visto che stiamo incentivando i commenti per riscostruire quello che si ero costruito, posto qui il mio piccolo commento all'ultimo libro di Indridason che ho inserito sul blog che ho aperto da poco... Come sempre Indridason è un gradino sopra gli altri....
saluti a tutti e ben ritrovati




Credo sia una malattia comune a tutti i lettori di gialli, manco te ne accorgi e ci sono autori e commissari che ti tengono incollato pagina dopo pagina…e te ne rendi conto solo il giorno dopo, allo trillo della sveglia, quante ore di sonno ti hanno rubato le loro indagini. Credo succeda quasi a tutti, almeno a me è successo! Successo quasi per caso, avevo appena finito di leggere uno dei primi libri di Mankell sul commissario Wallander, forse I Cani Di Riga, mi era piaciuta la scrittura pacata, la meticolosità nella descrizione degli ambienti, il lento ma piacevole scorrere delle pagine. Pochi giorni dopo acquistai Rosseana della coppia Sjowall & Wahloo e La Signora in Verde di Indridason. A me è successo: rimanere legato per anni ad un commissario immaginario, burbero, spesso senza scrupoli e senza alcun filtro quando apre la bocca (mi piaci per questo, Erlendur). Sicuramente non una novità nel panorama della giallistica internazionale, commissari dal modi rudi e dal cuore tenero ci sono stati, ci sono, e speriamo ci saranno. Ma se ognuno è anche figlio del proprio tempo,come ieri i nostri padri si innamoravano davanti al commissario Maigret, io mi godo il nostro Erlendur. Bisogna semplicemente lasciarsi trascinare nella lontana Islanda dalla penna del nostro Indridason, dalla natura immacolata che trapela dalle sue parole, dalla solitudine di un paese cullato eternamente dalle acque dell’oceano, dalla riservatezza dei suoi abitanti, dalla semplicità dei suoi personaggi. Così ad anni di distanza dalla prima lettura c’è chi attende pazientemente l’uscita annuale che Guanda concede all’autore, per potersi godere la propria Islanda in poco più di 300 pagine. Anche perchè alla fine la mia Islanda è questa, quella che ti si presenta davanti aprendo ogni suo libro, dalla caotica capitale (come fanno definirla caotica, mai stati a Milano?!…bhò), alle invisibili brughiere che si intravedono nelle tormente di neve, ai lontani fiordi orientali, così immacolati…così inospitali. La mia Islanda, una tranquilla e controllata solitudine dove, scavando sotto la sottile coltre di neve, puoi trovare una terra segnata dalla tristezza o una fonte di eterna serenità. Giusta o sbagliata che sia l’unica cartolina che ho dall’Islanda è la sua; quella scritta in questi anni dal nostro Indridason. L’Islanda come punto di incontro di venti provenienti da mondi diversi; terra di mezzo tra vecchio e nuovo dove il passato abbraccia il presente, punto di equilibrio del mondo, di una società troppo veloce che solo qui riesce a fermarsi per ritrovare la giusta tranquillità. Un libro, un paese, una cartolina: una natura immacolata, fatta spesso di buio e freddo; una terra eternamente cullata dalle acque dell’oceano, dove la pace della gente a volte ripiega nella solitudine, offrendo una comunità semplice ma allo stesso tempo riservata. Ed è difficile credere che in questo posto idilliaco vengano perpetrati efferati crimini come quelli descritti nei romanzi di Indridason. Crimini atroci, che spesso riguardano le tematiche sociali più delicate: dalla piaga giovanile dell’eroina alle violenze famigliari che si consumano tra le mura domestiche, fino ai problemi legati all’immigrazione….problemi comuni per tanti paesi….problemi vissuti anche in Islanda. Così nella settima opera tradotta in Italia Indridason affronta il tema della violenza sulle donne e non è un caso se proprio in Un Doppio Sospetto, il commissario Erlendur Sveinsson si fa da parte per lasciare il palcoscenico all’unica donna del trio, la collega Elinborg. Forse solo una donna può capire cosa si cela dietro l’agghiacciante delitto di Pingholt dove un trentenne, Runolfur, viene trovato ammazzato con un colpo secco che gli ha reciso la gola. E non è assolutamente un bello spettacolo quello che Elinborg si ritrova davanti entrando nell’appartamento di uno dei quartieri più “in” della capitale, Reykjavik 101. Il ragazzo si trova riverso con i pantaloni abbassati, e indossa una maglietta da donna; per terra una sciarpa femminile e un flacone di Roipnol, la droga dello stupro. Le indagini puntano subito su un’eventuale abuso sessuale avvenuto nella casa di Pingholt, ma a confondere ancora di più le idee di Elinborg sono gli esiti delle analisi condotte sul corpo della vittima. Il ragazzo stesso aveva assunto una dose massiccia di Roipnol. Elinborg porta così in superficie una storia di violenza. Ma più scava più si convince che quello sul quale la polizia della capitale sta lavorando non è un caso isolato. Man mano le donne violentate, vittime di abusi sessuali e di miserabili stupri aumentano, e proprio concentrandosi sulle loro storie Elinborg capirà che dietro a quell’omicidio si cela una tremenda vendetta. In tutto questo, mentre il caso avanza e le ruba tutte le energie, sfinendola, Elinborg deve trovare anche il tempo da dedicare alla famiglia, la classica famiglia islandese: il cambio generazionale del figlio maggiore di Elinborg, il difficile inserimento della piccola Theodora a scuola, l’hobby della cucina, sono temi sempre presenti nel romanzo e danno il giusto respiro alla trama.

Con una prosa di ottima fattura Indridason propone per l’ennesima volta un piacevole giallo, come sempre nel suo stile, con quel gusto di freddo noir che solo lui riesce ad imprimere ad ogni suo racconto. La descrizione dei paesaggi minuziosa ma mai eccessiva a svogliare la lettura, una scrittura mai prolissa, l’assenza di spargimenti di sangue, l’attenzione posta sull’indagine e la capacità di portare il lettore sotto un diverso punto di lettura: il perchè crimini come quello di Pingholt avvengono, più che fermarsi al classico “CHI” che caratterizza i gialli. Un mix che sino ad ora ha portato i suoi frutti, caratterizzando questo autore rispetto a tanti suoi colleghi scandinavi.

A concludere il tutto, ad apporre il fiocco al pacco, bisogna segnalare l’ottima traduzione di Silvia Cosimini, unica, credo, traduttrice dall’islandese all’italiano. Oltre ai libri di Indridason ho avuto occassione di leggere altri testi di diversi autori islandesi, e seppur ignaro della grammatica islandese, posso affermare che ogni racconto da lei tradotto scivola via sempre liscio ( alcune volte si leggono libri che sembrano scritti, manco fossero SMS…). Complimenti.

E anche un grazie ai Band Of Horses,e alla loro The Great Salt lake, che mi hanno tenuto compagnia mentre stendevo queste poche e pessime righe.