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Discussione: Eugenio Montale

          
  1. #1
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    Eugenio Montale

    Premio Nobel nel 1975 "per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni" Eugenio Montale ha sempre tentato di interpretare e rendere visibile il male di vivere dell'uomo contemporaneo.

    Non Chiederci La Parola

    Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
    l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
    lo dichiari e risplenda come un croco
    perduto in mezzo a un polveroso prato.

    Ah l'uomo che se ne va sicuro,
    agli altri ed a se stesso amico,
    e l'ombra sua non cura che la canicola
    stampa sopra uno scalcinato muro!

    Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
    sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
    Codesto solo oggi possiamo dirti,
    ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

    Da "Ossi di seppia" 1925


  2. #2
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    La fine dell'infanzia


    Rombando s’ingolfava
    dentro l’arcuata ripa
    un mare pulsante, sbarrato da solchi,
    cresputo e fioccoso di spume.
    Di contro alla foce
    d’un torrente che straboccava
    il flutto ingialliva.
    Giravano al largo i grovigli dell’alighe
    e tronchi d’alberi alla deriva.
    Nella conca ospitale
    della spiaggia
    non erano che poche case
    di annosi mattoni, scarlatte,
    e scarse capellature
    di tamerici pallide
    più d’ora in ora; stente creature
    perdute in un orrore di visioni.
    Non era lieve guardarle
    per chi leggeva in quelle
    apparenze malfide
    la musica dell’anima inquieta
    che non si decide.
    Pure colline chiudevano d’intorno
    marina e case; ulivi le vestivano
    qua e là disseminati come greggi,
    o tenui come il fumo di un casale
    che veleggi
    la faccia candente del cielo.
    Tra macchie di vigneti e di pinete,
    petraie si scorgevano
    calve e gibbosi dorsi
    di collinette: un uomo
    che là passasse ritto s’un muletto
    nell’azzurro lavato era stampato
    per sempre – e nel ricordo.
    Poco s’andava oltre i crinali prossimi
    di quei monti; varcarli pur non osa
    la memoria stancata.
    So che strade correvano su fossi
    incassati, tra garbugli di spini;
    mettevano a radure, poi tra botri,
    e ancora dilungavano
    verso recessi madidi di muffe,
    d’ombre coperti e di silenzi.
    Uno ne penso ancora con meraviglia
    dove ogni umano impulso
    appare seppellito
    in aura millenaria.
    Rara diroccia qualche bava d’aria
    sino a quell’orlo di mondo che ne strabilia.
    Ma dalle vie del monte si tornava.
    Riuscivano queste a un’instabile
    vicenda d’ignoti aspetti
    ma il ritmo che li governa ci sfuggiva.
    Ogni attimo bruciava
    negl’istanti futuri senza tracce.
    Vivere era ventura troppo nuova
    ora per ora, e ne batteva il cuore.
    Norma non v’era,
    solco fisso, confronto,
    e sceverare gioia da tristezza.
    Ma riaddotti dai viottoli
    alla casa sul mare, al chiuso asilo
    della nostra stupita fanciullezza,
    rapido rispondeva
    a ogni moto dell’anima un consenso
    esterno, si vestivano di nomi
    le cose, il nostro mondo aveva un centro.
    Eravamo nell’età verginale
    in cui le nubi non sono cifre o sigle
    ma le belle sorelle che si guardano viaggiare.
    D’altra semenza uscita
    d’altra linfa nutrita
    che non la nostra, debole, pareva la natura.
    In lei l’asilo, in lei
    l’estatico affisare; ella il portento
    cui non sognava, o a pena, di raggiungere
    l’anima nostra confusa.
    Eravamo nell’età illusa.
    Volarono anni corti come giorni,
    sommerse ogni certezza un mare florido
    e vorace che dava ormai l’aspetto
    dubbioso dei tremanti tamarischi.
    Un’alba dové sorgere che un rigo
    di luce su la soglia
    forbita ci annunziava come un’acqua;
    e noi certo corremmo
    ad aprire la porta
    stridula sulla ghiaia del giardino.
    L’inganno ci fu palese.
    Pesanti nubi sul torbato mare
    che ci bolliva in faccia, tosto apparvero.
    Era in aria l’attesa
    di un procelloso evento.
    Strania anch’essa la plaga
    dell’infanzia che esplora
    un segnato cortile come un mondo!
    Giungeva anche per noi l’ora che indaga.
    La fanciullezza era morta in un giro a tondo.
    Ah il giuoco dei cannibali nel canneto,
    i mustacchi di palma, la raccolta
    deliziosa dei bossoli sparati!
    Volava la bella età come i barchetti sul filo
    del mare a vele colme.
    Certo guardammo muti nell’attesa
    del minuto violento;
    poi nella finta calma
    sopra l’acque scavate
    dové mettersi un vento.

    da "Ossi di seppia" 1925




  3. #3
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    Spesso il male di vivere ho incontrato:
    era il rivo strozzato che gorgoglia,
    era l'incartocciarsi della foglia
    riarsa, era il cavallo stramazzato.

    Bene non seppi, fuori del prodigio
    che schiude la divina Indifferenza:
    era la statua nella sonnolenza
    del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

    da "Ossi di seppia" 1925

  4. #4
    Master Member L'avatar di daniela
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    Ho sceso, dandoti il braccio


    Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
    E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
    Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
    Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
    Le coincidenze, le prenotazioni,
    le trappole, gli scorni di chi crede
    che la realtà sia quella che si vede.

    Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
    Non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
    Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
    Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
    erano le tue.

    Novembre 1967
    A ciascuno e' affidato il compito di vegliare sulla solitudine dell'altro.

  5. #5
    Senior Member L'avatar di nottibianche
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    Meriggiare pallido e assorto
    presso un rovente muro d'orto
    ascoltare tra i pruni e gli sterpi
    schiocchi di merli,frusci di serpi.

    Nelle crepe del suolo
    o sulla veccia
    spiar le file di rosse formiche
    ch'ora si rompono ed ora si intrecciano
    a sommo di minuscole biche.

    Osservare tra fronde
    il palpitare lontano di scaglie di mare
    mentre si levano tremuli scricchi
    di cicale dai calvi picchi.

    E andando nel sole che abbaglia
    sentire con triste meraviglia
    com'è tutta la vita e il suo travaglio
    in questo seguitare una muraglia
    che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

    Scritta intorno al 1916
    " E se io non fossi l'eroe? Se io fossi il cattivo? " Twilight

  6. #6
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    E' paradossale che Montale che in "I limoni" "Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti" o in "L'upupa" "Upupa, ilare uccello calunniato dai poeti" polemizza con i poeti famosi sia stato poi premiato con il premio Nobel, finendo anche lui tra i poeti laureati, ma è probabile che la sua fosse una polemica con D'Annunzio e, insieme, una posizione retorica.

    I limoni

    Ascoltami, i poeti laureati
    si muovono soltanto fra le piante
    dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
    Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
    fossi dove in pozzanghere
    mezzo seccate agguantano i ragazzi
    qualche sparuta anguilla:
    le viuzze che seguono i ciglioni,
    discendono tra i ciuffi delle canne
    e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

    Meglio se le gazzarre degli uccelli
    si spengono inghiottite dall’azzurro:
    più chiaro si ascolta il susurro
    dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
    e i sensi di quest’odore
    che non sa staccarsi da terra
    e piove in petto una dolcezza inquieta.
    Qui delle divertite passioni
    per miracolo tace la guerra,
    qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
    ed è l’odore dei limoni.
    Vedi, in questi silenzi in cui le cose
    s’abbandonano e sembrano vicine
    a tradire il loro ultimo segreto,
    talora ci si aspetta
    di scoprire uno sbaglio di Natura,
    il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
    il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
    nel mezzo di una verità.
    Lo sguardo fruga d’intorno,
    la mente indaga accorda disunisce
    nel profumo che dilaga
    quando il giorno più languisce.
    Sono i silenzi in cui si vede
    in ogni ombra umana che si allontana
    qualche disturbata Divinità.

    Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
    nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
    soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
    La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
    il tedio dell’inverno sulle case,
    la luce si fa avara – amara l’anima.
    Quando un giorno da un malchiuso portone
    tra gli alberi di una corte
    ci si mostrano i gialli dei limoni;
    e il gelo del cuore si sfa,
    e in petto ci scrosciano
    le loro canzoni
    le trombe d’oro della solarità.

    Da "Ossi di seppia" 1925

    L'upupa

    Upupa, ilare uccello calunniato
    dai poeti, che roti la tua cresta
    sopra l’aereo stollo del pollaio
    e come un finto gallo giri al vento;
    nunzio primaverile, upupa, come
    per te il tempo s’arresta,
    non muore più il Febbraio,
    come tutto di fuori si protende
    al muover del tuo capo,
    aligero folletto, e tu lo ignori

    Da "Ossi di seppia" 1925


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  7. #7
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    "Le Rime"

    Le rime sono più noiose delle
    Dame di San Vincenzo: battono alla porta
    E insistono. Respingerle è impossibile
    E purché stiano fuori si sopportano.
    Il poeta decente le allontana
    (le rime), le nasconde, bara, tenta
    il contrabbando. Ma le pinzochere ardono
    di zelo e prima o poi (rime e vecchiarde)
    bussano ancora e sono sempre quelle.

    Da "Satura" 1971

    "Piove", sapida parodia de "La pioggia nel pineto" di Gabriele D'Annunzio
    Piove. È uno stillicidio
    senza tonfi
    di motorette o strilli
    di bambini.

    Piove
    da un cielo che non ha
    nuvole.
    Piove
    sul nulla che si fa
    in queste ore di sciopero
    generale.

    Piove
    sulla tua tomba
    a San Felice
    a Ema
    e la terra non trema
    perché non c'è terremoto
    né guerra.

    Piove
    non sulla favola bella
    di lontane stagioni,
    ma sulla cartella
    esattoriale,
    piove sugli ossi di seppia
    e sulla greppia nazionale.

    Piove
    sulla Gazzetta Ufficiale
    qui dal balcone aperto,
    piove sul Parlamento,
    piove su via Solferino,
    piove senza che il vento
    smuova le carte.

    Piove
    in assenza di ermione
    se Dio vuole,
    piove perché l'assenza
    è universale
    e se la terra non trema
    è perché Arcetri a lei
    non l'ha ordinato.

    Piove sui nuovi epistemi
    del primate adue piedi,
    sull'uomo indiato, sul cielo
    ominizzato, sul ceffo
    dei teologi in tuta
    o paludati,
    piove sul progresso
    della contestazione,
    piove sui work in regress,
    piove
    sui cipressi malati
    del cimitero, sgocciola
    sulla pubblica opinione.

    Piove ma dove appari
    non è acqua né atmosfera,
    piove perché se non sei
    è solo la mancanza
    e può affogare.

    Da "Satura" 1971



  8. #8
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    Al mare (o quasi)

    L' ultima cicala stride
    sulla scorza gialla dell'eucalipto
    i bambini raccolgono pinòli
    indispensabili per la galantina
    un cane alano urla dall' inferriata
    di una villa ormai disabitata
    le ville furono costruite dai padri
    ma i figli non le hanno volute
    ci sarebbe spazio per centomila terremotati
    di qui non si vede nemmeno la proda
    se può chiamarsi così quell' ottanta per cento
    ceduta in uso ai bagnini
    e sarebbe eccessivo pretendervi
    una pace alcionica
    il mare è d'altronde infestato
    mentre i rifiuti in totale
    formano ondulate collinette plastiche
    esaurite le siepi hanno avuto lo sfratto
    i deliziosi figli della ruggine
    gli scriccioli o reatini come spesso
    li citano i poeti. E c'è anche qualche boccio
    di magnolia l' etichetta di un pediatra
    ma qui i bambini volano in bicicletta
    e non hanno bisogno delle sue cure
    Chi vuole respirare a grandi zaffate
    la musa del nostro tempo la precarietà
    può passare di qui senza affrettarsi
    è il colpo secco quello che fa orrore
    non già l' evanescenza il dolce afflato del nulla
    Hic manebimus se vi piace non proprio
    ottimamente ma il meglio sarebbe troppo simile
    alla morte (e questa piace solo ai giovani).

    Da "Quaderno di quattro anni" 1977


    La bufera


    La bufera che sgronda sulle foglie
    dure della magnolia i lunghi tuoni
    marzolini e la grandine,
    (i suoni di cristallo nel tuo nido
    notturno ti sorprendono, dell’oro
    che s’è spento sui mogani, sul taglio
    dei libri rilegati, brucia ancora
    una grana di zucchero nel guscio
    delle tue palpebre)
    il lampo che candisce
    alberi e muro e li sorprende in quella
    eternità d’istante – marmo manna
    e distruzione – ch’entro te scolpita
    porti per tua condanna e che ti lega
    più che l’amore a me, strana sorella, –
    e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
    dei tamburelli sulla fossa fuia,
    lo scalpicciare del fandango, e sopra
    qualche gesto che annaspa…
    Come quando
    ti rivolgesti e con la mano, sgombra
    la fronte dalla nube dei capelli,
    mi salutasti – per entrar nel buio.

    Da "La bufera e altro" 1956

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