Nome:   Modigliani,%20Donna%20in%20abito%20scozzese.jpg
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Amedeo Modigliani "Donna in abito scozzese" (1916)
Modigliani scriveva così dei suoi ritratti:
"Per lavorare ho bisogno di un essere vivo, di vedermelo davanti. L'astrazione mi affatica, mi uccide ed è come un vicolo cieco". Una cifra linguistica personalissima contraddistingue i ritratti di Modigliani: lunghi colli sinuosi sorreggono, quasi corolle su fragili steli, volti allungati costruiti da un segno sottile che si snoda leggero, con singolare purezza, chiudendo le forme in un ritmato giuoco di arabeschi di squisita eleganza. "Botticelli moderno, tutto bruciato dal fuoco dello spirito, che rende esili, quasi immateriali le sue creature, per lasciarne meglio trasparire lo spirito meditativo e gentilmente malinconico…" scrive la Sarfatti nel 1930. Una sorta di energia drammatica deriva proprio dall'apparente semplicità con cui questi ritratti dell'anima ci fissano da lontananze sospese, da orbite spesso vuote, da occhi sempre rovesciati verso il proprio sé.
Mi piace dei ritratti di Modigliani questo senso di straniamento, questa visionarietà delicata, questa sottigliezza pensosa dei visi.
In particolare per me questo quadro esprime "bellezza" per questa forma remota e incantata, per la materia pittorica ricca e pastosa, densa e raffinata, per il vestito che la donna indossa, in cui i sottili rimandi collegano in un gioco di contrappunti cromatici il colore dell'abito e gli orecchini.