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Discussione: La poesia e il lavoro

          
  1. #1
    Senior Member L'avatar di Aleciccio
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    La poesia e il lavoro

    Il salario

    Cominciò con il primo foglietto enigmatico.
    Gli importi da miseria, i tassi, lordo, defalca, storno,
    le sommatorie, le trattenute cifrate, trattieni
    qui un tempo
    che ti appartiene,
    mi dicevo, quando rubavo
    al supermercato o alla Upim.
    Il foglietto m’iniziò al rito delle equivalenze,
    pietanza quotidiana di molti salariati.
    Improvvisamente ogni spesa imprigionava fatica
    in ore e minuti di vita.
    Un pacchetto di sigarette parlava di cinquanta
    lunghissimi minuti,
    un cinema azzerava oltre due ore.
    Mi passò la voglia di tutto,
    perché niente era all’altezza
    di me, e del mio tempo.
    In banca ritiravo solo la mia mostruosa assenza
    di valore, e vedevo amici con introiti vasti
    smarrire il sentimento di un acquisto, vomitare
    soldi morti, vuoti di ore.

    Adesso è tutto finito, mi sono abituato.
    Non ne sono uscito, mi sono addentrato piuttosto,
    ma non ho smesso il taccheggio…
    Ho accettato che il mio salario non sia corrispettivo
    di una qualità, ma misura del disprezzo
    del lavoro vivo e mero prezzo
    della mia disponibilità
    a vendere tempo. Ora, ho smesso
    quelle equivalenze.
    Questo il consuntivo.

    Jacopo Galimberti
    Bisogna essere leggeri come un uccello, non come una piuma. Paul Valery

  2. #2
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    Un antenato

    Adesso accendo la luce e faccio la doccia.
    Fintanto che c’è. Mi accendo persino la stufetta.
    Poi scendo dal cinese a lasciargli i maglioni,
    sarà un mattino terso.
    Andrò a vedere al cantiere se hanno bisogno,
    mi hanno detto che cercavano.
    Sembro più vecchio di quello che sono, forse.
    Questo è certo, l’attesa segna.
    La colazione: al bar.
    Il cameriere con il ghigno correrà tra i tavoli,
    io farò sempre attenzione alle solite pagine degli annunci,
    poi la spesa. Se è bello vado al parco
    a vedere i cigni. Magari mi fumo un sigaro.
    Io dico che prima o poi arriverà una lettera.
    Credere al destino non logora mai.
    Il destino di questa casa, mi copre,
    ma non sa quanto mi costa.
    Questo soffitto bianco è la pace raggiunta,
    le formiche irretite nel loro tran tran…
    le spugne erano animali che respiravano?
    La luce l’ho accesa, ora alzarsi, fare la doccia.
    Tutto intorno gli amici sottratti alle cure terrene:
    la bici sul balcone, le maniglie consunte, la stessa
    pattumiera, gli interruttori
    nella loro mandorla di nume domestico.
    Solo che non hanno una figlia loro.
    Smetterla di cercare lavoro
    spegnere la luce.

    Jacopo Galimberti
    Bisogna essere leggeri come un uccello, non come una piuma. Paul Valery

  3. #3
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    L’amico aveva il padre che faceva il tubista,
    e la vita se l’è sudata
    per consentire al figlio di essere quello che ora è.
    Uno che ha avuto l’intelligenza
    di mandare a quel paese i sogni
    con cui chi è giovane
    crede di essere indispensabile alla felicità della specie
    e ora, più concretamente, si dà da fare
    per convincere chi gli è vicino e chi gli è lontano
    che vivere ha senso solo se ce l’hai fissa nella testa
    l’idea che la libertà è la merce più preziosa
    che possa essere venduta nel gran bazar del mondo.
    Parla bene l’amico, l’erre un po’ moscia
    che hanno tutti quelli che indugiano sulla pronunzia
    per persuardere chi ascolta che lo stile è una cosa seria,
    il capo pelato che nella storia ha sempre distinto
    gli eletti dello spirito, e della materia.


    Nulla ricorda in lui il padre che faceva il tubista,
    e la vita se l’è sudata
    per consentirgli di essere quello che è.
    Uno che è felice di avere fatto meno
    dei sogni di quando aveva vent’anni
    ed era sicuro che il mondo potesse essere cambiato.
    Ora, quando si alza la mattina,
    legge tutti i giornali, fa colazione, si veste a puntino
    ed è subito pronto
    per recitare nel gran bazar del mondo
    la parte di chi è così felice
    di essere il servo di scena che non si chiede chi è mai
    il padrone che gli comanda di essere servo, e felice.


    È felice, e basta.
    Va in televisione, fa l’addetto stampa,
    e parla sempre con la stessa voce, dice sempre le stesse cose.
    Che i comunisti sono cattivi, e hanno rubato la gioventù
    a chi solo perché aveva vent’anni credeva di essere eterno
    e di poter cambiare il mondo. Che il mercato rende liberi,
    e che un servo di scena può essere felice come il padrone,
    e che sa bene come i servi sono simili a quei cagnolini,
    e che scodinzolano non appena annusano l’odore del biscotto.


    L’amico è una persona perbene.
    Una che ha idee precise sulle questioni morali,
    e su quelle biologiche.
    Può dire la sua sulle staminali, sugli omosessuali,
    sulla sicurezza negli stadi e su quella dei profilattici,
    sicuro di trovare il consenso di chi è convinto
    che dio qualche motivo doveva pure averlo
    quando ha affidato la sorte della specie
    a quelli che in suo nome si danno da fare
    per persuaderci che dio c’è.
    E non ha vergogna
    di essere solo un servo che se il vento cambia
    cambierà padrone come si cambiano calzini e mutande,
    e andrà a raccontare al mondo che lui aveva un padre
    e che faceva il tubista, e mentre lo faceva
    forse sognava che prima o poi con ci sarebbero stati
    più né servi nè padroni, né chi scondinzola come un cane
    non appena annusa l’odore di un biscotto.

    Emilio Piccolo
    Bisogna essere leggeri come un uccello, non come una piuma. Paul Valery

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