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Discussione: Letteratura greco-antica

          

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  1. #1
    Master Member L'avatar di Sir Galahad
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    Quote Originariamente inviato da Elvira Coot Visualizza il messaggio
    Ciao Sir, io ti leggo! Non rispondo perchè non è la mia materia, ma ti leggo e ti apprezzo.
    Grazie, Elvira!

  2. #2
    Master Member L'avatar di Sir Galahad
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    Archiloco fu soldato mercenario. Si pensa che la sua vita debba essere stata piuttosto breve ; morì in servizio di guerra. Inventore del metro giambico, si guadagnò notorietà presso i contemporanei, e si pensa modello ispiratore per vari dell'epoca artisti: Orazio, Alceo, Saffo, Anacreonte. Le sue opere furono lette e studiate moltissimo e fu considerato da Quintiliano comesommo maestro di stile. Fu, però, criticato da Crizia e da Pindaro per il contenuto delle sue opere ( parlò malissimo di sé stesso) e per il modo di esprimersi ( utilizzando un linguaggio troppo aggressivo)

    Cuore, mio cuore….

    Cuore mio cuore, miscuglio d’insolubili guai,
    torna a galla e a chi ti tratta male tieni testa,
    sistemati nei covi dei nemici e non mollare.
    Se vinci, in pubblico non gloriarti,
    se perdi, in casa a piangere non ti isolare
    Se va bene godi, se va male soffri, ma non troppo
    Impara infine questa musica della vita


    Nome:   220px-Archilochus_01_pushkin.jpg
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    (Archiloco)


    Il lutto funesto Pericle nessuno dei cittadini nè la città biasimando godrà di banchetti. Tali uomini i flutti del mare risonante hanno ingoiato, e noi per il dolore abbiamo i polmoni gonfi. Tuttavia, gli dei contro le sciagure irreparabili hanno posto come rimedio la forza della sopportazione. Ora all'uno ora all'altro capita questo, mentre ora su di noi il male si volge, e lamentiamo una ferita che emette sangue, e di nuovo si scaglierà su altri. Ma forza, sopportate e tenete lontano il pianto proprio delle donne.


    (Archiloco)

    Su Archiloco suggerisco, tra l'altro (essendo in rete), questo studio:
    https://docs.google.com/viewer?a=v&q...FoON-X2OCdVmmQ

  3. #3
    Master Member L'avatar di Sir Galahad
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    Semonide : Poeta giambico della seconda metà del sec. VII
    Di lui ci sono giunti frammenti che contengono considerazioni pessimistiche sulla natura umana
    Conosciutissima è la sua "Satira sopra le donne", ove dimostra una evidente misoginia . In esso, paragona, in maniera quasi sempre spregiativa, alcuni tipi di donne a animali o a elementi naturali (la donna ambiziosa alla cavalla, la donna operosa all'ape, la volubile al mare, ecc.).
    Con quest'opera Semonide si inserisce a pieno titolo nell'aristocrazia del tempo e prende le distanze da esseri viventi che non ne facciano parte: ossìa donne, schiavi e uomini di basso ceto sociale.
    Semonide - adoperando una lingua di chiara dizione omerica - prosegue nel solco metrico tracciato da Archiloco,ma se ne discosta per la minore tensione e violenza espressiva.


    Nome:   220px-Pitagora_da_Reggio_-_Louvre_-_Statua_di_un_suonatore_di_lira2.jpg
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    (Statua marmorea raffigurante Semonide)


    Per la sua indole pessimistica, Semonide fu apprezzato e, quindi, tradotto da Giacomo Leopardi:


    VOLGARIZZAMENTO

    DELLA SATIRA DI SIMONIDE SOPRA LE DONNE
    Traduzione di Giacomo Leopardi


    Giove la mente de le donne e l’indole
    In principio formò di vario genere.
    Fe’ tra l’altre una donna in su la tempera
    Del ciacco; e le sue robe tra le polvere
    Per casa, ruzzolando, si calpestano.
    Mai non si lava nè ’l corpo nè l’abito,
    Ma nel sozzume impingua e si rivoltola.
    Formò da l’empia volpe un’altra femmina,
    Che d’ogni cosa, o buona o mala o siasi,
    Qual che tu vogli, è dotta; un modo un animo
    Non serba; e parte ha buona e parte pessima.
    Dal can ritrasse una donna maledica
    Che vuol tutto vedere e tutto intendere.
    Per ogni canto si raggira e specola,
    Bajando s’anco non le occorre un’anima;
    Nè per minacce che ’l marito adoperi,
    Nè se d’un sasso la ritrova e cacciale
    Di bocca i denti, nè per vezzi e placide
    Parole e guise, nè d’alieni e d’ospiti


    Sedendo in compagnia, non posa un attimo
    Che sempre a vóto non digrigni e strepiti.
    Fatta di terra un’altra donna diedero
    Gli Eterni a l’uomo in costui pena e carico.
    Null’altro intende fuorchè mangia e corcasi,
    E ’l verno, o quando piove e ’l tempo è rigido,
    Accosto al focolar tira la seggiola.
    Dal mare un’altra donna ricavarono,
    Talor gioconda, graziosa e facile
    Tal che gli strani, a praticarla, esaltanla
    Per la donna miglior che mai vedessero;
    Talor come la cagna intorno a i cuccioli,
    Infuria e schizza, a gli ospiti a i domestici,
    A gli amici a i nemici aspra, salvatica,
    E, non ch’altro, a mirarla, spaventevole.
    Qual per appunto il mar, che piano e limpido
    Spesso giace la state, e in cor ne godono
    I naviganti; spesso ferve ed ulula
    Fremendo. È l’ocean cosa mutabile
    E di costei la naturale immagine.
    Una donna dal ciuco e da la cenere
    Suscitaro i Celesti, e la costringono
    Forza, sproni e minacce a far suo debito.
    Ben s’affatica e suda, ma per gli angoli
    E sopra il focolar la mane e ’l vespero


    Va rosecchiando, e la segreta venere
    Con qualsivoglia accomunar non dubita.
    Un gener disameno e rincrescevole,
    Di bellezza, d’amor, di grazia povero,
    Da la faina uscì. Giace nel talamo
    Svogliatamente, e del marito ha stomaco:
    Ma rubare i vicini e de le vittime
    Spesso gode ingojar pria che s’immolino.
    D’una cavalla zazzeruta e morbida
    Nacque tenera donna, che de l’opere
    Servili è schiva e l’affannare abomina.
    Morir torrebbe innanzi ch’a la macina
    Por mano, abburattar, trovare i bruscoli,
    Sbrattar la casa. Non s’ardisce assistere
    Al forno, per timor de la fuliggine.
    Pur, com’è forza, del marito impacciasi.
    Quattro e sei fiate il giorno si chiarifica
    Da le brutture, si profuma e pettina
    Sempre vezzosamente, e lungo e nitido
    S’infiora il crine. Altrui vago spettacolo
    Sarà certo costei, ma gran discapito
    A chi la tien, se re non fosse o principe,
    Di quei ch’hanno il talento a queste ciuffole.
    Quella che da la scimmia i numi espressero
    È la peste maggior de l’uman vivere.


    Bruttissima, scriata, senza natiche
    Né cóllo, ma confitto il capo a gli omeri:
    Andando per la Terra, è gioco e favola
    De’ cittadini. Oh quattro volte misero
    Quel che si reca in braccio questo fulmine.
    Quanti mai fur costumi e quante trappole,
    Come la monna suol, di tutto è pratica;
    E non le cal che rida chi vuol ridere.
    Giovar non sa, ma questo solo ingegnasi
    E tutte l’ore intentamente medita,
    Qualche infinito danno ordire e tessere.
    Ma la donna ch’a l’ape è somiglievole
    Beato è chi l’ottien, che d’ogni biasimo
    Sola è disciolta, e seco ride e prospera
    La mortal vita. In carità reciproca,
    Poi che bella e gentil prole crearono,
    Ambo i consorti dolcemente invecchiano.
    Splende fra tutte; e la circonda e seguita
    Non so qual garbo; nè con l’altre è solita
    Goder di novellari osceni e fetidi.
    Questa, che de le donne è prima ed ottima,
    I numi alcuna volta ci largiscono.
    Ma tra noi l’altre tutte anco s’albergano,
    Per divin fato, chè la donna è ’l massimo
    Di tutti i mali che da Giove uscirono:


    E quei n’ha peggio ch’altramente giudica.
    Perchè, s’hai donna in casa, non ti credere
    Nè sereno giammai nè lieto ed ilare
    Tutto un giorno condur. Buon patto io reputo
    Se puoi la fame da’ tuoi lari escludere,
    Ospite rea, che gl’Immortali abborrono.
    Se mai t’è data occasion di giubilo,
    O che dal Ciel ti venga o pur da gli uomini,
    Tanto adopra colei, che da contendere
    Trova materia. Nè gli strani accogliere
    Puoi volentier se alberghi questa vipera.
    Più ch’ha titol di casta, e più t’insucida;
    Chè men la guardi: ma si beffa e gongola
    Del tuo caso il vicin; chè spesso incontraci
    L’altrui dannar, la propria donna estollere.
    Nè ci avveggiam che tutti una medesima
    Sorte n’aggreva, e che la donna è ’l massimo
    Di tutti i mali che da Giove uscirono.
    Da Giove, il qual come infrangibil vincolo
    Nel cinse al piè; tal che per donne a l’erebo
    Molti ferendo e battagliando scesero.


    (La traduzione della Satira è tratta da Wikisource)

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