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Discussione: Letteratura greco-antica

          
  1. #91
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    Laso di Ermione

    Citaredo e compositore di inni agonistici. A Laso si deve l’introduzione del termine harmonia (gamma e logica successione di suoni), nonchè della cetra che permetteva l’introduzione del quarto di tono. A Laso di Ermione vanno ascritte anche numerose "sentenze" (o gnome, espressione brevemente concettosa di una norma morale), dette Lasìsmata.
    Laso fu maestro di Pindaro e diffuse ad Atene il ditirambo in occasione delle feste a Dioniso.Si trattava di una composizione poetica corale, dove danza, poesia e musica erano fusi insieme e tutti e tre indispensabili in ugual misura. Il ditirambo era una danza , anche, collettiva.
    I pochi frammenti pervenuti sono detti "asigmatici", ossìa privi della lettera "sigma" (corrispondente alla nostra lettera esse), perchè considerata da Laso "cacofonica", ossìa produttrice di suoni non armonici, brutti a sentire.

    Laso di Ermione eseguiva misure sulle vibrazioni acustiche . Con tali sperimentazioni scoprì che, variando la quantità di liquido contenuta in un vaso, si potevano ottenere suoni di timbro diverso.

    Propongo questo interessante link sulle teorie musicali ed estetiche di Laso di Ermione:

    http://areeweb.polito.it/didattica/p...io_02/Laso.htm

    Assieme a Laso di Ermione rammentiamo:
    Teleste di Selinunte

    Poeta ditirambico di Selinunte vissuto tra il V e il IV secolo a.C. Quasi niente sappiamo della sua vita. Apprendiamo da Diogene Laerzio che era siciliano e dal Marmor Parium che vinse una gara poetica ad Atene nel 402-401. Dei suoi ditirambi sono sopravvissuti solo pochissimi frammenti.

  2. #92
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    Teleste di Selinunte
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    (faccia, bellissimo reperto archeologico di Selinunte)

    A proposito di Selinunte, città greca della Magna Grecia, propongo questo intyeressantissimo link:

    http://www.selinunte.net/video_tour_it.htm

  3. #93
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    Bacchilide di Ceo (VI-V sec. a.C.)

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    Poeta itinerante, non insensibile al fruscìo del denaro , compose carmi di vario genere.
    La lingua è il dorico, con alcuni jonismi
    Lo stile è elegante, ricco di aggettivi ed epiteti
    I ditirambi hanno struttura dialogica. I carmi hanno spesso carattere erotico ed encomiastico.

    A Siracusa cantò le vittorie di Ierone ,in gara con Pindaro; in polemica con questo, Bacchilide chiamava sé stesso "l'usignolo di Ceo dalla lingua di miele". Morto Ierone, Bacchilide tornò in patria.

  4. #94
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    Bacchilide a Siracusa:

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    (Musicista - forse Bacchilide - con ascoltatrici. Da Wikipedia)

    “Cantami, Clio che doni
    dolcezze, la regina di Sicilia
    fruttuosa, Démetra e Kore con le viole,
    e le cavalle di Ierone, a Olimpia rapide.

    Ché, con l’eccelsa Nice
    d’Aglaia, lungo l’Alfeo vorticoso
    si scagliarono, e là corone meritarono
    di gloria al figlio fortunato di Dinomenide.

    Alla città di Siracusa vuole bene ancora
    Apollo chiomadoro,
    e Ierone, statista giusto, onora”.

    ---------------------------------------------
    Antichità:

    La Pace ai mortali ricchezze suol dare
    E fiori di carmi di lingue mellite;
    Si bruciano a’ Numi sovresso dell’are
    Di pecore e buoi le cosce gradite,
    Che il biondo divora del fuoco fervor.
    E flauti e palestre sudate e banchetti
    De’ giovani sono in pace i diletti,
    Che loro sol scendono soavi nel cor.


    Sui scudi di ferro recinti la tela
    Il ragno distende: la ruggine nera
    Le lance appuntate, le spade già vela
    Aventi a due tagli la lama guerriera,
    Le trombe di rame non s’odon squillar.
    Non più del mio core conforto beato
    Il sonno soave mi viene troncato,
    Banchettasi, e s’odon fanciulli lodar


    (trad.di Achille Giulio Danesi; tratto da Wikisource)

  5. #95
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    Pindaro di Cinoscefale (520 ca - 438 a.C.)

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    Secondo una tradizione, Pindaro fu avviato alla poesia da due poetesse , Mirtide di Antedone e Corinna di Tanagra (di cui la seconda, soprannominata "mosca" per il probabile cicalèccio nell'esprimersi, fu autrice di almeno cinque libri, comprendenti in prevalenza nomoi monodici, "canti da vecchierelle", epigrammi).
    Il periodo più formativo della suavita coincise con un profondo mutamento morale, politico e religioso della Grecia classica, che si avviava a demolire molti dei principi su cui si fondava l’educazione dell’età arcaica. Erano gli anni delle guerre persiane e il mondo greco si avviava a far coincidere Atene comepunto di riferimento per l’interaGrecia classica .

    Poeta itinerante, possiamo leggere oggi le sue opere grazie ai critici alessandrini e all'attività medievale (dato incerto).
    La lingua è il dorico, ma presenta spesso localismi.
    Nel suo stile sono presenti associazioni mentali ardite (i cosiddetti "voli pindarici", che rappresentano ancora oggi il passaggio da un argomento a un altro tramite analogie improvvisate)
    I temi trattati sono l'esistenza umana e il possibile c
    ontatto con il mondo degli dei.
    Le odi Pindariche sono cantate secondo varie occasioni:il momento della vittoria e la celebrazione del vincitore; il racconto di un mito; e poi la riflessione etica (gnóme), che considera l'evento immediato, poeticamente espresso, in una meditazione più generale circa il destino dell'uomo.
    La poesia, per Pindaro, raggiungela perfezione assoluta , l'areté , quando l'individuo eroico si connette al divino, al cosmo (cosmòs). La Poesia definisce la gloria del vincitore nei giochi regionali e Panellenici, esaltando il momento del successo atletico, momento in cui l'eroe consegue la pienezza della sua qualità umana, configurandolo come un mito.

  6. #96
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    PER TEEO DI ARGO LOTTATORE

    ...
    Mutando a vicenda la sorte,
    essi un giorno dimorano presso Zeus,
    il padre diletto; un altro, nelle cavità della terra,
    nei recessi di Terapne,
    compiendo un uguale destino. Questa vita
    scelse Polluce, più che essere in tutto un dio
    e abitare nel cielo, poi che era morto
    Castore in guerra.
    L'aveva trafitto Ida
    irato per i buoi, con la punta della lancia di bronzo.

    Dal Taigeto, spiando, Linceo
    lo scorse acquattato nel cavo
    di un tronco di quercia: ché di tutti i mortali

    egli aveva più acuto
    lo sguardo. Con corsa veloce subito
    lo raggiunsero, e ordirono in breve il grande misfatto.
    Ma dalle mani di Zeus una pena terribile patirono
    gli Afaretidi. Inseguendo,
    giunse presto il figlio di Leda; ed essi si opposero
    a lui presso la tomba del padre.

    Divelta di qui una pietra levigata, ornamento di Ade,
    la scagliarono contro il petto a Polluce; ma non lo schiacciarono
    né lo respinsero. Balzò egli con la lancia veloce,
    e immerse il bronzo nel fianco a Linceo.
    Contro Ida scagliò Zeus il suo fulmine, portatore di fuoco, fumoso:
    insieme essi arsero, in solitudine. Difficile è per i mortali
    lottare coi più forti.

    Sùbito il figlio di Tindaro
    tornò indietro presso il forte fratello:
    non morto ancora, ma per l'affanno
    scosso da rantoli convulsi lo trovò.
    Versando lacrime calde, tra i gemiti,
    gridò: «Padre Cronide, quale rimedio sarà
    ai miei dolori? Ordina anche a me,
    insieme a lui, la morte, o Signore.
    Per l'uomo privato dei suoi cari
    perduta è la gloria: nell'affanno, sono pochi i mortali

    che, fedeli, partecipano alle pene». Così
    disse. Zeus davanti gli venne
    e pronunciò queste parole: «Tu sei mio figlio;
    poi, congiuntosi alla madre tua,
    l'eroe suo sposo stillò
    il seme mortale. Ma orsù, questa scelta
    io ti concedo: se evitata la morte
    e la vecchiezza aborrita,
    tu vuoi abitare con me nell'Olimpo,
    con Atena e con Ares dalla lancia nera,

    è possibile a te questa sorte. Ma se per il fratello combatti,
    e ogni cosa pensi dividere con lui in parte uguale,
    metà del tempo vivrai sotto la terra,
    e metà nelle dimore d'oro del cielo».
    Così parlò. E Polluce non pose alla mente un duplice pensiero:
    sciolse l'occhio e poi la voce
    di Castore dalla cintura di bronzo.

  7. #97
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    Corinna di Tebe

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    PAUSANIA – Descrizione della Grecia 9, 22, 3
    … di Corinna, la quale fu la sola a Tanagra a comporre carmi, c’è, nella parte più visibile della città, un monumento; c’è nel ginnasio una pittura: con una benda Corinna si cinge la testa per la vittoria che riportò a Tebe su Pindaro con il suo canto. Mi sembra che lei abbia vinto in virtù del suo dialetto, poiché cantava non in lingua dorica come Pindaro, ma come potevano comprendere gli eolici, e perché costei era fra le donne di allora la più bella nell’aspetto, se dobbiamo credere al suo ritratto.

    Così si parla di questa poetessa. Di cui, però, conosciamo pochissimi frammenti poetici


  8. #98
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    La lirica anonima
    Di questi periodi fanno parte i cosiddetti canti aninimi, facenti riferimento alla lirica. Si tratta di pochi frammenti e si possono raggruppare in:
    • Carmi conviviali (Carmina convivalia): che i Greci appellavano anche "scoli", da skòlia, tortuoso, storto. probabilmente si chiamavano così perchè i simposiasti inanellavano i versi in modo anarchico, irregolare.
    • Carmi popolari (Carmina popularia): canti che attingevano dalle attività meccaniche, popolari, giornaliere, come la mietitura, la vendemmia; inoltre, filastrocche per bambini, erotici, nuziali.


    Questa fu letteratura "di consumo", per così dire, o "paraletteratura": diffusa tra il popolo, fu interpretata in vario modo dai "letterati" del tempo: queste opere, allora, hannon uno "statuto aperto": ossìa, non mantengono un testo stabile, rigido, ma mutevole col tempo, le occasioni e l'interprete.

  9. #99
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    I Secoli V e IV a.C. vedranno, in Grecia, il fiorire del Teatro, tragico e comico.
    In questi due secoli fiorisce e cresce la meravigliosa pianta del Teatro greco, sostanzialmente ateniese. Fu necessaria, allora, la trasmissione a viva voce nella comunicazione della Poesia, come in genere in ogni altra comunicazione nella Polis. E i luoghi fisici in cui si svolse lo spettacolo teatrale furono le feste religiose, le feste Dionisiache (in Marzo e Aprile). Lo spettacolo teatrale era legato al culto di Dioniso ed era molto apprezzato nella polis: tale spettacolo, organizzato e gestito dallo Stato stesso aveva quindi carattere religioso e politico; la funzione non era quindi di intrattenimento, ma soprattutto didattica (Didakè) nei confronti del cittadino.


    Il Teatro tragico: i temi ivi trattati erano desunti dall'esperienza storica degli Elleni e dal tradursi del Mito; la Tragedia, si può dire, nasce e si sviluppa quando il cittadino della polis si confronta con i grandi temi mitici, quando cioè l'intelaiatura democratica (soprattutto ateniese) rivive i miti eroici, li elabora, li confronta con la vita della polis. L'Eroe del Mito viene messo in discussione, rivestito della problematica che assorbiva il cittadino ateniese, con la sua problematica e il suo mondo reale. Possiamo dire che ne fu eccezione Pindaro, i cui temi si rivolgevano alla conservazione del Mito antico ed all'elevazione della classe aristocratica (Aristòs) moderna: la sua fu poesia di elogio, ma non di discussione, conservando l'alone misterico che avvolgeva ancora gli Eroi del Mito, idealizzandoli. Vedremo lo svolgersi della tematica tragica in seno alla polis.

  10. #100
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    I Temi della Tragedia greca e la funzione del Coro:
    La Tragedia, in Ellade, tratta problemi inerenti alla realtà umana nel suo scorrere quotidiano: così, essa parlerà alla polis di tutto ciò che materialmente e spiritualmente era sentito come urgente dal cittadino: i rapporti umani, le miserie, gli errori, l'amicizia e il tradimento, in un'esposizione oratoria che coinvolge emotivamente lo spettatore e ne lo fa sentire partecipe. La partecipazione alla Tragedia della Polis è rappresentata dal Coro, che colloca l'azione scenica in un sentito contesto storico-sociale. Il Teatro fu, allora, essenzialmente politico perchè in esso si rispercchiavano i sentimenti e la progettualità della Polis attraverso il Logos, o dibattito comune.

  11. #101
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    Eschilo (circa 525 - circa 456 a.C.)

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    Ci giungono sette tragedie integre: Prometeo incatenato, Sette contro Tebe, Coefore e Eumenidi, Agamennone, Persiani, Supplici.
    Il dramma eschìleo è solenne, in genere di tipo corale, con personaggi grandiosi, eroici.
    I temi sono legati ai conflitti culturali della Grecia (da cui il termine Barbari), al significato profondo del Male, del Dolore umano, della colpa e delle responsabilità dell'uomo in esse. In Prometeo incatenato Eschilo ci dice che la catena di colpe che avvolge l'umanità non è mai priva di senso: infatti, solo con la sofferenza si può giungere alla Verità, alla conoscenza di sè e delle vicende umane, al vero senso di Giustizia (pathei mathos, la conoscenza si ottiene attraverso il dolore)
    Di seguito, alcuni brani delle opere eschìlee

    Incipit del Prometeo incatenato:

    Potere: Agli estremi confini eccoci giunti
    già della terra, in un deserto impervio
    tramite de la Scizia. Ed ora, Efesto,
    compier tu devi gli ordini che il padre
    a te commise: a queste rupi eccelse
    entro catene adamantine stringere
    quest'empio, in ceppi che non mai si frangano:
    ch'esso il tuo fiore, il folgorio del fuoco
    padre d'ogni arte, t'involò, lo diede
    ai mortali. Ai Celesti ora la pena
    paghi di questa frodolenza, e apprenda
    a rispettar la signoria di Giove,
    a desister dal troppo amor degli uomini.


    [Eschilo, Prometeo incatenato, traduzione di Ettore Romagnoli]

    Agamennone , PROLOGO


    SCOLTA


    Numi, il riscatto concedete a me
    dei miei travagli, della guardia lunga
    un anno già, ch’io vigilo sui tetti
    degli Atridi, prostrato su le gomita
    5a mo’ d’un cane. E de le stelle veggo
    il notturno concilio, ed i signori
    riscintillanti che nell’ètra fulgono,
    ed il verno e la state all’uomo recano.
    Ed ora il segno aspetto della lampada,
    10del fuoco il raggio, che da Troia rechi
    della presa città la fama e il grido.
    Cosí comanda il cuor che aspetta e brama
    di maschia donna. E intanto, ecco il mio letto,
    irrequïeto, molle di rugiada,
    15né sogno alcuno lo frequenta mai:
    ché non sovrasta a me sonno, ma tema
    ch’io le pupille a sopor greve chiuda.


    E quando intòno — a cogliere un antidoto
    che il sonno vinca — un canto od una nenia,
    io gemo allora, e piango la ventura
    di questa casa, che non è più retta,
    5come già fu, pel meglio. Ed ora giunga,
    giunga felice dei travagli il termine,
    col fausto annunzio del notturno fuoco.

  12. #102
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    Sofocle (497-405 a.C.)

    Allegato 1746

    Di Sofocle, autore di numerosi drammi (ma anche di scritti satireschi), oltre a numerosi frammenti e papiri, ci giungono sette opere intere: Aiace, Antigone, Edipo re, Edipo a Colono, Elettra, Filottete, Trachinie (Le donne di Trachis).
    Quando si leggono le opere di Sofocle, il pensiero va all'eroe tragico, che ci appare come eroe solitario, pensieroso, immerso nell'infelicità della vita, che arreca conflittualità nella lotta per l'esistenza terrena. La costruzione dei drammi è ricca di strutture oppositive (ossimori e antitesi) che sono, in esse, lo specchio dell'essenza conflittuale dell'esistenza stessa. I toni e gli aggettivi sono forti, spesso aspri: in Sofocle si trova quella che sarà chiamata l'ironia tragica, ossia l'artificio per cui, in un momento di apparente calma esistenziale , si declamano atti e parole che preannunciano \una catastriofe imminente.
    I temi delle opere sofoclee sono, quindi, la fragilità esistenziale: per essa, la vita dell'individuo è in balìa alle forze imperscrutabili del Destino e della volontà degli dei; inoltre, troviamo in Sofocle la relazione tra colpa, responsabilità e destino, contrapponendo così le leggi umane (mosse da sentimenti più vari) alle leggi divine (mosse dalla giustizia).

    Incipit di Edìpo re:

    Scena, piazza in Tebe avanti alla Reggia. Edipo re


    EDIPO e un SACERDOTE.
    Altri Sacerdoti, Vecchi, Garzoni, tutti seduti in atto di supplicanti.


    EDIPO.
    O figli, prole del vetusto Cadmo,
    Perchè qui ne venite ad assedervi,
    Recando in man supplici rami? E tutta
    È la città di vaporanti incensi
    E d'inni insieme, e di lamenti piena.
    Ciò d'altri udir non convenevol cosa
    Stimando, o figlii, a voi qui venni io stesso,
    Quel fra voi tutti rinomato Edipo.
    Dillo, o vecchio, tu dunque, a cui s'addice
    Pria di questi parlar: qui che vi trasse?
    Tema o brama di che? Tutto a giovarvi
    Oprar vogl'io. Ben duro cuore avrei,
    Non sentendo pietà di tal consesso.


    Traduzione di Felice Bellotti (1813)(tratto da Wikipedia)

  13. #103
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    da Edìpo a Colono (vv 1224-1238)

    Non essere nati è condizione
    che tutte supera; ma poi, una volta apparsi,
    tornare al più presto colà donde si venne,
    è certo il secondo bene.
    Quando giovinezza non sia più accanto
    con le sue lievi follìe,
    quale mai affanno sta lontano,
    quale mai pena non è presente?
    Invidia, rivolte, contese, battaglie
    e stragi: poi, spregiata sopraggiunge
    estrema impotente intrattabile
    vecchiezza senza amici, dove
    tutti i mali più crudeli coabitano.


    (traduzione di R.Cantarella)

    Trama di Edipo a Colono (da Wikipedia)

    Edipo, ormai mendico e cieco, nel suo vagabondare insieme alla figlia Antigone, arriva a Colono, un sobborgo nei pressi di Atene, in obbedienza ad un'antica profezia che diceva che lì sarebbero terminati i suoi giorni. Gli abitanti del luogo, conosciuta la sua identità, vorrebbero allontanarlo, ma il re di Atene, Teseo, gli accorda ospitalità e protezione. A questo punto Edipo rivela a Teseo che quando i Tebani diverranno nemici degli Ateniesi, la sua tomba preserverà i confini dell'Attica. L’altra figlia Ismene li raggiunge, portando la notizia dello scontro fra i fratelli Eteocle e Polinice, anch'essi figli di Edipo. Secondo un oracolo, la vittoria sarebbe arrisa a quello dei fratelli che fosse riuscito ad assicurarsi l’appoggio paterno. Arriva anche Creonte, re di Tebe, per convincere Edipo a tornare in patria, ma, visto il rifiuto di quest’ultimo, Creonte prende in ostaggio le figlie, che vengono però messe in salvo da Teseo. Giunge poi Polinice, nel tentativo di ingraziarsi le simpatie del padre, ma viene scacciato da Edipo. Infine si manifestano una serie di prodigi divini, che fanno capire ad Edipo che la sua fine è vicina. Egli viene accompagnato da Teseo in un boschetto sacro alle Eumenidi, e lì sparisce per volontà degli dei, dopo aver predetto al re di Atene lunga prosperità per la sua città. Antigone e Ismene vorrebbero correre a vedere il luogo in cui il loro padre ora riposa, ma Teseo le ferma: a nessuno è lecito accostarsi a quel luogo. Le due sorelle si preparano allora a fare rientro a Tebe.

  14. #104
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    Euripide (484-406 a.C.)
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    Di Euripide giungono a noi numerose tragedie, diciassette. Inoltre un dramma satiresco, Il Ciclope.
    Euripide, probabilmente influenzato dalla scuola Sofistica, si presenta come un autore razionale e demistificante, anche nei confronti della religione e del credo irrazionale.
    Le sue tragedie presentano un Prologo in cui un personaggio, Deus ex machina, è l'espositore e il risolutore dei complessi meccanismi che inglobano le vicende umane. Il Coro, con i corifei, è il commentatore unico . Le tragedie, spesso sperimentali e anticonvenzionali, fanno risaltare i problemi intimi connessi con la problematicità dell'esistenza. I personaggi subiscono un processo di umanizzazione, con grande attenzione alla sofferenza umana, al problema degli ultimi, degli esclusi, degli emarginati, delle donne, dei servi, insomma di tutti coloro che più umanamente rappresentano il dolore dell'esistenza umana .
    Euripide ricorre spesso a concetti astratti , come la Sorte, il Destino, per descrivere l'arbitrio cui devono sottostare i viventi.
    Temi euripidei sono: l'amicizia, la guerra e la pace, il diverso e l'escluso dal consorzio umano, la religione.
    Dal punto di vista politico, Euripide aderisce fortemente alle idee pacifiste, per assumere un aspetto di evasione e di disimpegno nella fase più senile.

  15. #105
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    Oreste

    INCIPIT

    ELETTRA: Niuna parola v'è tanto terribile,
    nessuna traversía, nessuna doglia
    suscitata dai Numi, onde non debba
    reggere il peso la natura umana.
    Tantalo infatti, il fortunato – oltraggio
    non faccio al suo tristo destino – il figlio,
    come dicon, di Giove, in aria sta
    sempre sospeso, e temer deve il sasso
    che gli pende sul capo, e questa pena
    sconta, dicon, perché della celeste
    mensa, ei mortale, ebbe l'onore, e freno
    alla lingua non pose: vizio turpe
    quanto altro mai. Costui generò Pèlope,
    e da Pèlope Atreo nacque, per cui
    la Parca, quando gli tessea lo stame,
    la discordia filò, ché con Tieste
    venisse a lotta, col fratello suo.

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