"Lo chiamano "il nido degli angeli" perché è un istituto che accoglie bambini senza famiglia. Mario è uno di loro, ha dodici anni, è stato abbandonato alla nascita ed è solo al mondo. Quando vi arriva, ha già alle spalle una lunga esperienza di brefotrofi e collegi, ma spera di trovare finalmente calore umano e affetto. Tanto più che la direttrice, una ex suora che gode fama di donna caritatevole, afferma di voler essere per i suoi sfortunati ospiti "la mamma che non hanno mai avuto". La realtà è ben diversa. Quello che dirige con spietata crudeltà è un vero e proprio inferno in cui i bambini devono fare i conti con la fame, il freddo, i maltrattamenti, le infami punizioni corporali. Eppure la luce della speranza non si spegne, alimentata da gesti semplici e quotidiani. Mario riesce perfino a trovare un amico, Francesco. Insieme condividono piccole gioie e grandi sofferenze, ma una notte Francesco scompare nel nulla e a Mario non resta che sperare che sia riuscito a realizzare il suo sogno di fuga. Fino a quando, sfidando una ragnatela fittissima di protezioni e omertà, un carabiniere coraggioso non riesce a fare irruzione nell'istituto. E a scoperchiare l'orrore. Molti anni dopo la liberazione da quell'incubo, durante i lavori di demolizione di quel luogo di dolore, il ritrovamento di un corpicino avvolto nel cellophane riapre una ferita che non si era mai rimarginata, e Mario deve affrontare di nuovo i fantasmi della sua infanzia rubata."

Leggere questo libro è difficile. La storia di Mario Appignani e degli altri bambini dell’Istituto Santa Rita maltrattati, torturati e uccisi fa stare male. Pagina dopo pagina si sprofonda sempre più nell’orrore e nella pena. Verrebbe voglia di fare qualcosa, di andare a prendere almeno uno di questi bimbi e portarselo a casa! Già così è una storia proprio brutta, ma pensare che questo è accaduto veramente nell’Italia degli ultimi anni ’60 è molto peggio. Non è un autore con troppa fantasia, è l’orrore fatto realtà. E non solo Maria Diletta Pagliuca, ma anche tutti gli altri che le danno ragione o che, non meno colpevoli, fanno finta di non vedere. La prima sentenza del Tribunale è un insulto alla memoria dei bambini defunti, solo il processo d’appello condanna finalmente questa donna, anche se comunque la pena rimane troppo lieve. Ma tant’è, siamo, anzi, eravamo in Italia