Io, senza dubbio traviata dagli studi di pedagogia nei quali così spesso ho sentito parlare di identità narrativa, la interpreto in questo modo. Ognuno di noi diventa consapevole di sé solo nel momento in cui si racconta – a sé stesso o agli altri -, nel momento in cui fa una narrazione di sé. L’identità assume una forma intelligibile solo quando viene trasposta in maniera sistematica, attraverso il linguaggio, nella storia di un percorso di vita.
Ed è solo questa narrazione che ci consente di individuare (o costruire ex post?) il fil rouge della strada che abbiamo percorso fin qua.
In maniera meno astrusa: il linguaggio mette ordine nel caos che ognuno di noi porta dentro. Lo plasma, gli dà una forma definita. In questo senso l’uomo è romanziere di sé stesso, perchè diventa interamente uomo solo quando "scrive" la propria storia.
E come romanziere può essere originale o plagiario: può tracciare nuovi sentieri in territori inesplorati o percorrere strade già battute. Verosimilmente il suo cammino non è mai né interamente l’una né interamente l’altra cosa, ma un’alternanza delle due.
E adesso siete autorizzati a dirmi che sono mentalmente disturbata.
Segnalibri