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Discussione: Charles Bukowski

          

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  1. #1
    Outsider Member L'avatar di Tregenda
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    Charles Bukowski

    Inizialmente pensavo di scrivere una presentazione per questo spazio, ma poi ho capito che è decisamente meglio lasciare la parola direttamente al padrone di casa...


    “Il concetto di moralità, riportato al 1961, indica un modo di pensare e di agire che sia accettabile sulla base di certe realistiche e umanissime reazioni a ciò che è avvenuto in passato e che probabilmente avverrà in futuro. Ma in realtà, anche se i Robert Vaughan sono pieni di buone intenzioni e non posso che rispettarli, creano ostacoli sulla via dell’espressione schietta e diretta.
    Datemi persone dall’apparenza cattiva, perché sono araldi del bene futuro: molto di quello che era male alle cinque e mezza di ieri è tutt’altra cosa oggi.
    A volte penso alle grandi sinfonie che oggi abbiamo accettato, dopo che alla prima esecuzione il pubblico le aveva fischiate e aveva lasciato la sala.
    <<Scrivere poesie è difficile: bisogna sudare, per tirar fuori la giusta immagine, l’espressione precisa, un certo giro di pensiero…>>
    Scrivere poesie non è difficile;è difficile viverle. Siamo realistici: ogni volta che diciamo ‘buongiorno’ a qualcuno senza intendere davvero augurargli una buona giornata, siamo un po’ meno vivi. E quando scrivi una poesia all’interno dei canoni comunemente accettati della forma-poesia, facendo sì che suoni come una poesia, perché una poesia è una poesia, in quella poesia stai dicendo ‘buongiorno’, e moralmente è qualcosa di molto corretto, non hai certo detto MERDA, ma non sarebbe splendido se… invece di sudare per far uscir fuori la giusta immagine, l’espressione precisa, un certo giro di pensiero… potessi semplicemente sederti e scrivere semplicemente le cose come stanno, cazzo, rivestendole di suono e colore, scuotendoci e risvegliandoci con la forza, gli uccellacci neri, i campi di granturco, l’orecchio nella mano della puttana, il sole, il sole, il sole, IL SOLE!; facciamo poesia come facciamo l’amore; facciamo poesia e lasciamo le leggi, le regole e la morale alle chiese e ai politici; facciamo poesia con lo stesso spirito con cui pieghiamo la testa indietro per scolarci del buon liquore; lasciate che un barbone ubriaco faccia brillare la sua fiamma, e un giorno, Robert, ripenserò a te, elegante e difficile, che misuri vocali e avverbi, e crei regole invece che poesia.”

    Lettera a John William Corrington, Urla dal balcone (lettere 1959-1969)

  2. #2
    Member L'avatar di Milodragovitch
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    che dire del grandissimo Bukowski....forse nell'altro forum ne ho già parlato abbondantemente quindi, per evitare di risultare noioso, mi limito a dire che reputo il vecchio Hank il mio scrittore preferito, capace di farti passare dalla risata di gusto a quella amara, dallo schifo condiviso per buona parte dell'umanità alla tenerezza assoluta per l'uomo e le sue debolezze

  3. #3
    Outsider Member L'avatar di Tregenda
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    Uno come lui non basta la morte a portarcelo via. Buon compleanno, Buk.


  4. #4
    Outsider Member L'avatar di Tregenda
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    Sì, anch'io ho già scritto talmente tanto di lui che è difficile scriverne ancora senza la sensazione di ripetersi... Ma poi penso che non si potrà mai parlare abbastanza di Lui, quindi... Eccoci qua!

  5. #5
    Outsider Member L'avatar di Tregenda
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    Questo brano è soprattutto per chi non ha mai letto Bukowski, o ha letto solo qualcosa di suo e/o lo conosce solo per lo stereotipo dell'ubriacone depravato quale non era. Con la speranza che possa ricredersi leggendo questo ricordo di un episodio della sua terribile infanzia.

    Un giorno me ne stavo lì senza far niente come al solito, ad aspettare chissà che. Non ero particolarmente in buona con la banda, ma ormai non me ne importava più niente. Poi arrivò Gene, di corsa.
    <<Ehi, Henry, vieni a vedere!>>
    <<Cosa c’è?>>
    <<VIENI!>>
    Gene si mise a correre e io gli andai dietro. Corremmo su per il viale dei Gibson, fino al cortile sul retro. C’era un grosso muro di mattoni tutt’intorno al cortile dei Gibson.
    <<GUARDA! HA MESSO IL GATTO CON LE SPALLE AL MURO! ADESSO LO AMMAZZA!>>
    C’era un gattino bianco in un angolo del muro. Non poteva arrampicarsi, e non poteva andare da una parte né dall’altra. Inarcava la schiena e soffiava, con gli artigli pronti. Ma era molto piccolo, e il bulldog di Chuck, Barney, ringhiava e si faceva sotto, minaccioso. Ebbi la sensazione che fosssero stati i ragazzi a metter là il gatto e poi ad andare a prendere il cane. Ne ero quasi sicuro, per via dell’espressione con cui Chuck, Eddie e Gene guardavano il gatto: un’espressione colpevole.
    <<Siete stati voi>>, dissi.
    <<No>>, disse Chuck, <<è colpa del gatto. E’ stato lui a venir qui. Che si arrangi, adesso.>>
    <<Siete dei bastardi, vi odio.>>, dissi.
    <<Barney lo ammazzerà, quel gatto.>>, disse Gene.
    <<Barney lo farà a pezzi.>>, disse Eddie. <<<Ha paura degli artigli, ma quando si deciderà lo farà fuori in un minuto.>>
    Barney era un grosso bulldog marrone con la bava che colava giù dalle mascelle. Era stupido e grasso e aveva due insulsi occhi scuri. Ringhiava senza interruzione e avanzava a poco a poco, con i peli ritti sul collo e sulla schiena. Avevo voglia di dargli un calcio in quel suo stupido culo, ma avevo paura che mi sbranasse la gamba. Pensava solo a uccidere. Il gattino bianco non era nemmeno cresciuto del tutto. Soffiava e aspettava, schiacciato contro il muro, una bella creatura, così pulita.
    Il cane avanzava piano. Perché avevano bisogno di quello spettacolo? Non era questione di coraggio, era solo una cosa sporca. Dov’erano gli adulti? Dov’erano le autorità? Erano sempre pronti ad accusarmi di qualcosa. E adesso dov’erano?
    Pensai di fare un balzo in avanti, afferrare il gatto e scappar via di corsa, ma non ne avevo il coraggio. Avevo paura che il bulldog mi attaccasse. La consapevolezza di non avere il coraggio di fare quello che avrei dovuto mi faceva star male. Mi venne la nausea. Ero debole. Non volevo che quel gatto morisse, eppure non riuscivo a trovare il modo di salvarlo.
    <<Chuck>>, dissi, <<lascia andare il gatto, ti prego. Richiama il cane.>>
    Chuck non rispose. Aveva gli occhi fissi sullo spettacolo.
    Poi disse.: <<Barney, prendilo! Avanti, prendi quel gatto!>>
    Barney si mosse in avanti, e all’improvviso il gatto fece un balzo. Era un ammasso furibondo e indistinto di pelo bianco e soffi, artigli e denti. Barney indietreggiò e il gatto si ritirò di nuovo contro il muro.
    <<Prendilo, Barney.>> disse ancora Chuck.
    <<Sta’ zitto, maledizione!>>, dissi io.
    <<Non usare quel tono con me.>>, disse Chuck.
    Barney ricominciò ad avanzare.
    <<Siete stati voi a combinare tutto.>>, dissi.
    Sentii un rumore leggero alle nostre spalle e mi voltai. Dietro la finestra della camera da letto c’era il vecchio Mr. Gibson che ci guardava. Anche lui, proprio come i ragazzi, voleva veder morto quel gatto. Perché?
    Il vecchio Mr. Gibson era il nostro postino con la dentiera. Aveva una moglie che stava sempre in casa. Usciva solo per vuotare la pattumiera. Mrs. Gibson portava sempre una retina sui capelli ed era sempre in camicia da notte, vestaglia e pantofole.
    Poi, mentre guardavo, Mrs. Gibson, vestita come sempre, andò a mettersi vicino al marito per guardare lo spettacolo. Il vecchio Mr. Gibson era uno dei pochi uomini del quartiere ad avere un lavoro, ma nonostante questo aveva bisogno di veder morto quel gatto. Gibson era proprio come Chuck, Eddie e Gene.
    Ce n’erano troppi come loro.
    Il bulldog si fece sotto. Non potevo stare a guardare. Provai una gran vergogna ad abbandonare il gatto a quel modo. C’era sempre la possibilità che cercasse di scappare, ma sapevo che gliel’avrebbero impedito. Quel gatto non stava affrontando solo il bulldog, stava affrontando l’Umanità.
    Mi voltai e mi allontanai, via da quel giardino, su per il viale e giù per il marciapiede. Camminai lungo il marciapiede verso il posto in cui vivevo, e lì, nel giardino davanti alla sua casa, c’era mio padre che mi aspettava.
    <<Dove sei stato?>>, mi chiese.
    Non risposi.
    <<Va’ dentro.>>, disse lui, <<e smettila di fare quella faccia, altrimenti te lo do io, un buon motivo per fare quella faccia!>>.


    Da Panino al prosciutto

  6. #6
    Junior Member L'avatar di Great Poet
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    A me invece non è mai interessato "convincere" qualcuno su questo o quello scrittore.
    Ancor meno parlando di Bukowski. Conoscendo tutta la sua opera (enorme) ho più di un valido motivo per sostenere il fatto di averlo reso il mio assoluto e principale "dio" letterario.
    E ne ho sempre trattato per pura passione e amore letterari, appunto.
    Così, non scelgo alcun brano per alcuna preordinata finalità pubblicitaria.
    Ma solo perchè, rileggendo il bellissimo diario "Il capitano è fuori a pranzo", trovo ad ogni pagina cose che mi piacciono. Ed essendo questo uno spazio a lui dedicato, lo propongo in lettura per coloro a cui può interessare.
    (Dal diario - 12.09.1991)



    Oggi niente cavalli. Mi sento stranamente normale. Capisco perché Hemingway aveva bisogno delle corride, gli fornivano una cornice, gli ricordavano dov'era e cos'era. Talvolta ce ne dimentichiamo, a furia di pagare bollette del gas, far cambiare l'olio e via dicendo. La maggior parte della gente non è preparata alla morte, alla propria o a quella di chicchessia. Ne sono scioccati, terrorizzati. E' come una grossa sorpresa. Che diavolo, non dovrebbe esserlo. Io mi porto la morte nel taschino. A volte la tiro fuori e le parlo: "Ciao bella come va ? Quand'è che vieni a prendermi? Sono pronto".
    Nella morte non c'è niente di triste, non più di quanto ce ne sia nello sbocciare di un fiore. La cosa terribile non è la morte, ma le vite che la gente vive o non vive fino alla morte. Non fanno onore alla propria vita, la pisciano via. La cagano fuori. Muti idioti. Troppo presi a scopare, film, soldi, famiglia, scopare. Hanno la testa piena di ovatta. Mandano giù Dio senza pensare, mandano giù la patria senza pensare. Dopo un po' dimenticano anche come si fa a pensare, lasciano che siano gli altri a pensare per loro. Hanno il cervello imbottito di ovatta. Sono brutti, parlano male, camminano male. Gli suoni la grande musica dei secoli ma loro non sentono. Per molti la morte è una formalità. C'è rimasto ben poco che possa morire.
    Vedete che i cavalli mi servono, altrimenti perdo il senso dell' umorismo. Se c'è una cosa che la morte non può soffrire è che si rida di lei. Una buona risata può fregare qualsiasi handicap. Non rido da tre o quattro settimane. Qualcosa mi sta divorando vivo. Mi gratto, mi giro, mi guardo attorno, cerco di trovarlo. Il Cacciatore è furbo. Uno che non si fa vedere. O forse Una.
    .............
    Quelli là pensano che per avere un'anima devi essere per forza in croce e sanguinare. Ti vogliono mezzo matto, che ti sbavi sul davanti della camicia. Ne ho avuto abbastanza di croci, ne ho le tasche piene. Se riesco a tenermi alla larga dalla croce, ho ancora parecchie cose da dire. Troppe. Che ci vadano loro sulla croce, gli farò le mie congratulazioni. Ma per scriver non basta il dolore, ci vuole uno scrittore.
    As The Spirit Wanes, The Form Appears (Charles Bukowski)

  7. #7
    Outsider Member L'avatar di Tregenda
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    Eh, ma che cattiveria... Io non voglio convincere proprio nessuno. Se avessi una così bassa considerazione di chi mi legge non sarei neanche qua.
    Ma non ho bisogno di argomentare oltre, perchè chiunque non abbia letto con malignità quello che ho scritto non può avermi frainteso.
    Saluti

  8. #8
    Junior Member L'avatar di Great Poet
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    Mah... non volevo certo essere cattivo né mi pare di esserlo stato. Offrivo le mie considerazioni anche in parte confutando il tuo intervento,la cui premessa non mi era piaciuta né la condivido. Posso almeno questo? Bukowski È STATO anche un ubriacone, con annessi vizi e complessa personalità. Ma perché preoccuparti di dargli un'immagine? Sappiamo entrambi molto bene che è stato un grande scrittore, un grande poeta. Non penso che il tuo commento al brano da te scelto sia stato felice, tutto qui. Posso dirlo o sono cattivo e maligno? Pensi davvero serva a donargli un lustro di maggiore sensibilità? Non credo proprio. Anzi, spero proprio di no.... saluti a te.
    As The Spirit Wanes, The Form Appears (Charles Bukowski)

  9. #9
    Junior Member L'avatar di Giovanni Monte
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    andavamo
    al funerale di un grand'uomo
    ma
    di gente ce n'era poca: la
    sua famiglia, una coppia di vecchi amici sceneggiatori,
    altri due o tre. noi
    abbiamo detto qualcosa ai familiari e alla moglie
    del morto,
    poi siamo entrati ed è cominciata la messa e il
    prete non era granché ma uno dei figli del grand'uomo

    ha fatto un bel discorso, e poi è finita
    e ci siamo trovati di nuovo fuori, in macchina,
    di nuovo dietro al carro funebre, giù per la ripida
    strada
    oltrepassando di nuovo il camion delle fragole e la mia
    donna ha detto: "non fermiamoci a prendere
    le fragole,
    e proseguendo verso il cimitero pensavo:
    Fante, sei stato uno degli scrittori migliori
    di tutti i tempi
    e che triste giorno oggi.

    C. Bukowski - da "Santo cielo, perché porti la cravatta?" -- (una domanda che mi faccio sempre ai matrimoni...)

  10. #10
    Outsider Member L'avatar di Tregenda
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    E quale altra poesia avrebbe mai potuto postare Giovanni Monte?

  11. #11
    old crone L'avatar di Indigowitch
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    Ho conosciuto Bukowski tramite alcune sue poesie, ed è subito scattato un forte interesse.
    Di solito me lo dipingevano come uno che sapeva parlare solo di alcool, sesso e cerume alle orecchie, invece
    in quei componimenti traspariva una carica di disperazione esistenziale così sincera e cruda che mi sono detta: "Ecco, questo mi mancava."
    L'ultimo libro che ho letto è stato proprio uno di Bukowski, Pulp.
    Lì in effetti ho riscontrato quel po' di cinismo e quella crudezza di cui mi parlavano, ma non mi hanno turbata particolarmente.
    E' una storia visionaria, dove l'ironia e le situazioni assurde si alternano a squarci di riflessione per nulla banali.
    Un attimo prima ridi di gusto per una frase sboccata, un attimo dopo il sorriso ti muore sulle labbra leggendo un pensiero così
    amaro e sincero, uno di quelli che almeno una volta nella vita hai fatto anche tu.
    Non voglio perdermi in chiacchiere, perciò trascrivo semplicemente un brano che mi ha colpito:

    "Era solo un lavoro, l'affitto, la sbobba, aspettare l'ultimo giorno o l'ultima notte. Sempre ad aspettare. Che stronzata.
    Avrei dovuto diventare un grande filosofo, avrei detto a tutti quanto eravamo sciocchi, a stare in giro a fare andare l'aria dentro
    e fuori dai polmoni.
    Accidenti, stavo diventando malinconico."

  12. #12
    Outsider Member L'avatar di Tregenda
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    Impeccabile, Indigowitch. Quello che hai scritto è una boccata d'ossigeno per i miei bukowskiani polmoni. Grazie.

  13. #13
    Outsider Member L'avatar di Tregenda
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    Non ero mai stato elegante. Le mie camicie erano tutte stinte e strette, vecchie di 5 o 6 anni, consunte. Lo stesso per i pantaloni. Odiavo i grandi magazzini, odiavo i commessi, avevano una tale aria di superiorità, sembrava che conoscessero il segreto della vita, avevano una fiducia in se stessi che io non possedevo. Portavo sempre scarpe vecchie e scalcagnate, non mi piacevano nemmeno i negozi di scarpe. Non comperavo mai niente fino a quando proprio non potevo farne a meno, comprese le automobili. Non era questione di taccagneria, solo non riuscivo a sopportare di essere un compratore che aveva bisogno di un venditore, quando i venditori erano così belli e distaccati e superiori. E poi ci voleva un sacco di tempo, tempo che si poteva tranquillamente passare sdraiati a bere da qualche parte.

    Da Donne

  14. #14
    old crone L'avatar di Indigowitch
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    Le sorelle l'accusavano di sprecare la sua bellezza, di non fare buon uso del cervello. Ma Cass ne aveva da vendere, di cervello e di spirito.
    Dipingeva, danzava, cantava, modellava la creta, e quando qualcuno era ferito, mortificato, nel corpo o nell'anima, Cass provava compassione per costui.
    Il suo cervello era, ecco, differente; la sua mentalità non era pratica, ecco quanto. Le sorelle eran gelose perché essa attraeva i loro uomini; ce l'avevano su con Cass perché, secondo loro, sciupava un sacco d'occasioni.
    Di solito Cass era gentile con quelli piú brutti; i cosiddetti fusti non le dicevano niente. Le facevano schifo.
    "Senza nerbo," diceva, "senza grinta. Arrivano, alti in sella, con quei nasi ben fatti, quelle orecchie ben disegnate... Tutta esteriorità, e niente dentro."
    La sua indole era affine alla pazzia; aveva un temperamento che certi chiamano pazzia.

    Dal racconto La donna più bella della città
    La vita morde forte alle spalle e quando sorride ti fa solo del male (Mauro Berchi)

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