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Discussione: Nel mare ci sono i coccodrilli - Fabio Geda

          
  1. #1
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    Smile Nel mare ci sono i coccodrilli - Fabio Geda

    Anche in questa ..nuova casa vorrei tornare a parlare di FABIO GEDA, e del libro che lo ha portato alla notorietà.
    Libro speciale, perchè derivato da un'esperienza drammatica vera ; Geda ne è stato solo il narratore. qualcuno mi ha chiesto di ri-parlarne, ed io lo faccio con piacere, perchè poche storie mi hanno dato delle emozioni così profonde.

    Fabio Geda (Torino, 1 marzo 1972) è unoscrittore italiano. Vive a Torino. Collabora con La Stampa e altri quotidiani e settimanali, con la Scuola Holden e con il Salone del libro di Torino.
    Qui è con il protagonista del suo libro, Enayatollah Akbari. ( a sx)
    Nome:   geda.jpg
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  2. #2
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    Smile Nel mare ci sono i coccodrilli

    Già da tempo ho terminato la lettura di questo libro, ma non veniva mai il momento di scriverne un commento…. Perché questa storia mi ha colpita al plesso solare, così violentemente, da lasciarmi vuota di pensieri e di parole.
    Così , nei giorni successivi , riflettevo su ..luoghi comuni( forse), che ricorrono spesso nei nostri pensieri, proprio in quanto comuni.
    Pensavo a tutte le brutture che ogni giorno i mezzi mediatici ci propinano, ci fanno conoscere; a quanto stragi, bombe, famiglie trucidate, guerre…ci scorrano addosso, nei vari telegiornali, suscitando dolore, disappunto, fastidio, ma senza “realmente” entrare dentro di noi…

    E pensavo ai clandestini; quelli che arrivano in condizioni disumane sui gommoni, suscitando indignazione per chi li accoglie, li soccorre.
    Ecco; Enaiatollah Akbari è stato uno di loro; uno dei pochi fortunati , che è riuscito, dopo peripezie incredibili a raggiungere il suo scopo.
    Ed io,lo confesso, per la prima volta in vita mia ( ma non è mai troppo tardi!) ho realizzato, leggendo la vicenda di questo coraggioso ragazzo, che cosa debba rappresentare questa esperienza, veramente!!
    La storia è magistralmente narrata dallo scrittore Fabio Geda, con uno stile scarno ma efficacissimo, in prima persona, come se fosse lo stesso Enaiat a parlare.
    Ed infatti lui racconta, si racconta, per mano dello scrittore torinese.
    Il racconto è preceduto da una cartina , su cui è tracciato l’itinerario percorso dal ragazzo, che aveva circa dieci anni alla partenza. Dico circa, perché nessuno sa quale sia la sua data di nascita reale.
    La data del suo compleanno l’ha decisa la questura: 1 settembre. Ora ha 21 anni.

    I capitoli del libro portano come titoli i nomi degli stati attraversati nella fuga: Afghanistan, Pakistan, Iran, Turchia, Grecia, Italia.

    Già l’inizio è doloroso, ma non è nulla, in confronto a ciò che verrà in seguito…

    Il padre di Enaiat è morto lavorando per un ricco signore. Il carico del camion che guidava è andato perduto, e il ragazzo deve esserne il risarcimento. Invano la madre si affanna a nasconderlo in una buca fra le piante di patate..prima o poi lo prenderanno…ed allora la donna prende la decisione: Enaiat deve fuggire lontano, in salvo.
    Lo porta in Pakistan; accarezzandolo gli fa promettere tre cose: che non prenderà mai droghe; che non ruberà mai; che non userà mai armi per uccidere.
    E lo abbandona.
    Dopo lo sgomento di sentire il giaciglio vuoto, vicino a sé, e la consapevolezza di ciò che è successo,del buio che lo attende, questo bambino – perché a dieci anni si è ancora bambini ! – decide di partire.
    E da qui comincia un’avventura, che parrebbe frutto della fantasia, e basta; invece è tutto vero.

    Il lavoro come inserviente, venditore, muratore…le innumerevoli volte in cui è stato riacciuffato e riportato indietro, la fame, le botte..
    I viaggi spaventosi nel doppio fondo di un camion, nel gommone sul mare in tempesta ( nel mare ci sono i coccodrilli? Si domandano questi poveri ragazzini ), su altri mezzi di fortuna…
    Il peggiore viaggio è a piedi. Una montagna da “scalare” per passare in Turchia; avrebbero dovuto essere tre giorni di marcia , e sono alla fine ventisette!
    Ventisette lunghe notti e giorni, al gelo, senza abbigliamento adatto, con altri settanta disperati, con la determinazione di arrivare.
    C’è un brano, in proposito, tremendo, se si considera che è vissuto da un ragazzino, all’età in cui i nostri giocano con la play station…

    ….”Il diciottesimo giorno ho visto delle persone sedute. Le ho viste in lontananza e subito non ho capito perché si fossero fermate.
    Il vento era un rasoio e briciole di neve mi otturavano il naso, e quando cercavi di toglierle con le dita non c’erano più.
    Dietro una curva a gomito, d’un tratto, me le sono trovate di fronte, le persone sedute. Erano sedute per sempre. Erano congelate. Erano morte. Erano lì da chissà quanto tempo.
    Tutti gli altri sono sfilati di fianco, in silenzio.
    Io, a uno, ho rubato le scarpe, perché le mie erano distrutte e le dita dei piedi erano diventate viola, e non sentivo più nulla, nemmeno se le battevo con una pietra.
    Gli ho tolto le scarpe e me le sono provate. Mi andavano bene. Erano molto meglio delle mie.
    Ho fatto un cenno con la mano per ringraziarlo. Ogni tanto lo sogno.”

    Enaiatollah ha incontrato , nei lunghi anni di peregrinazioni, anche persone buone; sono quelle che lo hanno aiutato a non abbandonare mai la speranza di farcela, che non gli hanno mai fatto perdere il sorriso.
    Quel sorriso aperto e cordiale che colpisce, nei filmati che lo vedono protagonista.
    La sua meta è Torino. Qui molte persone, ma soprattutto una meravigliosa famiglia, lo aiutano a “fermarsi”, a realizzare il sogno di studiare, lavorare, non avere più paura, NON FUGGIRE PIU’.

    Solo allora, dopo tanto tempo, Enaiat ripensa alla madre, ai fratellini e decide di cercarli, per dire loro che è riuscito. E un giorno , durante una telefonata, “sente” che dall’altra parte, lontanissimo, c’è sua madre. E qui , riporto l’explicit del romanzo, che trovo struggente.

    …”Ho detto: Mamma.
    Dall’altra parte non è arrivata nessuna risposta.
    Ho ripetuto. Mamma.
    E dalla cornetta è uscito solo un respiro, ma lieve, e umido, e salato.
    Allora ho capito che stava piangendo anche lei.
    Ci parlavamo per la prima volta dopo otto anni – otto –e quel sale e quei sospiri erano tutto quello che un figlio e una madre possono dirsi, dopo tanto tempo.
    Siamo rimasti così, in silenzio, fino a quando la comunicazione si è interrotta.
    In quel momento ho saputo che era ancora viva e forse, lì, mi sono reso conto per al prima volta che lo ero anch’io.
    Non so bene come . Ma lo ero anch’io.”

    Rosy

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  3. #3
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    Bello! Triste e bello!
    Questi sono i classici libri che con la loro scorrevolezza sono in grado di raccontare il mondo crudo di oggi.

    Come per ogni biografia non si può dare un giudizio critico altrimenti è come criticare la vita di un'altra persona.
    Però si può dire che la storia fa accapponare la pelle, fa stringere il cuore e fa male allo stomaco.
    Il libro descrive il viaggio, verso la libertà, di un bambino di 11 annni (forse), fino al paese che gli ha permesso una vita tranquilla.
    Consigliato.
    The creatures outside looked from pig to man, and from man to pig, and from pig to man again: but already it was impossible to say which was which.

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    Lo sta leggendo la mia nipote di 12 anni, consigliato dall'insegnante di italiano. Sono curiosa di sentire il suo commento.
    Rosy
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