A libro finalmente concluso, posso dire che le mie riserve riguardavano principalmente la figura del Conte di Montecristo dal momento in cui arriva a Parigi per mettere in atto la sua vendetta, quando Edmond Dantes, l’essere umano, scompare e ritroviamo il superuomo freddo e spietato, con una ricchezza immensa che gli permette di disporre di oggetti e persone a suo piacimento (troppo per i miei gusti) e che compie azioni al limite della fantascienza. Per non parlare delle infinite coincidenze e della girandola di personaggi che si incastrano troppo facilmente nella storia.
Per fortuna tutto si riscatta nel bellissimo finale, quando il Conte ritrova l’umanità, e l’umiltà, e accetta addirittura il perdono. Qui le mie perplessità si sono dissolte.
"Aspettare e sperare", sì, ma cosa ha fatto passare al povero Morrel? Era il caso un supplizio simile?
In generale posso dire che non resterà tra i miei libri preferiti, ma mi è piaciuto tantissimo.
Come sempre quando leggo un romanzo ottocentesco rimango catturato dall’intensità e della corposità dei dialoghi, da quelli su piccole facezie fino a quelli legati ai temi importanti della vita.