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Discussione: Leggendo Kafka una mattina

          

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    Leggendo Kafka una mattina

    Leggendo Kafka una mattina

    Sul periodico Historia del luglio 1983 il grande germanista e appassionato critico di Kafka Italo Alighiero Chiusano pubblicò un racconto dedicato allo scrittore praghese ed alla sua opera forse più famosa ma certamente la più enigmatica e più aperta alle interpretazioni "La metamorfosi".

    Nel racconto di Chiusano un piccolo borghese, il signor Philister comincia a leggere il lavoro di Kafka nel gennaio del 1916 e pian piano nel tempo trova sempre più chiavi di lettura ma nel contempo, quasi influenzato dai mutamenti che la Mitteleuropa e la Germania stavano subendo, con il preannuncio di future tragedie, anche il protagonista scivola verso una regressione civica che rispecchia la sorte di Gregor Samsa che da uomo diventa insetto come Philister affronta la metamorfosi passando dalla condizione umana a quella, metaforica, di animale.

    Nel 1915 Franz Kafka pubblicava un lungo racconto, "Die Verwandlung" (La metamorfosi). E la storia di un commesso viaggiatore, Gregor Samsa, che una mattina si sveglia trasformato in scarafaggio. Benché dotato dei sentimenti di sempre, l’uomo-insetto desta orrore nei familiari.
    Anche la sorella, dapprima impietosita, finisce per rifiutarlo. Solo una servo continua ad accudirlo con indifferenza.
    Gregor si nutre di rifiuti finchè il padre, esasperato, gli rompe la corazza di coleottero lanciandogli contro una mela. Da allora inizia una cancrena che porterà Gregor alla morte. Il suo cadavere verrà gettato tra i rifiuti, e la famiglia rifiaterà, sollevata.

    Una storia limpidissima, eppure tra le più enigmatiche. Il signor Philister del racconto (in tedesco Philister significa filisteo, piccolo borghese dalle idee ristrette) cerca una sua chiave di lettura, via via "indovinando", con storture e goffaggini, le interpretazioni che gli esegeti di Kafka proporranno nei decenni successivi. Ma a questo motivo se ne intreccia un altro: la reazione di un lettore come lui, che pian piano, a contatto con quel testo rivoluzionario, rivelerà il peggio della sua natura.
    (Italo Alighiero Chiusano)


    Leggendo Kafka una mattina


    23 dicembre 1915.

    Prima di partire per il fronte l’amico Gustav mi ha consegnato l’ultimo numero della rivista di René Schickele “Die weissen Blatter. “Ti lamenti spesso che oggi trovi ben poco di interessante da leggere», mi ha detto. < Pochi giorni fa Carl Sternheim ha ceduto a lui il premio Fontane. Non lasciarti sconcertare, leggi con calma, poi mi scriverai le tue impressioni». Parole un po’ enfatiche, da entusiasta. No, amico, non mi lascerò sconcertare, ho letto ben altro. Ma poiché ti so uomo di gusto, anche se un po’ troppo ligio alle caduche novità del giorno, leggerò questa Metamorfosi. Oltre tutto è una sorta di introduzione a Praga, dove mi recherò tra qualche mese.


    7 gennaio 1916.

    Una malattia della bambina, felicemente superata, mi ha distratto per qualche giorno, tra Natale e Capodanno. Ma ieri sera mi sono ricordato di quel racconto praghese e ho deciso di leggerlo. All’inizio ho pensato a uno scherzo, poi mi sono indignato. Avevo interrotto la lettura al punto in cui il padre ferisce Gregor Samsa, il figlio-scarafaggio, col lancio di una mela (neanche se fosse una pallottola di fucile! non era dura, quella corazza?), quando è giunta dal fronte la prima cartolina di Gustav. Poche frasi, tra cui: “L’hai letto quel bel racconto che ti ho raccomandato?» Allora, un po’ per ossequio a un combattente, un po’ per vedere sino a che punto il signor Kafka osava turlupinare il lettore, sono arrivato in fondo. Bene, direi proprio che ogni commento è superfluo. Se almeno sapessi che cosa vuol dire, questo lungo sproloquio! Ma non vuol dire niente, è chiaro. O una cosa sola; questi giovani espressionisti. O come altrimenti li chiamano, vogliono “épater les bourgeois”, farci sentire ottusi e filistei. Piccole manovre letterarie, vaudeville e cabaret senza nemmeno il pregio dello spasso. Non oso scriverlo a Gustav, che c'è cascato così ingenuamente. Lasciamolo fare in pace il suo dovere.


    11 aprile 1916.

    Eccomi qui a Praga, per la prima volta in vita mia. Gran bella città d’un fascino penetrante. Ieri, in treno, dopo il commovente addio a Therese (ma cinque anni di matrimonio rendono perfino consigliabile una breve separazione), ho ripreso il racconto di Franz Kafka. Lo avevo già dimenticato, nonostante che Gustav mi avesse scritto ancora per sapere la mia opinione. Poi, in una vetrina di libraio, avevo visto Die Verwandlung pubblicata in volume dall’editore Kurt Wolff. Sulla copertina, una porta socchiusa sul buio e un uomo in vestaglia e pantofole che, volgendole la schiena, si copriva la faccia con le mani,
    inorridito. Ho comprato il libro e ho riletto il racconto in quella forma. Ebbene, devo dire almeno questo: nella sua pazzia non manca di metodo. E poi è molto ben scritto.

    Ogni gesto, ogni immagine, ogni rumore sono resi con una perfezione maniaca. In fondo siamo nel realismo, ma è un realismo applicato al delirio e alla fiaba. Mai però ho letto una fiaba più torva. O cari Grimm e Hauff e Andersen, dove siete finiti?
    Molte cose mi disturbano, in quest’opera che testimonia di un ottimo talento letterario sprecato nel gratuito. Tra le altre, il disprezzo che quest’uomo dimostra per il mondo del lavoro, naturalmente quello di tipo mercantile, affaristico.
    Immagino un autore benestante, che non si è mai dovuto guadagnare il pane e che, da perfetto esteta, guarda con alterigia a noi mercanti. Anche se, come nel mio caso, mercanti che sacrificano una parte del loro guadagno per acquistar libri, quadri, per frequentare teatri e concerti.

    14 aprile 1916.

    Il signor Kafka non vuole proprio che lo dimentichi. Oggi, parlando con un commerciante praghese al caffè Radetzky, ho appreso:
    1°) che il padre di Franz, Hermann Kafka, è un commerciante anche lui di mercerie e chincaglierie all’ingrosso;
    2°) che lo stesso Franz, lungi dall’oziare nella prosperità, è invece impiegato nel ramo assicurativo.
    Cosi la chiave del racconto è trovata. La storia del commesso viaggiatore che si sveglia scarafaggio non è altro che il sogno d’evasione di un giovanotto che non ha nessuna voglia di lavorare, che anzi detesta a tal punto ogni applicazione seria e metodica da preferirle l'animalità più abietta, diciamo la condizione del "barbone". Incapace di liberarsi alla maniera forte. arruolandosi nella Legione Straniera o fuggendo in Asia a fare il santone, Kafka si rifugia dentro un enorme scarafaggio, dove certo vivrà
    male e finirà per crepare, ma almeno si sarà liberate da ogni responsabilità, da ogni orario, da ogni conto da rendere. Povero papà Kafka commerciante in mercerie non vorrei proprio avere un figlio come il suo.
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