Mauro chiaramente la mia non era una critica al tuo ragionamento (che tra l'altro fila) ma solo il mio punto di vista.
Però per contribuire al discorso (senza raggiungere la perfezione stilistica di Zio Fred) credo che la passione per i protagonisti dei gialli sia un discorso empatico che nasce in modo istantaneo e che va aldilà delle ambientazioni. Facciamo il caso di Agatha Christie: io ho amato il personaggio di Poirot sin dalla sua descrizione in Styles Court, Miss Marple non l'ho mai potuta soffrire pur avendo letto quasi tutta la serie (con il sadico convincimento che qualche volta quest'antipatica casalinga inglese avrebbe "perso la partita"). Conan Doyle è uno dei maestri del giallo eppure io non riesco a digerire Sherlock Holmes, Montalbano pur essendo siciliano come me dopo i primi quattro romanzi l'ho preso in antipatia preferendogli di gran lunga il Guerrieri di Carofiglio... per uscire dal mondo dei gialli, Jeeves forse è il maggiordomo più improbabile della storia con i suoi Spinoza, ma credo che sia anche il più geniale personaggio della letteratura del '900 (forse sbaglio tutti i personaggi di Woodehouse sono geniali), ... ora non so perchè il personaggio di Linley mi stia così a cuore ma sin da quando ho iniziato a leggerlo sono diventato un avido lettore della George. Il problema è che mi sta anche simpatico, anche quando ha palesemente torto e i suoi comportamenti sono non irreprensibili, parteggio sempre per lui (errore imperdonabile per un lettore di gialli). Io non riesco ad essere un lettore oggettivo: devo "sentire" le storie e i personaggi, mi devono appassionare, devono suscitare in me delle reazioni, devo vivere con loro nei miei momenti di lettura e questo succede quasi sempre con Elizabeth George (come per Scott Turrow, P.D James, D.W. Buffa, John Lescoart, Mankell). Io ho pianto come un bambino leggendo le ultime pagine di D'Amore e d'Ombra ed ho avuto una crisi quasi di convulsioni leggendo Grazie Jeeves, avrei voluto alleviare le sofferenze di Linley in Nessun Testimone ed ho sofferto con Hans Schnier in Opinioni di un Clown.
Infine una piccola provocazione: ma siamo sicuri che Wallander sia così attinente alla realtà???? A me sembra davvero poco svedese (tanto che Mankell scrive i suoi gialli vivendo fuori dalla Svezia). Wallander è un uomo tormentato, complicato, molto umano, ma geniale nel suo lavoro, non proprio lo stereotipo dello svedese tipico che ci immaginiamo freddo, glaciale, ordinato sul lavoro e metodico con poco spazio alla fantasia.
Un saluto a tutti.
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