Difficile scrivere di Ignazio Silone. L’argomento è talmente vasto da non essere in alcun modo sintetizzabile. Perché Silone non fu solo e semplicemente uno scrittore; fu anche e soprattutto uno degli uomini che contribuirono a fare la storia del nostro paese.
Personaggio scomodo per tanti su tanti fronti, “cristiano senza chiesa e socialista senza partito”, come lui stesso si definiva. Una vita al servizio di una patria che non ha smesso di rinnegarlo neanche dopo morto, una morte lontano dal suo caro Abruzzo.
Ma scrivere di Secondino Tranquilli, alias Ignazio Silone, mi risulta difficile anche per un’altra ragione.
Perché per me è come parlare di un parente stretto. Silone per me rappresenta un’italianità che non esiste più, un mondo di cui in qualche modo sono riuscita ad avere un vago sentore durante la mia infanzia in un paesino di provincia. Al di là di ogni distanza, temporale (quando lui è morto io non ero ancora nata) e geografica (tra Abruzzo ed Emilia).
Io non ho solo letto l’intera sua opera, l’ho studiata con maniacalità, assieme alla sua vita, alla sua vicenda umana. Come se dovessi scriverci una tesi di laurea.
Perciò non pretendo di esaurire l’argomento in un post, per parte mia lo farò un po’ alla volta.
E nel frattempo mi piacerebbe conoscere anche le riflessioni di chi sente di aver qualcosa da dire, qualsiasi cosa, su Silone e su quello che ha scritto.
Ma dovendo pur cominciare da qualcosa, io ho deciso di iniziare dalla fine. Quasi come atto catartico, per liberarmi subito della parte più dolorosa.
Quindi propongo il racconto dei suoi ultimi minuti di vita nella clinica ginevrina in cui era stato ricoverato per l’ennesima volta.
Da sempre soffriva di problemi ai polmoni, in seguito sono subentrati altri disturbi, ma il vero dramma finale è stata la lesione cerebrale che, a seguito di un ictus, ha fatto sì che nell’ultimo periodo fosse diventato agrafico. Il suo cervello continuava a pensare con la lucidità che l’aveva sempre contraddistinto, ma non era più in grado di trasmettere gli impulsi giusti alla sua mano, che così, convinta di trascrivere pensieri di senso compiuto, allineava invece sul foglio un’accozzaglia di parole in libertà senza capo né coda.
E lui non se ne rendeva conto. Una vera beffa del destino per uno scrittore.
Il suo desiderio, espresso in precedenza, era quello di essere cosciente quando fosse arrivata la morte. Voleva essere consapevole nell’ultimo istante, avere giusto il tempo di sapere che stava morendo.
E gli ultimi istanti di vita cosciente di Ignazio Silone nelle parole della moglie Darina ci raccontano che almeno in questo è stato accontentato:

“Ora, cambiato improvvisamente umore verso di me, disse: <<No, non posso mangiare, aspetto che portino anche la tua cena>>. Risposi che forse sarei stata l’ultima ad essere servita, qualcuno deve sempre essere ultimo, quindi che cominciasse. Cominciò, lentamente, svogliatamente, assaggiando appena il cibo, interrompendosi spesso per dire: <<Ma quando porteranno la tua cena?>>.
Gli ripetevo che non avevo fame, di non badare a me. Quando poi la mia cena arrivò, non me ne accorsi. Stava succedendo qualcosa.
Ad un certo momento, con gran cautela egli aveva allontanato da sé il tavolo, sollevandolo appena perché non urtasse il filo del televisore. Non capivo. <<Hai bisogno di qualcosa? Ti posso aiutare?>>.
Non disse nulla. Badando a non rovesciare niente, con grande concentrazione fece un giro di 90 gradi e tornò a sedersi, eretto, nella poltrona. Io stavo immobile a guardare. Era come se si compisse un rito solenne. Ad alta voce, molto chiaramente, scandendo le parole egli disse: <<Maintenant c’est fini. Tout est fini. Je meurs.>>. Poi accostò le mani alle tempie e gemette quattro volte <<Ohh – Ohh – Ohh – Ohh>>.
Quindi chiuse gli occhi e si afflosciò nella poltrona. Lo chiamai disperatamente ma non reagiva. Incredula, dovetti credere alle sue parole. Avrei voluto una parola per me, ma capii di averla già avuta: <<Ma quando porteranno la tua cena?>>.
Ignazio Silone era riuscito, con uno sforzo supremo, a realizzare il suo desiderio: morire con dignità e consapevolezza.
Che in punto di morte abbia parlato una lingua non sua fu un fenomeno, mi disse il medico, unico nella sua esperienza.”


Erano le 18 e 30 del 18 agosto 1978, Silone era entrato in coma profondo. Alle 4 e 15 del 22 agosto 1978 il cuore di Secondino Tranquilli smise di battere. Un mondo in meno.