PERSSON PIÙ VERO DI STIEG LARSSON

«Al numero 66 di Karlbersvagen,a Stoccolma, c'è Gunters, il chiosco che vende le migliori salsicce di tutta la Svezia». Ed è proprio da Gunters che, mentre una bella sera di luglio sta per addentare il suo spuntino preferito - baguette senza mollica con salsiccia al pepe fresco, peperoni, senape e cipolla - Lars Martin Johansson, leggendario ex-capo della polizia condannato dall' età alla pensione, avverte una fitta lancinante. E l' uomo che per quarant' anni ha combattuto il crimine sfuggendo infinite volte alla vendetta dei criminali, si risveglia in un letto d' ospedale, messo al tappeto dal nemico più potente e insidioso di tutti: un ictus che lo lascia semiparalizzato e lo costringerà a cambiare vita. Ma quando sei un colosso che si ammazza di saune, stravede per la cucina più grassa del mondo, passa intere giornate a far la posta all' alce selvatica e tracanna quantità impressionanti di birra, cambiare vita è un' impresa quasi disperata. Troppo vitale, o forse troppo ammalato di vitalismo, per arrendersi alle ragioni del corpo, Lars Martin si lascia coinvolgere dalla neurologa che lo ha in cura in un vecchio caso irrisolto, l' atroce omicidio di una bambina commesso venticinque anni prima da un maniaco mai identificato. Incurante dei consigli della moglie e degli amici, il vecchio sbirro ritorna in pista, con il suo caratteraccio, la sua umanità contorta,e ingaggia con l' insospettabile assassino impunito una disperata lotta contro il tempo. Con L' ultima indagine (Marsilio, traduzione di Giorgio Puleo) Leif GW Persson ha fatto incetta di premi. Diciamolo subito: premi strameritati, perché il romanzo è magnifico e Persson si conferma voce, a un tempo, alta, caratteristica eppure anomala nell' inflazionato panorama del poliziesco scandinavo. Un misto di tradizione e innovazione. Da un lato, Persson paga un evidente tributo a Maj Sjöwall e Per Wahlöö. Si deve alla serie imperniata su Martin Beck il marchio di fabbrica che ancora oggi contrassegna il noir del Nord Europa: protagonista collettivo - la polizia - che consente di mettere in scena eroi inquieti e luridi figli di buona donna, progressisti e razzisti, democratici e violenti; critica, sovente aspra, dello stato sociale; aperta diffidenza per il ruolo inquinante della SAPO, i servizi segreti di Stoccolma; perplessità davanti al doppiogiochismo dei politici; pietas per i poveracci stritolati dalle iniquità di un sistema giudiziario sovente balordo e rancore verso i potenti e gli intoccabili. Tutti elementi ricorrenti in Persson. Dall' altro lato, però, Persson si distacca per una particolarità biografica: lui, a differenza di tutti gli altri, o scrittori di professione o giornalisti, è uno del mestiere. È infatti, di formazione, giurista e criminologo, è stato consulente della polizia e dei servizi segreti. Le cose che racconta le ha viste e vissute in prima persona. Ciò gli consente di innervare le sue storie con un elevatissimo tasso di realismo. Se la Lizbeth Salander di Uomini che odiano le donne o l' Harry Hole di Jo Nesbø sono personaggi dichiaratamente sopra le righe, il commissario Johansson è, sì, un grande poliziotto, ma è anche abbastanza "animale politico" da capire quand' è il momento di battere in ritirata. È una persona abituata ad aggirarsi negli arcana imperii (le mammolette non diventano capi di complessi organismi) e proprio per questo, quando vince, ci stupisce più di un super-eroe, e quando perde condividiamo sino in fondo la sua amarezza. E così dicasi per l' altro grande personaggio inventato da Persson, quello di Evert Backstrom, lo sbirro più inetto, vile e cialtrone che si possa immaginare. Tutto ciò che un poliziotto per bene non dovrebbe mai essere. Ma quanti ne incontriamo tutti i giorni come lui? Il collega neghittoso e calunniatore, il fascista livoroso della porta accanto, il capufficio incapace e sadico... Sì, Persson è uno che sa. Nella sua bellissima trilogia "La caduta dello stato sociale", forse avvalendosi di informazioni prese sul campo, fornisce una soluzione possibile del grande mistero svedese, l' assassinio del primo ministro Olof Palme. Ne deriva un potente affresco sulla crisi della democrazia con una verità letteraria, forse liberatoria, che non sarà mai consacrata in nessun atto ufficiale, ma che a noi italiani (all'indomani dell' ennesima inchiesta sulla strage di via Fani) suona familiare. D' altronde, quando nei primi anni Novanta polizia e magistratura andavano appresso alle farneticazioni di Thomas Quick, presunto serial-killer sadico e pedofilo, Persson dichiarò pubblicamente che era tutto un imbroglio. I fatti gli avrebbero dato ragione: il serial killer Quick non era mai esistito. L' aveva inventato di sana pianta un sistema perverso di investigatori e strizzacervelli incapace di distinguere un assassino da un mitomane. Lui, Persson, come il suo caparbio, eppure fallibile e mai eccessivo Johansson, sapeva. Purtroppo, non sempre chi sa riesce a fare. O ha voglia di farlo.
GIANCARLO DE CATALDO