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Discussione: Poesie per la madre, poesie per il padre

          
  1. #91
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    Mia mamma è un fiore abusivo - Alessandra Racca



    Ah mamma, come mi spunti!
    Come faccio a nasconderti ora
    che ti sei infilata perfino
    nel modo in cui porto alla faccia
    le mani, storte all’indice – come le tue
    ossa costole che spuntano fuori
    evidenze e d’improvviso
    voglio sapere i nomi delle piante
    con l’aria frivola che è tua
    quando domandi al mercato
    Quanto la devo innaffiare?
    e tramesto vasi e gelsomini e bulbi
    arrampicata per aggrappare
    foglie e rami al nido
    guarda come sto in bilico
    sfidando scale e basse stature
    per far germogliare
    la parete di casa (e la vita)
    ed io che ti dicevo Ma fai attenzione
    non rischiare il collo per un addobbo!
    Tu mi spunti mamma
    come fiore di un seme portato dal vento
    nel vaso che era di basilico e ora
    è carico di petali abusivi e spavaldi
    e a me che sempre hanno detto
    come somiglio a papà
    stupisco di questa fioritura
    l’indipendenza, mamma, l’essere me
    è scoprirti dentro i miei bicchieri rotti
    e disordini e pasticci
    tenerti finalmente qui
    non avere più paura
    d’essere tutta.


    da L’amore non si cura con la citrosodina, Neo Edizioni
    "...Comme on n’a pas le choix il nous reste le cœur"

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  3. #92
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    Temporali


    Mia madre, la mattina, era bellissima.
    Si alzava presta come fa al vento un temporale,
    sgombrava il letto dai sogni a notte prima.
    e rassettava gli occhi, come si fa con la cucina.
    Mia madre, nel mattino, ch’io non c’ero,
    si rivestiva dei suoi colori da ragazza. E, forse pure,
    se ne ristava a far l’amore. Col babbo ed erano
    com’erano quand’erano, e ancora io non ero.
    Poi c’era, quel colore di– tramonto, che la rapiva,
    e la scuoteva tutta. E a volte ci pioveva giù dal vetro,
    perché non li reggeva, lei, quei bui rossastri. Se ne ristava,
    tutta zitta e rotta, rincantucciata all’angolo dei torti.
    Poi rinasceva, a cena, un po’ per volta. Metteva la pellicola
    al contorto, sbrilluccicava dentro ai film di notte, come una
    diva o un’attricetta bocca storta. Si dondolava, spalla a spalla,
    sul suo amore. Rubavano, dal mondo, un fiore a cuore.


    Nerina Garofalo

    Bisogna essere leggeri come un uccello, non come una piuma. Paul Valery

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  5. #93
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    A tutte le madri

    Avete disseminato
    il cielo dei vostri figli
    di diritti, di doveri
    costellato
    il cammino delle vostre figlie.
    Gli uni,
    insoddisfatti
    inappagati
    arroganti,
    si lamentano,
    le gambe sotto il tavolo
    di una donna che non sa
    essegli madre;
    si accontentano, le altre
    di un uomo incapace
    di essere padre.
    Avete costruito, madri,
    la debolezza
    di vostro figlio,
    di vostra figlia
    avete fatto forza
    pronta alla guerra,
    docile e dura
    mite e spietata
    serpe e agnello.
    Preparate, madri,
    i cieli dei vostri figli,
    cucinate loro stelle
    di desideri,
    fategli sapere
    che nulla è dovuto,
    ordinate all’uomo
    che vi ha stretto i fianchi,
    di gettare diritti
    per la strada,
    lasciate
    che per i vostri figli,
    siano scoperta e vesciche sotto i piedi,
    muscoli gonfi di dolore,
    gambe dure che fanno male.
    Insegnate loro
    quanto è bassa la terra,
    cresceteli come donne
    se volete uomini nei letti
    delle vostre figlie.

    Giovanni Benzi
    Bisogna essere leggeri come un uccello, non come una piuma. Paul Valery

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  7. #94
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    A mia madre - Goliarda Sapienza


    Quando tornerò
    sarà notte fonda
    Quando tornerò
    saranno mute le cose
    Nessuno m’aspetterà
    in quel letto di terra
    Nessuno m’accoglierà
    in quel silenzio di terra

    Nessuno mi consolerà
    per tutte le parti già morte
    che porto in me
    con rassegnata impotenza
    Nessuno mi consolerà
    per quegli attimi perduti
    per quei suoni scordati
    che da tempo
    viaggiano al mio fianco e fanno denso
    il respiro, melmosa la lingua

    Quando verrò
    solo una fessura
    basterà a contenermi e nessuna mano
    spianerà la terra
    sotto le guance gelide e nessuna
    mano si opporrà alla fretta
    della vanga al suo ritmo indifferente
    per quella fine estranea, ripugnante

    Potessi in quella notte
    vuota posare la mia fronte
    sul tuo seno grande di sempre
    Potessi rivestirmi
    del tuo braccio e tenendo
    nelle mani il tuo polso affilato
    da pensieri acuminati
    da terrori taglienti
    potessi in quella notte
    risentire
    il mio corpo lungo il tuo possente
    materno
    spossato da parti tremendi
    schiantato da lunghi congiungimenti

    Ma troppo tarda
    la mia notte e tu
    non puoi aspettare oltre
    E nessuno spianerà la terra
    sotto il mio fianco
    nessuno si opporrà alla fretta
    che prende gli uomini
    davanti a una bara


    "...Comme on n’a pas le choix il nous reste le cœur"

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  9. #95
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    Mio padre

    Mio padre vendeva frutta e carbone
    e intanto accarezzava
    un gatto che si chiamava Baruloun.
    Se camminava guardava in terra
    per vedere se c’era qualcosa da prender su:
    un chiodo arrugginito o un laccio per le scarpe
    e andava a letto col cappello in testa.
    Quando sono venuto a casa
    dopo un anno di prigionia in Germania
    mi aspettava sulla porta col sigaro in bocca.
    “Hai mangiato?” mi ha chiesto. E basta.

    Tonino Guerra
    Bisogna essere leggeri come un uccello, non come una piuma. Paul Valery

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  11. #96
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    Le Mani della Madre - Rainer Maria Rilke



    Tu non sei più vicina a Dio
    di noi; siamo lontani tutti. Ma tu hai stupende
    benedette le mani.
    Nascono chiare in te dal manto,
    luminoso contorno:
    io sono la rugiada, il giorno,
    ma tu, tu sei la pianta.
    "...Comme on n’a pas le choix il nous reste le cœur"

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  13. #97
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    Guerra

    Ho gli anni di mio padre – ho le sue mani,
    quasi: le dita specialmente, le unghie,
    curve e un po’ spesse, lunate (ma le mie
    senza il marrone della nicotina)
    quando, gualcito e impeccabile, viaggiava
    su mitragliati treni e corriere
    portando a noi tranquilli villeggianti
    fuori tiro e stagione
    nella sua bella borsa leggera
    le strane provviste di quegli anni, formaggio fuso,
    marmellata
    senza zucchero, pane senza lievito,
    immagini della città oscura, della città sbranata
    così dolci, ricordo, al nostro cuore.
    Guardavamo ai suoi anni con spavento.
    Dal sotto in su, dal basso della mia
    secondogenitura, per le sue coronarie
    mormoravo ogni tanto una preghiera.
    Adesso, dopo tanto
    che lui è entrato nel niente e gli divento
    giorno dopo giorno fratello, fra non molto
    fratello più grande, più sapiente, vorrei tanto sapere
    se anche i miei figli, qualche volta, pregano per me.
    Ma subito, contraddicendomi, mi dico
    che no, che ci mancherebbe altro, che nessuno
    meno di me ha viaggiato tra me e loro,
    che quello che gli ho dato, che mangiare
    era? Non c’era cibo nel mio andarmene
    come un ladro e tornare a mani vuote…
    Una povera guerra, piana e vile,
    mi dico, la mia, così povera
    d’ostinazione, d’obbedienza. E prego
    che lascino perdere, che non per me
    gli venga voglia di pregare.

    Giovanni Raboni
    A ciascuno e' affidato il compito di vegliare sulla solitudine dell'altro.

  14. #98
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    LETTERA DI UNA MAMMA ALLA FIGLIA

    Un giorno, all’improvviso
    mentre ti starai pettinando, in silenzio
    o mentre ti infilerai una calza
    ti verrà in mente un mio gesto
    e ti ritroverai a sorridere pensandomi.


    Un giorno, all’improvviso
    pedalando veloce sotto le prime gocce
    di una calda pioggia di settembre
    sentirai un odore arrivarti al naso
    e risvegliare un ricordo di mestoli e tegami
    e mi vedrai davanti al fuoco, per un attimo.


    Un giorno, all’improvviso
    farai qualcosa che facevo anch’io
    proprio allo stesso modo in cui la facevo io
    e te ne meraviglierai moltissimo
    perché non avresti mai pensato
    di potermi somigliare così tanto.


    Un giorno, all’improvviso
    ti guarderai il dorso delle mani
    e con il pollice e l’indice
    ti pizzicherai la pelle , sollevandola
    e conterai il tempo che impiega a stendersi
    pensando a quando lo facevi alle mie mani


    Un giorno, all’improvviso
    ti ritroverai stanca, ad abbracciare un figlio
    mi chiederai scusa per le volte che ho pianto
    sapendo già che ti son state tutte perdonate.


    E ti mancherò da fare male
    Ma sarò con te in ogni gesto
    o nel muoversi delle foglie
    nel frusciare di un gatto nel giardino
    o nelle orme di un pettirosso sulla neve
    come solo l’eterna presenza di una madre lo può.


    Caterina Turroni



    Io li odio i nazisti dell'Illinois...

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  16. #99
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    Lo scoubidou

    L’altro giorno mentre rimbalzavo lentamente
    tra le pareti azzurre di questa stanza,
    saltando dalla macchina da scrivere al piano,
    dalla libreria a una busta caduta sul pavimento,
    mi sono trovato nella sezione S del dizionario
    dove i miei occhi sono caduti sulla parola Scoubidou.

    Nessun biscotto sgranocchiato da un romanziere francese
    avrebbe spedito qualcuno più in fretta nel passato –
    un passato dove io stavo seduto a un tavolo in un campeggio
    accanto a un profondo lago dell’Adirondack
    imparando a intrecciare strisce sottili di plastica
    in uno scoubidou, un regalo per mia madre.

    Non avevo mai visto nessuno usare uno scoubidou
    né indossarne uno, se è a questo che servono,
    ma questo non mi trattenne dall’incrociare
    filo con filo, e poi di nuovo,
    fino a farne uno scoubidou
    quadrato, bianco e rosso, per mia madre.

    Lei mi diede la vita e il latte dal seno,
    io le diedi uno scoubidou.
    Si prendeva cura di me, quand’ero a letto ammalato:
    mi avvicinava alle labbra cucchiai di medicine,
    mi appoggiava alla fronte freddi panni bagnati,
    poi mi portava fuori alla luce ariosa;

    e mi insegnò a camminare e nuotare,
    io in cambio le regalai uno scoubidou.
    Ecco qui migliaia di pasti, disse,
    ed ecco i vestiti e una buona scuola.
    Ed ecco il tuo scoubidou, le risposi,
    che ho fatto con l’aiuto dell’istruttore.

    Ecco un corpo che respira e un cuore che batte,
    gambe, ossa, denti forti,
    e due occhi chiari per leggere il mondo, sussurrò.
    Ed ecco, dissi, lo scoubidou, che ho fatto in campeggio.
    Ed ecco, vorrei dirle ora,
    un dono più piccolo – non l’antica verità

    che non si può mai ripagare una madre,
    ma la triste confessione che quando lei prese
    lo scoubidou a due colori dalle mie mani,
    ero certo come certo può essere un bambino
    che quell’oggetto inutile e senza valore, che avevo intrecciato
    per pura noia, bastava per pareggiare i conti.

    Billy Collins

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