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Discussione: Il nome nella poesia

          
  1. #1
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    Il nome nella poesia

    Sandra (Guido Catalano)

    mi dicevi spesso: “non essere triste”
    che cosa assurda, pensavo
    dire a uno triste: “non essere triste”
    che cosa assurda, inutile e carina
    e assurdi erano
    quei tuoi occhi di gatta verdi
    e quel tuo viso di gatta solcato
    da quella portentosa cicatrice
    che ti faceva
    definitivamente
    bella
    fumavi tanto
    camminavi avvolta
    in cumulonembi di fumo
    davi l’idea di essere leggerissima
    mi hai toccato una sola volta
    io mai
    chissà dove sei
    che fai
    chissà se credi ancora
    che i cani abbiano sempre ragione
    io no
    ho smesso di credere tanto tempo fa
    forse non ho mai creduto
    ma mi piaceva il suono
    fin da subito fu implicito
    che avremmo mischiato i nostri dolori
    e non
    i nostri umori corporei
    sei l’unica donna alla quale
    io abbia regalato una bambola
    e non ce ne sarà un’altra
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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  3. #2
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    A Silvia (Giacomo Leopardi)

    Silvia, rimembri ancora
    quel tempo della tua vita mortale,
    quando beltà splendea
    negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
    e tu, lieta e pensosa, il limitare
    di gioventù salivi?
    Sonavan le quiete
    stanze, e le vie d'intorno,
    al tuo perpetuo canto,
    allor che all'opre femminili intenta
    sedevi, assai contenta
    di quel vago avvenir che in mente avevi.
    Era il maggio odoroso: e tu solevi
    così menare il giorno.
    Io gli studi leggiadri
    talor lasciando e le sudate carte,
    ove il tempo mio primo
    e di me si spendea la miglior parte,
    d’in su i veroni del paterno ostello
    porgea gli orecchi al suon della tua voce,
    ed alla man veloce
    che percorrea la faticosa tela.
    Mirava il ciel sereno,
    le vie dorate e gli orti,
    e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
    Lingua mortal non dice
    quel ch’io sentiva in seno.
    Che pensieri soavi,
    che speranze, che cori, o Silvia mia!
    Quale allor ci apparia
    la vita umana e il fato!
    Quando sovviemmi di cotanta speme,
    un affetto mi preme
    acerbo e sconsolato,
    e tornami a doler di mia sventura.
    O natura, o natura,
    perché non rendi poi
    quel che prometti allor? perché di tanto
    inganni i figli tuoi?
    Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
    da chiuso morbo combattuta e vinta,
    perivi, o tenerella. E non vedevi
    il fior degli anni tuoi;
    non ti molceva il core
    la dolce lode or delle negre chiome,
    or degli sguardi innamorati e schivi;
    né teco le compagne ai dì festivi
    ragionavan d’amore.
    Anche perìa fra poco
    la speranza mia dolce: agli anni miei
    anche negaro i fati
    la giovinezza. Ahi come,
    come passata sei,
    cara compagna dell’età mia nova,
    mia lacrimata speme!
    Questo è il mondo? questi
    i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
    onde cotanto ragionammo insieme?
    questa la sorte delle umane genti?
    All’apparir del vero
    tu, misera, cadesti: e con la mano
    la fredda morte ed una tomba ignuda
    mostravi di lontano.
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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  5. #3
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    Scrivo per te parole senza diminutivi
    senza nappe né nastri, Chiara.
    Resto un uomo di montagna,
    aperto alle ferite,
    mi piace quando l’azzurro e le pietre si tengono
    il suono dei “sí” pronunciati senza condizione,
    dei “no” senza margini di dubbio;
    penso che le parole rincorrano il silenzio
    e che nel tuo odore di stagione buona
    nel tuo sguardo piú liscio dei sassi di fiume
    esploda l’enigma del “sí” assordante che sei.
    Scriverti è facile; e se potessi verserei
    la conoscenza tutta intera delle nuvole
    la punteggiatura del cosmo
    la forza dei sette mari, i sette mari in te
    nel bicchiere dei tuoi giorni incorrotti.
    Ma non sono che un uomo, e quest’uomo
    ti scrive da un tavolo ingombro
    e piove, oggi, e anche la pioggia ha le sue beatitudini
    sulla casa dalle grondaie rotte
    quando quest’uomo ti pensa e fra tutte le parole da scegliere
    non sa che l’inciampo nel dire come si resta
    e come si preme
    nel mistero del giorno nuovo in te
    che prima non c’era
    adesso c’è.

    Pierluigi Cappello
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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  7. #4
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    Serenata a Gessica

    I violini sotto i balconi del ghetto
    acutamente ti chiamano, cuciono
    ai tuoi piedi un damasco dogale:
    tu da una fiaba mi lanci una rosa.
    Gessica, ma le palme della sera
    l’ingenua fronte bendarti
    non senti ancora, e dai canali immensa
    un’aquila di nuvole levarsi?
    Addio, Gessica, addio, viso perduto:
    già remota, con gesti di sonno
    navighi un fiume d’aria
    fra uno sterminio docile di fiori.

    Gesualdo Bufalino
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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  9. #5
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    Martina ha fatto segno di sì con la testa
    appena più pesante del dovuto sul collo
    come un grosso fiore appesantisce lo stelo.
    Ha fatto segno che aveva capito
    e le sue mani amorose e incerte
    si sono mosse per afferrare la matita.
    Poi ha serrato gli occhi con violenza
    ed è scoppiata in pianto.
    Il buio è entrato nel candido paesaggio di neve
    dove il venditore di scope emetteva il suo grido
    attutito e immobile.
    Martina ha strumenti diversi per afferrare il mondo
    è stata la sola a capire
    che quel venditore di scope
    era la Morte.

    Donatella Bisutti (Lezione di poesia - Classe con handicap)

    A ciascuno e' affidato il compito di vegliare sulla solitudine dell'altro.

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  11. #6
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    Ed amai nuovamente; e fu di Lina
    dal rosso scialle il piú della mia vita.
    Quella che cresce accanto a noi, bambina
    dagli occhi azzurri, è dal suo grembo uscita.
    Trieste è la città, la donna è Lina,
    per cui scrissi il mio libro di piú ardita
    sincerità; né dalla sua fu fin’
    ad oggi mai l’anima mia partita.
    Ogni altro conobbi umano amore;
    ma per Lina torrei di nuovo un’altra
    vita, di nuovo vorrei cominciare.
    Per l’altezze l’amai del suo dolore;
    perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra,
    e tutto seppe, e non se stessa, amare.

    Umberto Saba
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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  13. #7
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    A Ettore

    “Ieri sera era amore,
    io e te nella vita
    fuggitivi e fuggiaschi
    con un bacio e una bocca
    come in un quadro astratto:
    io e te innamorati
    stupendamente accanto.
    Io ti ho gemmato e l’ho detto:
    ma questa mia emozione
    si è spenta nelle parole”.

    Alda Merini (Ieri sera era amore)
    A ciascuno e' affidato il compito di vegliare sulla solitudine dell'altro.

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  15. #8
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    Qui c'è anche il cognome, non solo il nome!

    Ballata per Aung San Suu Kyi prigioniera

    Ti hanno rinchiusa.
    Non sapevano
    di farti seme.
    Ti hanno sepolta.
    Ma dal buio il seme
    ingravida la morte.
    Il dolore è il tuo nocciolo duro.
    Tu immobile
    i rami abbracciano l'aria.
    Tu senza canto
    l'albero canta
    alto sull'orizzonte.
    Dalla chiusa corteccia germogliando
    senza braccia né mani
    senza gambe né piedi
    così tu parli o silenziosa
    così tu parli muta lingua
    giorno per giorno
    della morte
    fai cibo.
    Chi farà tacere il silenzio?
    Chi fermerà ciò che non si muove?
    Attraversare la morte
    mutandola di segno.
    Tu sei il seme murato.
    Crescendo l'albero,
    radici innervano il cemento.
    Dallo schianto
    gridano foglie.
    Dal silenzio
    fragore.
    Il dolore è il tuo nocciolo duro.
    Ti hanno rinchiusa .
    Non sapevano
    di farti seme.
    Loro non sanno di piante.
    Non sanno
    di donne piantate nella terra.

    Donatella Bisutti

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  17. #9
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    PER LE NOZZE DI MYRIAM E GIORGIO
    (sei sei del novantasei)

    "E se piove mamma?" Se piove
    figlia se fili dal cielo
    scenderanno se nuvole grigie
    vi avvolgeranno fa niente
    non ti ruberanno il bianco
    vestito né l'anello dal dito
    non ruberanno la sposa
    allo sposo né lo sposo
    alla sposa un furto
    d'azzurro a una sposa
    felice, che perdonabile cosa.

    Vivian Lamarque
    A ciascuno e' affidato il compito di vegliare sulla solitudine dell'altro.

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  19. #10
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    Euridice

    Tu senti che vado lontano
    in zone pericolose.
    Potrei non fare ritorno –
    restare sbalzata su quel fuoco
    con veste incendiata rovinare
    o perdermi nei deserti del cielo
    sbandare sui ghiacci stesi
    spericolarmi nei boschi e nelle radure
    minacciose. Si è molto soli là
    fra le alture e le fosse, nelle fermentazioni
    nel pullulare appena di voci.
    Slacciata da ciò che mi è noto
    un po’ squilibrata nel vuoto.
    Ci debbo ogni tanto tornare –
    che qui c’è la parte migliore.
    Di quella mi vesto ogni tanto
    di rado. Ma tu non girarti a guardare.
    Lasciami sola. Non farmi di sale.

    Mariangela Gualtieri
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  21. #11
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    Metamorfosi d'amore

    Giuseppe era il mio nome di
    cristiano, ora non ho più nome: sono
    api e lucertole, pietre e mimose, il
    mare: lei non mi potrà riconoscere.
    Lei non mi potrà più dire: amore.
    Potremo volare insieme all’alveare
    del sole, vicini e sconosciuti, rovinare
    in frane scoscese sulle spiagge
    rocciose, essere due conchiglie nel silenzio
    del fondale.

    Giuseppe Conte
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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  23. #12
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    Barbara, creatura amata,
    cos’è questa luce arata dal destino,
    la trasparenza dove continuo a vederti,
    che inchioda la mia anima al tuo viso?
    Lo bacio nell’assenza, l’accarezzo
    come nei sogni si sfiora il nostro desiderio,
    quello che nella veglia si sottrae.
    Se chiudo gli occhi
    e vorrei soffocarmi nel cuscino
    i tuoi si accampano nel sonno
    e in questa specie di morte fanno il nido.
    Al mio risveglio li ritrovo,
    principio della luce.
    Cosí, Barbara mia, i tuoi occhi
    sono la notte e il giorno,
    la mia fuga nei sogni e il mio ritorno.
    Se non fossero lí, custodi del silenzio,
    chi mai difenderebbe il labile confine
    che sta tra il sonno e la mia fine?

    Roberto Carifi
    Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie.


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  25. #13
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    LATTE NUOVO

    Sara Anne veniva lungo il corso d’acqua
    a prendere ogni sera il latte.
    Stavo in attesa di lei, timido ma audace
    quel tanto da attirarla in un prato.
    Nell'erba tra le stoppie ci baciavamo
    e toccavo i suoi capelli inverosimilmente gialli.

    Mi prudevano le narici per l’odore
    e la polvere del fieno. Tutto dell’estate
    pareva raccogliersi intorno a quell’ora
    in quel punto dove restavamo assieme accosti.
    Ma quando arditamente giunsi
    a distendere il mio corpo sopra il corpo di lei
    urtai il fusto di quel latte dolce,
    brevemente imbiancando lì la terra calda.

    John Montague


    (da Seconda infanzia, 2017 - Traduzione di Alessandro Gentili)





    Io li odio i nazisti dell'Illinois...

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  27. #14
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    Il bacio nello sguardo

    A primavera Stephen mi ha baciata
    E Robin in autunno – Colin poi
    semplicemente, mi ha solo guardata –
    nemmeno il cenno d’un bacio da lui.

    Ecco: il bacio di Stephen l’ho scordato,
    quello di Robin pure in fumo è andato,
    ma il terzo bacio, in quegli occhi di brace,
    giorno e notte m’insidia, senza pace.


    Sara Teasdale
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  29. #15
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    Annabel Lee (1849)

    Molti e molti anni or sono,
    in un regno vicino al mare,
    viveva una fanciulla che potete chiamare
    col nome di Annabel Lee;
    aveva quella fanciulla un solo pensiero:
    amare ed essere amata da me.
    Io fanciullo, e lei fanciulla,
    in quel regno vicino al mare:
    ma ci amavamo d’amore ch’era altro che amore,
    io e la mia Annabel Lee;
    di tanto amore i serafini alati del cielo
    invidiavano lei e me.
    E proprio per questo, molto molto tempo fa,
    in quel regno vicino al mare,
    uscì un gran vento da una nuvola e raggelò
    la mia bella Annabel Lee;
    e così giunsero i nobili suoi genitori
    e la portarono lontano da me,
    per chiuderla dentro una tomba
    in quel regno vicino al mare.
    Gli angeli, molto meno felici di noi, in cielo,
    invidiavano lei e me:
    e fu proprio per questo (come sanno tutti
    in quel regno vicino al mare),
    che, di notte, un gran vento uscì dalle nubi,
    raggelò e uccise la mia Annabel Lee.
    Ma il nostro amore era molto, molto più saldo
    dell’amore dei più vecchi di noi
    (e di molti di noi assai più saggi):
    né gli angeli, in cielo, lassù,
    né i demoni, là sotto, in fondo al mare
    mai potranno separare la mia anima
    dall’anima di Annabel Lee.
    Mai, infatti, la luna risplende ch’io non sogni
    la bella Annabel Lee:
    né mai sorgono le stelle ch’io non veda
    splendere gli occhi della bella Annabel Lee,
    e così, per tutta la notte, giaccio a fianco
    del mio amore: il mio amore, la mia vita,
    la mia sposa, nella sua tomba, là vicino al mare,
    nel suo sepolcro, sulla sponda del mare.

    Edgar Allan Poe
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