Non piangete
Giovanni Falcone,
i vincitori
non si piangono.
Lui scelse la lotta e la morte
per vivere una luce
che non si spegne in un mondo
dove prevalgono le tenebre.
Non piangete
Giovanni Falcone:
non nascose il suo volto
nel fango quotidiano,
non lo fermarono
né minacce, né lusinghe,
perché lui era già
il vincitore.
Non gli importava
sapere l’ora della morte:
era un passaggio obbligato,
una consapevolezza titanica;
i leoni non vanno a morire
con la criniera abbassata.
E mentre lo sdegno
degli Uomini
montava come un uragano
allo scatto
del pulsante assassino,
chissà in quale parte
inimmaginabile
dell’Universo siderale,
Dante e Omero
celebravano
l’apoteosi
di Giovanni Falcone.
Spargete fiori
sul passo del vincitore,
coprite l’autostrada
di ghirlande di lauro.
Giovanni non appartiene
al regno dei morti.
I morti sono la calunnia,
la maldicenza, l’invidia:
piccoli immondi tarli
senza storia,
tare di un mondo
dove la tecnologia
ha retrocesso il cuore
nel Medioevo.
Non piange la terra
che si è nutrita
con il suo sangue,
per partorire germogli
di eternità.
Il vortice del vento
ne carpirà le spore
alla ricerca
di altri suoli fecondi.
Non piangete
Giovanni Falcone.
Voi sì,
madri dei suoi assassini,
voi sì avete diritto
al pianto,
alla disperazione,
a strapparvi i capelli,
a vestirvi di un nero eterno,
a maledire
il vostro latte avvelenato
che li ha nutriti.
Ma non puoi piangere
chi scelse il prezzo
di essere libero!
Fermati
pellegrino del mondo,
fermati accanto
all’autostrada divelta,
fermati all’alba
(non quando tramonta il sole):
ti illuminerai
di miriadi
di germogli splendenti,
tutti con il volto intatto
e immacolato
di Giovanni Falcone.

“Il vincitore” di Nino d’Ambra