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Questo è il primo romanzo della scrittrice, pubblicato nel 1969.
La prima parte (fino al capitolo 12) è scritta in prima persona, la seconda parte (fino al capitolo 30) è in terza persona e la terza parte, costituita solamente dall’ultimo capitolo, ritorna in prima persona. Il passaggio dalla prima persona alla terza persona inizialmente mi aveva disorientato e non l’avevo capito (qweedy nel minigruppo ha dato una sua interpretazione di questo cambiamento narrativo che mi ha entusiasmato) ma poi, leggendo l’ultimo capitolo, si capisce benissimo l’intento che l’autrice ha voluto dare a questa originale scelta di scrittura e che non voglio svelare. La lettura fino ad un certo punto mi ha davvero coinvolta perché fa presagire a qualcosa di assolutamente coraggioso, e in parte è così. Solo che da un certo punto in poi accadono fatti, secondo il mio modo di vedere le cose, surreali e alquanto improbabili. L’insoddisfazione di Marian e il suo riversare sul cibo tale insoddisfazione è più vera che mai, tangibile, così come la sua fuga, mi lasciano perplessa i particolari, i comportamenti che si sviluppano all’interno di questa visione d’insieme che comunque è molto buona. Il rapporto tra Duncan e Marian inizialmente ha un suo perché, è fuori da qualsiasi rapporto razionale ma ha un suo senso ed un suo fascino, poi invece ho trovato un portare questo rapporto “alternativo” quasi all’inverosimile, soprattutto nel momento in cui passano la notte insieme, non mi hanno trasmesso nessuna emozione, cosa che invece avevo trovato nella scena del loro primo bacio.
In conclusione un romanzo di cui ammiro l’idea di fondo ma che ho trovato freddo.