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Discussione: Lettere...dialoghi

          

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  1. #1
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    E’ lecito inventare dei verbi nuovi? Voglio regalartene uno: io ti cielo, così che le mie ali possano distendersi smisuratamente, per amarti senza confini.

    Lettera di Frida Kahlo a Carlos Pellicer, poeta messicano modernista.
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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  3. #2
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    La mia notte è come un grande cuore che pulsa..
    Sono le tre e trenta del mattino.
    La mia notte è senza luna.
    La mia notte ha grandi occhi che guardano fissi una luce grigia che filtra dalle finestre.
    La mia notte piange e il cuscino diventa umido e freddo.
    La mia notte è lunga e sembra tesa verso una fine incerta.
    La mia notte mi precipita nella tua assenza.
    Ti cerco, cerco il tuo corpo immenso vicino al mio, il tuo respiro, il tuo odore.
    La mia notte mi risponde: vuoto; la mia notte mi dà freddo e solitudine.
    Cerco un punto di contatto: la tua pelle.
    Dove sei?
    Dove sei?
    Mi giro da tutte le parti, il cuscino umido, la mia guancia vi si appiccica, i capelli bagnati contro le tempie.
    Non è possibile che tu non sia qui.
    La mie mente vaga, i miei pensieri vanno, vengono e si affollano, il mio corpo non può comprendere. Il mio corpo ti vorrebbe.
    Il mio corpo, quest’area mutilata, vorrebbe per un attimo dimenticarsi nel tuo calore, il mio corpo reclama qualche ora di serenità.
    La mia notte è un cuore ridotto a uno straccio.
    La mia notte sa che mi piacerebbe guardarti, seguire con le mani ogni curva del tuo corpo, riconoscere il tuo viso e accarezzarlo.
    La mia notte mi soffoca per la tua mancanza.
    La mia notte palpita d’amore, quello che cerco di arginare ma che palpita nella penombra, in ogni mia fibra.
    La mia notte vorrebbe chiamarti ma non ha voce.
    Eppure vorrebbe chiamarti e trovarti e stringersi a te per un attimo e dimenticare questo tempo che massacra.
    Il mio corpo non può comprendere.
    Ha bisogno di te quanto me, può darsi che in fondo, io e il mio corpo, formiamo un tutt’uno.
    Il mio corpo ha bisogno di te, spesso mi hai quasi guarita.
    La mia notte si scava fino a non sentire più la carne e il sentimento diventa più forte, più acuto, privo della sostanza materiale.
    La mia notte mi brucia d’amore.
    Sono le quattro e trenta del mattino.
    La mia notte mi strema.
    Sa bene che mi manchi e tutta la sua oscurità non basta a nascondere quest’evidenza che brilla come una lama nel buio, la mia notte vorrebbe avere ali per volare fino a te, avvolgerti nel sonno e ricondurti a me.
    Nel sonno mi sentiresti vicina e senza risvegliarti le tue braccia mi stringerebbero.
    La mia notte non porta consiglio.
    La mia notte pensa a te, come un sogno a occhi aperti.
    La mia notte si intristisce e si perde.
    La mia notte accentua la mia solitudine, tutte le solitudini.
    Il suo silenzio ascolta solo le mie voci interiori.
    La mia notte è lunga, lunga, lunga.
    La mia notte avrebbe paura che il giorno non appaia più ma allo stesso tempo la mia notte teme la sua apparizione, perché il giorno è un giorno artificiale in cui ogni ora vale il doppio e senza di te non è più veramente vissuta.
    La mia notte si chiede se il mio giorno somiglia alla mia notte.
    Cosa che spiegherebbe la mia notte, perché tempo anche il giorno.
    La mia notte ha voglia di vestirmi e di spingermi fuori per andare a cercare il mio uomo.
    Ma la mia notte sa che ciò che chiamano follia, da ogni ordine, semina disordine, è proibito.
    La mia notte si chiede cosa non sia proibito.
    Non è proibito fare corpo con lei, questo, lo sa, ma si irrita nel vedere una carne fare corpo con lei sul filo della disperazione.
    Una carne non è fatta per sposare il nulla.
    La mia notte ti ama fin nel suo intimo, e risuona anche del mio.
    La mia notte si nutre di echi immaginari.
    Essa, può farlo. Io, fallisco.
    La mia notte mi osserva. Il suo sguardo è liscio e si insinua in ogni cosa.
    La mia notte vorrebbe che tu fossi qui per insinuarsi anche dentro di te con tenerezza.
    La mia notte ti aspetta.
    Il mio corpo ti attende.
    La mia notte vorrebbe che tu riposassi nell’incavo della mia spalla e che io riposassi nell’incavo della tua.
    La mia notte vorrebbe essere spettatrice del mio e del tuo godimento, vederti e vedermi fremere di piacere.
    La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio.
    La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo.
    La mia notte diventerebbe dolce.
    La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te.
    La mia notte è lunga, lunga, lunga.
    Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio.
    Sta morendo perché non sei qui e mi uccide.
    La mia notte ti cerca continuamente.
    Il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi.
    Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra.
    Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno.
    Il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio.
    La mia notte urla e si strappa i veli, la mia notte si scontra con il proprio silenzio, ma il tuo corpo resta introvabile.
    Mi manchi tanto, tanto.
    Le tue parole.
    Il tuo colore.
    Fra poco si leverà il sole…

    Lettera di Frida Kahlo a Diego Rivera, Città del Messico, 12 settembre 1939, mai spedita.
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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    "Sento di averti amato sempre, prima che tu nascessi, prima che tu fossi concepito. Vorrei darti i colori più belli e, per vederti dal basso, vorrei essere l’ombra delle tue scarpe che si allunga sul terreno sul quale cammini".

    Queste parole Frida non le scrisse a Diego. Anima troppo immensa per essere contenuta in qualsivoglia convenzione sociale, figuriamoci in un concetto di amore socialmente riconosciuto, Frida amò dal 1946 al 1949, di un amore intenso, José Bartoli, affascinante illustratore catalano che aveva combattuto nella guerra civile spagnola e che, fuggito da un campo di concentramento nazista, trovò rifugio a New York, dove i due si incontrarono quando lei fu ricoverata per uno dei 32 interventi alla spina dorsale, eredità di quel primo incidente a 17 anni.
    Non poteva avere figli, Frida, ma a lui scrisse parole che hanno il sapore di un unicità che esclude Diego che, qui, diventa l’altro:

    "Non so come faremo a risolvere le cose. Sarò la tua casa, la tua madre, il tuo amore, il calore del tuo sangue, la consolazione dei tuoi timori, il tuo rifugio dal dolore e dalla tristezza, la madre dei tuoi figli che nasceranno e non nasceranno".

    In tre anni lei gli scrisse 25 lettere:

    "Ricevile come se una ragazzina per strada ti desse un fiore, senza un perché".

    Eccone alcuni estratti:

    "Ieri sera mi sono sentita come se tante ali mi accarezzassero tutta, come se le punte delle tue dita avessero bocche che baciavano la mia pelle. Gli atomi del mio corpo sono tuoi e vibrano insieme così che ci amiamo l’un l’altra. Voglio vivere ed essere forte per amarti con tutta la tenerezza che ti meriti, per darti tutto ciò che c’è di buono in me, così che tu non ti sentirai solo. […] Sento di averti amato da sempre, da prima che tu nascessi, da prima che tu fossi concepito. A volte sento di aver partorito me stessa".

    Firmava le lettere a José Mara, diminutivo di maravillosa (meravigliosa), come lui la chiamava in alcune sue epistole.

    "Dal piccolo letto su cui sono sdraiata guardo la linea elegante del tuo collo, la raffinatezza del tuo viso, le tue spalle e la tua schiena ampia e forte. Provo ad avvicinarmi a te il più possibile così che possa percepirti, per godere della tua incomparabile carezza, il piacere che è toccarti… se non ti tocco, le mie mani, la mia bocca e tutto il mio corpo perdono la sensazione. So che dovrò immaginarti quando sarai andato via. […] Non negarmi gli altri desideri che danno completezza a ciò che provo per te e che può soltanto essere chiamato amore. […] E l’unica cosa che esiste per me in questo momento è che ti amo".

    "In un mondo migliore senza ipocrisia, stupidità, miseria e tradimento… non abbandonarmi. Tienimi dentro di te, ti imploro. Voglio essere la tua casa, tua madre, la tua amante e il tuo figlio… Ti amerò dal panorama che vedi, dalle montagne, dagli oceani e dalle nuvole, dal più sottile dei sorrisi e a volte dalla più profonda disperazione, dal tuo sonno creativo, dal tuo piacere profondo o passeggero, dalla tua stessa ombra o dal tuo stesso sangue. Guarderò attraverso la finestra dei tuoi occhi per vedere te".

    Quando Bartoli partì per il Messico la disperazione di Frida fu grande:

    "Mi sono sentita come se avessi perso tutto, e volevo morire. […] Per te ho ricominciato a vivere, a dipingere, ad essere felice, a mangiare meglio per essere forte così che tu potessi trovarmi bella, un po’ nel modo in cui ero prima, ma adesso sono di nuovo così triste che non voglio fare niente, non voglio vedere nessuno e ancora una volta sono in uno stato di solitudine che non c’è modo di descrivere".

    "Mio Bartoli-Jose-Giuseppe-il mio rosso, non so come si scrivono lettere d’amore. Ma voglio dirti che tutta me è aperta per te. Da quando mi sono innamorata di te, tutto si è trasformato ed è pieno di bellezza. Voglio darti i colori più belli, voglio baciarti… voglio che i nostri mondi da sogno siano uno solo. Vorrei vedere dai tuoi occhi, sentire dalle tue orecchie, sentire con la tua pelle, baciare con la tua bocca. Per vederti dal di sotto, vorrei essere la tua ombra nata dalla suola del tuo piede, che si estende lungo il terreno su cui cammini… Voglio essere l’acqua che ti lava, la luce che ti dà forma, vorrei che la mia sostanza fosse la tua sostanza, che la tua voce uscisse dalla mia gola così che tu mi accarezzassi da dentro… nel tuo desiderio e nella tua lotta rivoluzionaria per una vita migliore per tutti, voglio accompagnarti e aiutarti, amarti e nella tua risata trovare la mia gioia. Se a volte soffri, voglio riempirti di tenerezza così che tu ti senta meglio. Quando hai bisogno di me, mi troverai sempre vicino a te. Sempre aspettandoti. E vorrei essere leggera e soffusa quando vuoi restare solo".

    Lei gli scriveva:

    "Perdonami se tutte queste cose che ti scrivo ti sembrano stupidità, ma credo che in amore non ci sia né intelligenza né stupidità, l’amore è come un aroma, come una corrente, come pioggia. Lo sai, mio cielo, tu piovi su di me e io, come terra, ti ricevo".

    Lui non la dimenticò mai. Quando a 85 anni morì i parenti trovarono una cesta in cui lui aveva custodito delicatamente tutto quello che aveva di lei: le sue preziose lettere e tanti piccoli oggetti che si erano scambiati nei loro incontri. Cimeli preziosi di un amore sospeso, tra quello che fu e quello che poteva essere e non è stato.
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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