Poi nella vita capita magari che diventa famoso uno scatto tirato via in fretta a un semaforo di Mumbay, qualcosa che passa all'improvviso: India, anno 1993. Anche lì piove ("amo la pioggia, le luci che crea"), il vetro del finestrino è sigillato, una mano si avvicina, ma non lo tocca, si vedono una donna e una bambina che stanno per chiedere l'elemosina proprio mentre l'auto riparte.
Si intitola "Viaggio intorno all'Uomo" la mostra che si apre oggi a Siena, in Santa Maria della Scala, zona del museo archeologico. Quinta tappa in Italia. McCurry si presenta alla conferenza stampa con le running ai piedi, come un viaggiatore che attraversa il mondo. "Quando scatto, la fotografia mi entra nell'anima" racconta. Forse è per questo che risponde con una impercettibile smorfia alla solita domanda su analogico o digitale: "Mi interessano le persone" taglia corto. Infatti la mostra comincia dai ritratti, il bambino avvolto in una povera coperta, il pastore indiano, comincia


da una macchina che va scandagliare gli sguardi, gli stracci, la pelle sporca di sabbia, il fumo della sigaretta sulla faccia di un minatore. Un po' di Afghanistan, di India, di Pakistan, di Americhe e di altri posti che raccontano l'uomo com'è nella guerra e nella pace, nella paura e nelle ferite. Il mondo da Nord a Sud in duecento fotografie, divise in sezioni tematiche che cominciano con la "scoperta" e finiscono con la "memoria". La mostra, organizzata da Opera Civita Group ("a costo zero per il Comune" sottolinea il rettore dell'Opera del Duomo Mario Lorenzoni) nasce da una collaborazione tra il Comune di Siena, Opera della Metropolitana e SudEst57. E' curata da Peter Bottazzi e Biba Giacchetti, quest'ultima autrice dell'intervista che compone l'ossatura del catalogo ("Steve McCurry/Icons, euro 25) in cui lo stesso fotografo spiega il back stage delle sue immagini più celebri a cominciare dalla copertina del National Geographic della ragazza col velo, Gula Sharbat, presa bambina nel 1984 e ritrovata nel 2002 in Pakistan. "Ho ripensato a lei quasi ogni giorno e quasi ogni giorno mi chiedevo dove fosse finita quella bambina". Ci sono voluti sedici anni per saldare quel vecchio debito di riconoscenza (i suoi occhi verdi così intensi e curiosi resero famoso il fotografo americano, vincitore di numerosi World Press Photo Awards): "Ci siamo ritrovati, ma è stato un incontro senza abbracci". Un momento freddo ed emozionante al tempo stesso, a distanza perché non ci può essere un contatto fisico fra uno straniero e una donna musulmana sposata. Oltretutto Gula ignorava cosa sapesse il mondo di lei ragazza, come quella sua fotografia fosse finita in mille servizi, copertine, fino a diventare un'icona dei nostri tempi. "Oggi una fotografia si legge, un titolo si guarda" ha detto il sindaco di Siena Bruno Valentini e forse ha anche un po' ragione. Le immagini di McCurry sono narrazioni, come quel vecchio che nell'esondazione di Porbandar porta in salvo la sua scassata e arrugginita macchina da cucire: "è diventata una copertina del National Geographic e io sono andato a ricercarlo per comprargliene una nuova". Sono ferite perenni, come le Torri Gemelle, le esplosioni, le rovine che non hanno patria o torto o ragione e possono stare in mostra nella stessa stanza, ovale, quasi uno specchio, mescolando New York a Hazarajat, Al Ahmadì nei giorni della Guerra del Golfo o Beirut con i bambini che fanno l'altalena sul becco di un carro armato.
Oggi McCurry (ore 11-12 e 16-17), firmerà i cataloghi a Santa Maria della Scala. La mostra resterà aperta fino al 3 novembre (tutti i giorni 10.30-19). Ingresso: 10 euro. Gratis, l'audioguida con la voce di McCurry. Perché è vero che una immagine, come un romanzo o un quadro ha mille e più letture, ma solo chi l'ha scattata può raccontarci da dove è cominciata. Solo chi era lì può dire che quel ragazzo che vende le arance su un'auto della polizia bombardata a Kabul (2003) ha meno di quindici anni: è un inverno durissimo, pieno di guerra e di cecchini agli angoli delle strade. E l'Afghanistan è un posto dove ogni giorno si riparte da zero, con una dozzina di arance e un tappetino disteso su un cofano semisfondato, un niente e così sia.
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