Ho terminato "La donna giusta" di Sándor Márai. Libro bellissimo, se si riesce a perdonare qualche prolissitŕ autocelebrativa.
Un peccato veniale per un romanzo di sicuro spessore, dove la protagonista č la complessitŕ del vivere declinata nei suoi molteplici elementi: ideali, passioni e ossessioni, difficoltŕ, amarezze, inganni e disillusioni. Tutto ciň che puň esserci e ciň che troppo spesso manca.

Tanti e profondissimi spunti di riflessione sul destino, sulla solitudine, sull’impossibilitŕ di soffocare emozioni e desideri con la ragione; sul come sia infinitamente piů difficile conservare qualcosa che conquistarlo o distruggerlo. Quanta vanitŕ e piccolezza puň esserci nei sentimenti umani? Quanto egoismo, smania di rivalsa e di vendetta puň nascondersi dietro alla parola amore? Quali ferite nel corso della vita cerchiamo disperatamente di rimarginare?

Innumerevoli e ampie le digressioni sulla scrittura, sull’arte, sulla cultura e la societŕ analizzata nell’arco di piů di un trentennio, prima, durante e al termine della seconda guerra mondiale.
Un mondo che cambia e di fronte al quale Márai confessa la sua rabbia d’intellettuale borghese per l’avvento del consumismo e l’ignoranza dilagante. A tratti la sua protesta appare sin troppo compiaciuta, ma nella sostanza č difficile dargli torto.

Tutto il libro č pervaso da un senso di malinconia che nel corso della lettura mi č entrata dentro sino alle ossa. E in me si č fatta ancora piů forte la consapevolezza che non esiste una sola veritŕ. Ognuno ha la sua veritŕ: non piů di una personale interpretazione mediata dai suoi sogni, dai suoi occhi, dalla sua anima. Non molto diversa da una confusa e incredibile menzogna.