L’ambiente del cinema di New York non era superiore. La cultura, dovevo presto impararlo, non era un requisito per diventare una sofisticata newyorkese, ma, piuttosto, un handicap. I ricchi che di lì a poco mi avrebbero esibita nei ristoranti alla moda, nei teatri e nei night, indietreggiavano come studenti svogliati di fronte al nome di Shakespeare e pensavano a una serata trascorsa al Metropolitan o a un concerto alla Carnegie Hall come a una sofferenza impensabile. Non volendo spettegolare sulle famiglie e gli amici di questi signori dell'alta società e detestando il gioco volgare dei doppi sensi e dei sottintesi sessuali, in società tacevo quasi del tutto. Mi feci presto la fama di bella e scema. E tuttavia a New York devo molto; fu lì, tra l’altro, che scoprii Tolstoj. Hollywood, invece, non è mediocre, ma infernale. Somiglia a un sogno pauroso che a volte faccio: mi sono perduta nei corridoi di un grande albergo e non riesco a trovare la mia stanza. La gente mi passa davanti come se non potesse vedermi né udirmi. Hollywood è la solitudine, non la beata solitudine che si sceglie, ma la desolazione che nasce nel non sentirsi partecipe di quel mondo fasullo. Per una diva cinematografica è terribile essere lasciata sola per un istante. E' il primo segno che sta per imboccare la strada dell'oblio. Hollywood è una catena di montaggio in cui si finge per tutto il tempo.

Louise Brooks