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Discussione: Curiosità sul Giallo e dintorni

          
  1. #31
    Io L'avatar di dolores
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    Grazie, zio Fred
    I tuoi commenti li apprezzo sempre moltissimo, lo sai, anche (forse soprattutto) quelli fatti con la macchina da scrivere.
    Please, rispolvera, rispolvera, rispolvera...
    “Non ho bisogno di tempo per sapere come sei: conoscersi è luce improvvisa” (P. Salinas)

  2. #32
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    La Enciclopedia dolores del giallo è giunta dai padri fondatori alla evoluzione hard boiled e se vi fa piacere inserisco una riflessione prendendo spunto da PSICOANALISI IN GIALLO, Cortina ed.

    Innanzi tutto ricordiamo che il giallo nasce con Poe in un periodo appena precedente i lavori di Freud. Da subito ha trattato della violenza delle passioni di cui ciascuno è potenzialmente vittima ed ha influenzato autori non propriamente gialli (Gadda, Sciascia, Durrenmatt) ma c’è chi rileva elementi gialli in Edipo re, Amleto, Delitto e castigo per non parlare dell’episodio di Susanna ed i vecchioni della Bibbia.
    Inizialmente comunque il romanzo enigma si costruisce intorno al nucleo delitto-indagine-soluzione, con l’eroe detective che svela la verità. Le storie si basano su moventi di passioni, potere, denaro e l’investigatore è presentato come essere superiore intellettivamente, dal sapere ampio (si pensi a Holmes). Durante l’indagine corre pochi rischi, si muove poco, è spesso solo, si descrivono alcune bizzarrie per renderlo più umano, ha pochi rapporti coi criminali e non li stima. La soluzione è soprattutto cognitiva pur con qualche elemento di intuizione ma solo a corollario delle doti razionali.
    La figura dell’investigatore di questo tipo può essere avvicinata alla figura dell’analista in epoca freudiana, un osservatore esterno che ricostruisce la storia con atteggiamento critico rispetto all’evidenza, fondando il suo sapere su un sistema interpretativo forte.
    Ma come si sa Freud lavorando sui sogni identificò processi inconsci e come all’analista spetta l’interpretazione rendendo conscio l’inconscio così il nostro investigatore, pur razionalissimo come Poirot, deve mettere allo scoperto il peso di verità a volte intollerabili, la disperazione, lo stupore per l’emergere di lati oscuri in ogni persona. Le passioni dunque ci sono ma il detective/analista le padroneggia, le osserva con la lente ma lui ne è esente. Ammiriamo Poirot ma il thè lo andiamo a prendere da miss Marple, e comunque anche con questa amabile vecchietta mi terrei abbottonato sui fatti miei.

    Poi la svolta.
    l’investigatore non vuole essere un erudito solutore di indovinelli alla Sherlock Holmes ma un tipo duro e scaltro, capace di tirar fuori il meglio da chi incontra, criminale, testimone innocente o cliente che sia” (Chandler, 1944). Come dice Eco questa affermazione sottolinea l’evoluzione verso il romanzo hard boiled dove si passa da un mondo in cui il paradigma era una relazione causa-effetti ad un paradigma in cui il detective più che risalire alle cause, provoca lui stesso effetti.
    L’investigatore alla Marlowe non si limita a ricostruire le cause, anzi a volte non ricostruisce un bel niente, ma è immerso negli stessi luoghi, attorniato dagli stessi personaggi del delitto e sarà la sua presenza ad evidenziare elementi che resterebbe altrimenti segreti.
    Nel romanzo hard boiled la violenza, l’azione, le passioni sono protagonisti, i personaggi sono numerosi e possono evolvere nel corso della storia. Nell’ambito della geometria del mistero ad una concezione metrica, euclidea ed ortogonale nel giallo classico a “scacchiera”, si oppone nel poliziesco hard boiled una concezione topologica e in una parola labirintica (Giovannoli, 2007).
    Come dirà Wittgestein, il romanzo giallo hard boiled è pieno di calorie e vitamine mentali.

    Quando l’enciclopedolores giungerà ai giorni nostri, potremo vedere l’introduzione di una terza via.

  3. #33
    Io L'avatar di dolores
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    Un anfitrione misterioso, dieci persone convocate in modo enigmatico in una dimora isolata tutte destinate a morire perché tra loro si nasconde un assassino spietato. Questa è la trama di un romanzo celeberrimo “…e poi non rimase nessuno” di Agatha Christie, che con 110 milioni di copie è il giallo più venduto in assoluto e l’undicesimo libro nella classifica mondiale dei bestseller.
    L’idea base è però stata completamente copiata dal misconosciuto “L’ospite invisibile” dei coniugi americani Gwen Bristow e Bruce Manning che scrissero il loro romanzo nel 1930 ben nove anni prima che uscisse il libro della Christie.



    La struttura di base e l’intreccio sono identici a parte la filastrocca del titolo originale che era “Dieci piccoli negri” (“Ten little niggers”), che si ricollega anche a Nigger Island al largo del Devon dove si svolge la storia, che poi fu cambiato in “Dieci piccoli indiani” (“Ten little indians”) e infine in “… e poi non rimase nessuno” (“And There Where None”), con il quale è ancora pubblicato negli USA, per non offendere la popolazione di colore.
    “L’ospite invisibile” ha il torto di essere molto scarno e troppo schematico per suscitare davvero interesse, in quanto è rimasto solo a livello di bozza, di soggetto, mentre la Regina del giallo, sfruttando l’idea di base, riesce a dare sostanza e suspense alla vicenda.
    Il successo di "Dieci piccoli indiani" fu amplificato anche dalla splendida prima versione cinematografica girata nel 1945 dal grande René Clair.

    “Non ho bisogno di tempo per sapere come sei: conoscersi è luce improvvisa” (P. Salinas)

  4. #34
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    Ottimo spunto zio fred, che mi fornisce l'occasione di anticipare qualche appunto del diario di famiglia del romanzo giallo. Prima però vorrei soffermarmi sulla figura del detective, questo demiurgo che riesce a portare la luce dove sono le tenebre, il raziocinio dove regna la confusione totale, l'intelligenza dove ogni domanda resta senza risposta. La capacità mitopoietica del giallo è infinita perché, come scrisse Mircea Eliade "I miti del romanzo poliziesco soddisfano le nostalgie segrete dell'uomo moderno che, sapendosi decaduto e limitato, sogna di rivelarsi un giorno un personaggio eccezionale, un eroe..." .
    Questo eroe viene analizzato da H.W.Auden ne "La parrocchia del delitto" in questo modo:
    "I detective del tutto soddisfacenti sono rari. Di fatto ne conosco solo tre: Sherlock Holmes (Conan Doyle), l'Ispettore French (Freeman Wills Croft) e padre Brown (Chesterton).
    Compito del detective è ristabilire quello stato di grazia di quando l'estetica e l'etica non erano in contrapposizione. Come l'individuo che ha causato la scissione tra queste due sfere è esteticamente provocante, il suo avversario -il detective- dovrà essere o il rappresentante ufficiale dell'etica, oppure un individuo d'eecezione lui stesso in stato di grazia. Nel primo caso è un professionista, nel secondo un dilettante. In entrambi i casi, comunque, dev'essere un personaggio estraneo alla vicenda e che non potrebbe essere assolutamente implicato nell'omicidio. Ciò esclude la polizia locale e, a mio parere, dovrebbe anche escludere ogni detective amico di qualche indiziato. [...]
    I detective dilettanti dal canto loro ci deludono. Personaggi come Lord Wimsey o Philo Vance sono superuomini presuontuosi, motivati solo dal loro personale capriccio, oppure come i detective dei romanzi hard boiled, sono mossi dalal cupidigia o dall'ambizione, per cui potrebbero benissimo essere loro stessi dei delinquenti. [...]
    Holmes e French possono essere d'aiuto all'assassino solo in veste di maestri; gli insegnano cioè che il delitto verrà scoperto e non paga. Non possono fare di più perché nessuno dei due sa cosa sia la tentazione del crimine. Holmes perché è troppo dotato e French troppo ligio alla virtù. Padre Brown invece va oltre e fornisce all'assassino l'esempio di un uomo che ha conosciuto la tentazione del delitto ma che, grazie alla fede, è riuscito a resistere."

  5. #35
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    I rapporti tra romanzo giallo e psicoanalisi sono molto più forti e complessi di quanto generalmente si pensi. Sia il detective che lo psiocanalista sono figure fondamentali di un secolo, l'Ottocento e di una corrente culturale, il Positivismo che ebbero come stella polare il raziocino, l'adorazione per la logica e l'esaltazione della ricerca scientifica. Nato ufficialmente nel 1841 con un racconto di Edgar Allan Poe il genere poliziesco o di detection si caratterizza immediatamente per la contrapposizione tra l'oscuro e il violento delitto che scuote la quotidianità e il rigido, geometrico metodo scientifico che risolve il caso e riporta la pace sociale e, se vogliamo vedere in controluce questi fattori, constatiamo lo scontro tra Romanticismo e Positivismo, le correnti culturali prevalenti del secolo.
    Poe ci offre pochissime notizie del suo investigatore. Dice solo che “Era, questo giovane gentiluomo, di buona anzi illustre famiglia” che per una serie di disgrazie si era ridotto in povertà, il cui unico lusso erano i libri. In tal modo tutta l'attenzione viene rivolta alle sue capacità analitiche e deduttive che mette subito in luce con una spettacolare comprensione dei meccanismi mentali del suo sbalordito compagno d'avventura e che, in un certo senso, preparano la strada a Sigmund Freud e alla psicoanalisi. Per il critico John C. Cawelti “La grande differenza sta nel fatto che, mentre la soluzione del detective proietta sempre su un personaggio esterno, il metodo freudiano mette a nudo i conflitti della nostra mente.” (Adventure, mystery and romance. 1976).
    Non a caso, per sottolineare questa stretta discendenza, nel romanzo “La soluzione sette per cento” scritto nel 1974 da Nicholas Meyer, Sherlock Holmes si confronta proprio con il padre della psiocanalisi.
    Come scrive sempre Cawelti “Il detective interviene e dimostra che il sospetto generale è ingiustificato. Egli dimostra che l'ordine sociale non è responsabile del crimine, che è invece responsabilità di un singolo e dei suoi privati moventi” (op. cit)
    In tale prospettiva siamo di fronte al lieto fine che riporta la pace in un universo che pareva posto sottosopra dal delitto. Possiamo così affermare che il detective assume una funzione demiurgica, sacrale e stabilizzatrice in un mondo alla deriva.
    “Gli assassinii della Via Morgue” è sicuramente il racconto di Poe più analizzato, lo hanno psicanalizzato Freud e Marie Bonaparte, singolare figura di psicoanalista, amica di Freud, diretta discendente di Napoleone e principessa di Grecia e di Danimarca, autrice anche di una biografia dello scrittore americano in cui conclude che forse il giovanissimo Poe vide la madre con un amante che anni dopo trasferì nel “ feroce scimmione quegli istinti aggressivi e bestiali, che nell'ottica primitiva del bambino dominano il suo concetto sempre sadico dell'atto sessuale”. La biografia del grande scrittore americano scritta da Marie Bonaparte si intitola "Edgar Allan Poe: studio psicoanalitico" e si suddivide in due parti:
    1: La vita e l'opera poetica. I racconti: il ciclo della madre morta-vivente e il ciclo della madre paesaggio e
    2: La confessione dell'impotente; il ciclo della madre assassinata; il ciclo della rivolta contro il padre; il conflitto con la coscienza; il ciclo della passività verso il padre; Poe e l'anima umana.
    Nel 1955 Jacques Lacan gli ha dedicato un celebre seminario che è alla base della sua scuola di psicanalisi che è contenuto in "Scritti" pubblicato da Einaudi nel 1995 , e Jacques Derrida ha scritto un saggio per criticare le interpretazioni di Lacan. A capire meglio cosa lega i due ambienti così distanti ci aiuta la psicoanalista Silvia Vegetti Finzi nel sua splendida “Storia della psicoanalisi” pubblicata da Mondadori nel 1986.
    “In questa prima fase, Freud non disdegna di interrogare i “fatti”, di interrogare i testimoni, di confrontare i ricordi del soggetto con quelli dei familiari. Ma se tale è il procedere della ricostruzione (che non sarà mai abbandonato) ben diverso è quello della costruzione, che compare in un saggio straordinario “Costruzioni in analisi” del 1937 al culmine di una intensa rielaborazione teorica. Si tratta, in primo luogo, di “ricercare le tracce”, di un metodo poliziesco dunque che ci evoca immediatamente il personaggio letterario di Sherlock Holmes, il detective inglese creato da Arthur Conan Doyle, famoso per la sua abilità nello scoprire l'autore del delitto sulla base di indizi (orme, tracce, segni) impercettibili ai più. Sappiamo poi che conosceva i lavori di un critico d'arte italiano, un certo Morelli, che proprio negli anni della “gestazione analitica” , proponeva un metodo per l'attribuzione delle opere iconografiche, distinguendo con sicurezza le imitazioni dall'originale. “Egli era giunto a questo risultato, scrive lo stesso Freud, prescindendo dall'impressione generale e dai tratti fondamentali del dipinto, sottolineando l'importanza caratteristica dei dettagli secondari, di particolari secondari come la conformazione delle unghie, dei lobi auricolari, dell'aureola e di altri elementi che passano di solito inosservati...”. In tutti e tre i casi, dell'analista, del poliziotto e del critico d'arte, tracce magari infinitesimali consentono di cogliere una realtà profonda, altrimenti intangibile. Si tratta di sintomi, nel caso di Sigmund Freud, di indizi in quello di Sherlock Holmes e di segni (pittorici) per Morelli. Le caratteristiche di queste discipline indiziarie sembrano:
    1) l'essere basate sulla decifrazione dei segni; 2) avere per oggetto casi, situazioni documenti individuali, “in quanto individuali; 3) raggiungere una conoscenza implicante un margine ineliminabile di aleatorietà, di congettura.”
    Ecco dunque il tratto unificante e predominante dei due campi di indagine, la semiologia, la conoscenza e l'interpretazione dei segni e la semeiotica, la disciplina che studia i sintomi clinici. Con questo bagaglio di conoscenze specifiche, il cavaliere Auguste Dupin, protagonista del racconto di Poe, stupisce il narratore ripercorrendo a ritroso i suoi pensieri, aiutato solo dai movimenti corporali e dagli sguardi alla luna del suo amico durante una passeggiata notturna. Allo stesso modo Sherlock Holmes capisce ciò che pensa il suo aiutante Watson dalle espressioni facciali e dai suoi mormorii e similmente l'analista penetra la psiche del paziente studiando i tic, le dimenticanze e gli errori come nel celebre saggio di Freud “Psicopatologia della vita quotidiana”, pubblicato nel 1901.
    Tutte queste suggestioni culturali e scientifiche fanno da sfondo al giallo di Caleb Carr “L'alienista” che ha come protagonista Laszlo Kreizler, un famoso alienista che ricorda il grande psicoanalista ungherese Sándor Ferenczi. Fino al ventesimo secolo coloro che soffrivano di disturbi mentali erano definiti alienati e gli esperti che studiavano le patologie mentali erano dunque noti con il nome di alienisti.
    Ambientato a New York nel 1896 il romanzo narra delle indagini sui raccapriccianti omicidi che scuotono i bassifondi più loschi della metropoli americana. Chiamato dal commissario della polizia distrettuale e futuro presidente americano Theodore Roosevelt a risolvere il caso, il dottor Kreizler si avvale delle più particolari e avveniristiche tecniche di indagini, come le impronte digitali e, appunto, la psicoanalisi. Per riuscire nell'ardua impresa, “l'alienista” dovrà superare gli ostacoli creati dalla malavita e dall'ostilità per la novità dell'inchiesta e per catturare l'assassino dovrà riuscire a sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda della sua mente perversa.
    Il merito più grande di Carr è quello di aver inserito un plot poliziesco originale in un contesto splendidamente caratterizzato e rispondente ad ogni dettaglio storico.
    A questo splendido giallo ha fatto seguito “L'angelo delle tenebre” in cui Kreizler indaga sul rapimento della figlia di un diplomatico spagnolo all'uscita del Metropolitan Museum. Sullo sfondo di questo crimine si scoprono oscuri interessi politici influenzati dalle tensioni tra Spagna e Stati Uniti che porteranno alla guerra di Cuba.
    Il fascino della New York di fine Ottocento cesellato con maestria da Caleb Carr non ha proprio niente da invidiare alla nebbiosa Londra, terreno di caccia preferito da Sherlock Holmes.

  6. #36
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    Che la scienza medica e il giallo abbiano profondi legami è attestato anche dal fatto che il modello su cui Arthur Conan Doyle sviluppò l'immortale personaggio di Sherlock Holmes fu il suo professore di Medicina all'Università di Edimburgo Joseph Bell. L'occhio clinico che permetteva al medico di capire istantaneamente di quale malattia soffrisse il paziente fu trasfusa nel metodo deduttivo caratteristico del segugio londinese.
    Riguardo a Edgar Allan Poe, nel suo primo capolavoro giallo "Gli assassinii della via Morgue" Auguste Dupin primo investigatore della storia del Giallo, passeggia con il narratore ed ad un certo punto dopo diversi minuti di silenzio parla seguendo esattamente i pensieri dell'amico decifrando ogni suo sguardo e ogni sua smorfia, delineando la traiettoria delle sue riflessioni:
    "Non si deve pensare, da quanto ho detto, che io stia rivelando un mistero o costruendo un romanzo. Quello che ho descritto in questo francese era soltanto il risultato, l'effetto di un'intelligenza eccitata e forse ammalata. Ma un esempio varrà meglio di ogni altra cosa ad illustrarvi la natura delle sue osservazioni nei momenti ai quali ho accennato.
    Passeggiavamo una notte per una lunga strada sudicia nelle vicinanze del Palais Royal. Immersi entrambi nei nostri pensieri, non avevamo profferito sillaba da almeno un quarto d'ora.
    All'improvviso Dupin ruppe il silenzio con queste parole:
    "E' davvero molto piccolo, e sarebbe più adatto per il Théâtre des Variétés".
    "Non c'è dubbio," risposi meccanicamente, non rendendomi conto al primo momento (tanto ero preso dalle mie riflessioni) della straordinaria esattezza con cui il mio interlocutore si era riagganciato al filo delle mie meditazioni. Me ne sovvenni un istante dopo, e il mio sbalordimento fu profondo.
    "Dupin," dissi, gravemente, "questo è più di quanto riesca a capire. Devo ammettere che mi avete sbalordito, e sono quasi tentato di non credere ai miei sensi. Come avete potuto indovinare che stavo pensando a...?" E qui m'interruppi, per accertarmi definitivamente se sapesse davvero a chi stavo pensando.
    "... a Chantilly," finì Dupin, "ma perché v'interrompete? Stavate rilevando fra di voi che la sua bassa statura lo rende inadatto a recitare tragedie".
    E questo era stato per l'appunto l'oggetto delle mie riflessioni.
    Chantilly era un ex-ciabattino della Rue St.-Denis, il quale, pazzo per il teatro, si era cimentato nel ' rôle ' di Serse, nell'omonima tragedia di Crébillon, e i suoi sforzi erano stati oggetto di scherno generale.
    "Ditemi, per amor del cielo," esclamai, "quale metodo - se pure metodo c'è - vi ha permesso di scandagliare il mio pensiero su questo argomento".
    Effettivamente ero anche più sorpreso di quanto fossi disposto ad ammettere.
    "E' stato il fruttivendolo," rispose il mio amico, "a portarvi alla conclusione che quel rappezza-suole non aveva statura sufficiente per Serse et id genus omne".
    "Il fruttivendolo!... Mi stupite... Non conosco nessun fruttivendolo".
    "L'uomo che vi ha urtato quando abbiamo imboccato questa strada...
    sarà circa un quarto d'ora fa".
    Mi ricordai infatti che un fruttivendolo, che reggeva sul capo un enorme cesto di mele, mi aveva quasi buttato per terra, per sbaglio, mentre passavamo dalla Rue C... nella via dove adesso ci trovavamo; ma che cosa avesse a che vedere questo con Chantilly proprio non mi riusciva di capire. Non c'era un briciolo di ' charlatanerie ' in Dupin.
    "Ora vi spiegherò," mi disse, "e perché possiate capire ogni cosa con chiarezza, cominceremo col riesaminare l'ordine di successione dei vostri pensieri dal momento in cui vi ho parlato fino a quello della ' rencontre ' col fruttivendolo in questione. Gli anelli principali di questa catena si saldano in questa successione:
    Chantilly, Orion, Dottor Nichols, Epicuro, la stereotomia, il selciato, il fruttivendolo".
    Sono poche le persone che non si siano divertite, in qualche periodo della loro vita, a ripercorrere i passi compiuti dalla loro mente per arrivare a certe determinate conclusioni. E' un'occupazione che ha in sé molti motivi di interesse; e colui che l'esperimenta per la prima volta si stupisce dell'incoerenza e della distanza, apparentemente incolmabile, che corre tra il punto di partenza e quello d'arrivo. Quale non fu dunque la mia meraviglia quando mi sentii dire dal francese quel che vi ho riportato e quando fui costretto a riconoscere che le sue parole corrispondevano a verità. Dupin continuò:
    "Avevamo parlato di cavalli, se ben ricordo, prima di lasciare la Rue C... Fu questo il nostro ultimo argomento. Mentre attraversavamo la strada per imboccare questa via, un fruttivendolo con una grande cesta in bilico sul capo, superandoci di gran fretta, vi spinse sopra un mucchio di pietre da pavimentazione accatastate in un punto in cui il marciapiede è in riparazione. Siete inciampato in una delle pietre sparse all'intorno, siete scivolato storcendovi leggermente la caviglia, avete assunto un'aria seccata o perlomeno rannuvolata, avete borbottato qualche parola, vi siete voltato indietro a guardare il mucchio di sassi e poi avete ripreso a camminare in silenzio. Non prestavo soverchia attenzione a quanto facevate; ma ultimamente l'osservazione è diventata per me una specie di mania.
    "Avete tenuto abbassati gli occhi per terra, lanciando sguardi indispettiti alle buche e ai solchi del marciapiede (per cui conclusi che stavate ancora pensando alle pietre), finché giungemmo al vicoletto Lamartine, che è stato lastricato in via sperimentale con dei blocchi saldati e sovrapposti. Qui notai che il vostro viso si rasserenava e da un movimento delle vostre labbra mi convinsi che stavate mormorando la parola 'stereotomia' termine che si applica con una certa affettazione a questo tipo di lastricato. Sapevo che non avreste potuto pronunciare tra voi il vocabolo 'stereotomia' senza essere portato a pensare agli atomi e di conseguenza alla teoria di Epicuro; e poiché quando discutemmo questo argomento non molto tempo fa vi accennai al fatto davvero singolare, anche se praticamente ignorato, che le vaghe ipotesi di questo illustre greco fossero state confermate dalla più recente cosmogonia nebulare, mi parve che non avreste potuto fare a meno di alzare gli occhi verso la grande nebulosa d'Orione e mi apprestai con una certa sicurezza a vedervelo fare. Voi guardaste in alto; e fui allora certo di aver seguito esattamente il corso del vostro pensiero. Ma in quella spietata ' tirade ' contro Chantilly, pubblicata ieri sul ' Musée ' l'articolista, alludendo ironico e malevolo al cambiamento di nome del calzolaio all'atto di calzare il coturno, citò un verso latino sul quale abbiamo sovente discusso. Mi riferisco a quel verso che dice:
    Perdidit antiquum litera prima sonum.
    "Vi avevo spiegato che questo si riferiva a Orione, che in passato si scriveva Urione; e per certe particolarità pungenti connesse alla spiegazione ero certo che non l'avreste dimenticato. Era evidente perciò che non avreste mancato di riaccostare le due idee di Orione e Chantilly. E che effettivamente le associaste lo capii dalla natura del sorriso che vi aleggiò sulle labbra. Pensavate al sacrificio del povero ciabattino. Fino allora avevate camminato tutto ricurvo ma ora notai che vi erigevate in tutta la vostra statura. Fui certo a questo punto che stavate riflettendo sull'altezza di Chantilly. Fu allora che interruppi il corso dei vostri pensieri per osservare che era proprio un omino, quel Chantilly, e che avrebbe figurato meglio al Théâtre des Variétés".
    http://digilander.libero.it/davis2/lezioni/letteratura/

  7. #37
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    Ecco qui invece un esempio del ragionamento di Sigmund Freud sulla dimenticanza di un nome che ricalca alla perfezione il flusso logico illustrato dal Cavaliere Auguste Dupin:
    "Inserisco qui ancora un esempio di dimenticanza di un nome
    di città, che forse non è cosi semplice come quelli precedenti [vedi
    sopra i NN. 1 e 3] ma che apparirà plausibile e prezioso a chiunque
    abbia dimestichezza con questo genere di ricerche. Si tratta del nome
    di una città italiana, che si sottrae alla memoria a motivo della sua
    forte somiglianza fonetica con un nome femminile di persona al
    quale si ricollegano numerosi ricordi affettivi, non certo esaurientemente
    descritti nella comunicazione. Sàndor Ferenczi di Budapest,
    che osservò questo caso di dimenticanza su sé stesso, lo trattò cosi
    come si analizza un sogno 0 un'idea nevrotica, e sicuramente con
    ragione.
    "Oggi mi trovavo presso una famiglia amica; si venne a parlare delle
    città dell'Alta Italia. Qualcuno dice che in queste città ancora si riconosce l'influsso austriaco.
    Se ne citano alcune; anch'io ne voglio
    nominare una ma il suo nome non mi viene in mente anche se so
    di avervi trascorso due giorni molto gradevoli, il che non si accorda
    bene con la teoria di Freud sulla dimenticanza. Invece del nome di
    città cercato mi si affacciano le seguenti associazioni: Capua, Brescia,
    II leone di Brescia.
    "Mi vedo davanti questo 'leone' realisticamente come statua di
    marmo, ma mi accorgo subito che assomiglia non tanto al leone
    del monumento alla liberazione, che si trova a Brescia e che ho visto
    soltanto in immagine, quanto piuttosto a quell'altro leone marmoreo
    da me veduto nel monumento in memoria delle guardie
    svizzere cadute alle Tuileries che si trova a Lucerna, e di cui ho una
    riproduzione in miniatura sullo scaffale dei miei libri. Infine riesco
    a ricordare il nome cercato: è Verona.
    "So anche immediatamente chi porta colpa di questa amnesia. Non
    è altri che un'ex cameriera della famiglia presso la quale mi trovo in
    visita. Si chiamava Veronica, in ungherese Verona, e mi era antipaticissima
    a causa della sua fisionomia ripugnante, la sua voce roca
    e stridula e la sua urtante confidenzialità (alla quale si riteneva autorizzata
    in virtù dei suoi molti anni di servizio presso la famiglia).
    Anche il modo dispotico con cui a suo tempo trattava i bambini di
    casa mi era insopportabile. Ed ora sapevo anche che cosa significassero
    le parole sostitutive.
    "Con Capua associo immediatamente caput mortuum; molto
    spesso paragonavo la testa di Veronica a un teschio. La parola ungherese
    kapzsi (avido di danaro) forniva certamente un'altra determinazione
    per lo spostamento. Naturalmente trovo anche le vie associative
    più dirette che collegano fra di loro Capua e Verona in quanto
    concetti geografici e parole italiane di uguale cadenza.1
    "Lo stesso vale per Brescia; ma anche qui si trovano intricate vie
    secondarie del nesso ideativo.
    "La mia antipatia era a suo tempo cosi violenta da farmi apparire Veronica addirittura rivoltante,
    ed espressi più volte la mia sorpresa
    che essa potesse tuttavia avere una sua vita erotica e potesse
    essere amata. 'Baciarla — dicevo — deve muovere il vomito.'2
    Ciò non toglie che essa era certamente da lungo tempo in connessione
    con l'idea delle guardie svizzere cadute.
    "Almeno qui da noi in Ungheria si usa nominare spesso Brescia
    non in connessione con il leone ma con un altro animale feroce. Il
    nome più odiato in questo paese come anche in Alta Italia è quello
    del generale Haynau, chiamato la 'iena di Brescia'. Dall'odiato despota
    Haynau vi è quindi un filo conduttore che, attraverso Brescia,
    conduce alla città di Verona; un altro filo conduttore, attraverso
    l'idea dell'animale dalla voce roca che s'aggira attorno alla tombe
    (che concorre a far affiorare il monumento in memoria dei morti),
    va al teschio e alle spiacevoli corde vocali di Veronica, dal mio inconscio
    insultata cosi gravemente e che a suo tempo infieriva in
    questa casa in modo quasi altrettanto dispotico del generale austriaco
    nelle lotte per la libertà degli ungheresi e degli italiani.
    "A Lucerna si riconnette il pensiero di quell'estate che Veronica
    passò coi suoi padroni al Lago dei Quattro Cantoni, nelle vicinanze
    di Lucerna; alle guardie svizzere, il ricordo di quando essa riusciva a
    tiranneggiare non solo i bambini ma anche i membri adulti della
    famiglia, compiacendosi di fare la parte della Garde-Dame [vecchia
    governante].
    "Noto espressamente che la mia antipatia — conscia — per Veronica
    fa parte delle cose da gran tempo superate. Veronica nel frattempo
    è cambiata molto vantaggiosamente tanto nell'aspetto quanto
    nelle maniere e, nelle rare occasioni che ho, posso incontrarmi con
    lei con sincera affabilità. Il mio inconscio, come al solito, conserva
    le impressioni con maggiore tenacia; è 'retrospettivo' e 'vendicativo'.
    "Le Tuileries sono un'allusione a una seconda persona, una signora
    francese piuttosto anziana che effettivamente faceva da guardia in
    molte occasioni alle donne di casa e che dai piccoli e dai grandi
    veniva stimata e, un pochino, anche temuta. Fui suo élève [allievo]
    di conversazione francese per un certo tempo. A proposito della
    parola élève, mi viene ancora in mente che quando fui in visita
    presso il cognato del mio odierno anfitrione, nella Boemia settentrionale,
    trovai molto divertente che la popolazione rurale del luogo
    chiamasse Lòwen [leoni]3 gli allievi della locale Accademia forestale.
    Può darsi che anche questo ricordo comico sia intervenuto nello spostamento
    dalla iena al leone."
    1 [Nella pronuncia ungherese.]
    2 [In tedesco vomito = Brechreiz; confronta la prima sillaba con la prima sillaba di
    Brescia.]
    3 [La prima sillaba pronunciata approssimativamente in dialetto come la seconda sillaba di élèves.]
    Da "Psicopatologia della vita quotidiana"(1901)
    http://digidownload.libero.it/m_de_pasquale/Freud_Psico…

  8. #38
    Senior Member L'avatar di zio fred
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    soccia! come direbbero a Bologna, che magnifico contributo!
    speriamo solo di non far scappare tutti con questa botta di psico.....

  9. #39
    Io L'avatar di dolores
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    Come ogni genere letterario di successo anche il giallo è stato analizzato e sviscerato in ogni suo aspetto per carpirne i suoi più segreti meccanismi interni.
    Una delle disamine più serie e interessanti è sicuramente quella fatta dall’Oulipopo (acronimo di Ouvroir de littérature policière potentielle, che potremmo tradurre con “Laboratorio di letteratura poliziesca potenziale”) nato da una costola dell’Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle), gruppo di scrittori e letterati francesi volti a cercare uno sbocco diverso e particolare alla letteratura, ritenuta stagnante e non più interessante.
    Tra i membri dell’Oulipo, che si definivano “topi che si costruiscono da sé il labirinto da cui tentano di uscire”, sono da annoverare Raymond Queneau che fu uno dei fondatori, Georges Perec, Marcel Duchamp e, unico tra gli italiani, Italo Calvino.
    L’Oulipopo invece si propone di studiare le situazioni e i meccanismi del romanzo poliziesco e i modi usati per combinarli (Oulipopo analitico) e tutte le matrici potenzialmente utilizzabili ma ritenuti inservibili (Oulipopo sintetico). Il lavoro più stimolante pubblicato da questo particolarissimo opificio è senza dubbio l’indagine sulla struttura interna del giallo enigma classico che è stato identificata nella sequenza:
    Preludio-> enigma-> inchiesta-> soluzione.

    Secondo gli studi del francese Jean-Pierre Colin, l’universo narrativo poliziesco si fonda in genere su tre costanti: esiste un equilibrio sociale che ad un certo punto subisce una brusca cesura (il delitto, D). L’equilibrio interrotto viene ristabilito [R] grazie ad un’inchiesta, un’indagine intellettuale (I) e/o un’indagine materiale (M) che in genere è l’inseguimento del colpevole. La prima forma di indagine è tipica del giallo classico all’inglese o “Whodonit” mentre la seconda è caratteristica del romanzo nero americano l’”hard boiled”.
    Lo schema tipico di questa forma di narrativa è di solito il seguente:
    D------I-----------M---------R





    Nel giallo classico l’indagine intellettuale ha una parte preponderante, a volte addirittura esclusiva, spesso l’indagine materiale non esiste proprio, è uguale a zero, come in molti romanzi di Agatha Christie, Van Dine e Ellery Queen, per cui lo schema risulta il seguente:
    D--------------I-------------------R. (M=0)
    (Nei romanzi di Rex Stout invece c’è un sapiente dosaggio di queste due variabili dove l’indagine intellettuale (I) viene svolta da Nero Wolfe, auto-recluso in casa, mentre il compito di raccogliere prove e l’indagine materiale (M) è di stretta pertinenza di Archie Goodwin o di altri detective ingaggiati all’occorrenza come Saul Panzer).





    Nell’hard boiled succede il contrario, quasi non esiste indagine intellettuale, (I = 0) e tutto il romanzo si basa sull’inseguimento (M). In alcuni romanzi la rottura rappresentata dal delitto non avviene all’avvio della storia, ma è preceduta da un preludio, da un periodo d’attesa (A) che serve a creare nel lettore uno stato d’inquietudine crescente, di instillargli l’angosciosa premonizione che qualcosa di drammatico sta per accadere. Questo preludio è un’attesa principalmente psicologica che precede l’attesa logica rappresentata dall’indagine intellettuale o materiale del detective che inizia non appena il delitto viene scoperto. Lo schema di questi romanzi risulta quindi leggermente più complicato:
    A-------D---------I-------M-------R dove I o M possono non esserci.

    Un’altra differenza fondamentale tra giallo classico e hard boiled è costituita dal fatto che nel primo caso la soluzione dell’enigma ristabilisce gli equilibri preesistenti e una volta arrestato o individuato il reprobo la pace sociale viene restaurata e il lettore viene confortato nella sua percezione che il mondo è giusto e sano e che il misfatto è solo opera di uno scellerato.
    Nell’hard boiled invece anche quando il malvagio viene catturato o ucciso, l’equilibrio sociale non viene ristabilito, il lettore non viene rasserenato e diventa consapevole che il mondo è marcio.
    Quindi da una parte c’è la funzione consolatoria del giallo contrapposta alla problematicità verista del romanzo noir.
    “Non ho bisogno di tempo per sapere come sei: conoscersi è luce improvvisa” (P. Salinas)

  10. #40
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    ma dolores,
    eri arrivata ad Agatha ed io avevo offerto una riflessione tra investigatore classico e la prima apparizione del detective hard boiled, anni ’40.
    Poi vado un attimo a prendere le sigarette, torno e vedo che siamo arrivati di colpo all’ultima evoluzione del giallo moderno.
    Ecco, i
    soliti giovani frettolosi! Stavo appena raccogliendo materiale per una mia seconda puntata che già è superata!

  11. #41
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    ma dolores,
    eri arrivata ad Agatha ed io avevo offerto una riflessione tra investigatore classico e la prima apparizione del detective hard boiled, anni ’40.
    Poi vado un attimo a prendere le sigarette, torno e vedo che siamo arrivati di colpo all’ultima evoluzione del giallo moderno.
    Ecco, i
    soliti giovani frettolosi! Stavo appena raccogliendo materiale per una mia seconda puntata che già è superata!
    Il bello è che si può tornare indietro...
    Aspetto l'elaborazione del materiale che hai raccolto.
    Però non sono una giovane frettolosa... sono una frettolosa di mezza età
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  12. #42
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    ma dolores,
    eri arrivata ad Agatha ed io avevo offerto una riflessione tra investigatore classico e la prima apparizione del detective hard boiled, anni ’40.
    Poi vado un attimo a prendere le sigarette, torno e vedo che siamo arrivati di colpo all’ultima evoluzione del giallo moderno.
    Ecco, i
    soliti giovani frettolosi! Stavo appena raccogliendo materiale per una mia seconda puntata che già è superata!
    zio fred, io sarò anche frettolosa, ma sono passati due giorni e di te non ci sono notizie... Le tue osservazioni sono così acute e interessanti che in qualsiasi punto tu voglia farle saranno sicuramente gradite
    Io intanto proseguo.


    L’ultima frontiera del romanzo giallo è quella indicata da Umberto Eco nelle sue “Postille al Nome della rosa”: “Sembra che il gruppo parigino dell’Oulipo abbia costruito di recente una matrice di tutte le possibili situazioni “gialle”, scoprendo che dev’essere ancora scritto un libro in cui l’assassino è il lettore”.




    Eco si riferisce al saggio “Qui est le colpable?” (“Chi è il colpevole?”), redatto da François Le Lionnais nel 1969 in cui vengono analizzati i vari possibili responsabili dei delitti dei gialli a partire dal primo (uno scimmione), al narratore (come in un celebre romanzo di Agatha Christie), all’editore del libro (come in una non specificata novella di Wodehouse). Alla fine del suo lavoro Le Lionnais lanciò la sua provocazione dicendo di aver trovato una soluzione razionale (senza trucchi o mezzi soprannaturali) per rendere colpevole il lettore.
    La sfida fu raccolta per primo dal giallista inglese Peter Lovesey che nel suo racconto “Youdunnit” (che è diventato anche il marchio di fabbrica di questo particolarissimo genere) riesce nell’impossibile compito. Un anno dopo Jean-Louis Bally nel suo “La dispersion des cendres” trova un originale intreccio per assolvere l’assunto, immaginando un autore che, scrivendo un giallo destina tutti i diritti d’autore ad un fondo segreto che una volta raggiunta una certa cifra paga un killer per assassinare lo scrittore. Max Dorra nel 1999 scrisse lo “youdunnit” “Vous permettez que vous dise tue?” pubblicato anche in inglese con il titolo “You Shalt Kill”. Questo fatto stimolò ancora Peter Lovesey che ingelosito dal successo del francese scrisse “Assassinando Max” in cui per la prima volta un giallista ne uccide un altro. Questo gustosissimo racconto è presente nella raccolta “Lo strangolatore di Sedgemoor” pubblicato nel 2003 nella collana Supergiallo Mondadori.
    Alla serie di autori “youdunnit” si deve aggiungere anche l’italiano Raoul Montanari, che nel romanzo “Sei tu l’assassino” del 1997 (che cita nel titolo un racconto di Poe) sottotitolato “l’ultimo giallo possibile” immagina che un redattore di una casa editrice venga ucciso dalla scarica elettrica partita da un computer. Le indagini portano alla scoperta che la vittima lavorava al progetto di un libro interattivo e, per chiudere il cerchio, che la casa editrice è la “Marcos y Marcos”, la stessa che pubblica nella realtà il romanzo. Alla fine il lettore scopre che il meccanismo omicida parte proprio dalla sua mano.
    “Non ho bisogno di tempo per sapere come sei: conoscersi è luce improvvisa” (P. Salinas)

  13. #43
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    [QUOTE=dolores;2453]zio fred sono passati due giorni e di te non ci sono notizie...

    notizie? se ti riferisci al seguito che avevo in mente mi permetterai di ritenerlo ormai superato.
    Procedi pure tranquillamente, ti seguo con interesse nel tuo raccontare e quando avrò da dire qualcosa lo farò con piacere.
    Ma il forum offre ormai molti spunti interessanti ( es. quello sul teatro) e quindi svolazzo qua e là come una libellula, peraltro spesso notturna.

  14. #44
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    La voglia di cercare nuove strutture narrative per il romanzo poliziesco non è tipica solo dei surrealisti, dei cultori della patafisica, degli sperimentatori o degli autori postmoderni contemporanei ma anche i protagonisti dell’epoca d’oro si divertirono a creare un canovaccio che uscisse dagli schemi soliti del canone giallo. Uno di questi tentativi è “L’ammiraglio alla deriva” scritto da alcuni membri del Detection Club nel 1930.
    Il Detection Club è un’associazione di scrittori di romanzi polizieschi fondata a Londra nel 1931 e da allora ha riunito i più grandi esponenti della letteratura gialla a partire dal primo presidente G.K. Chesterton. Tra gli altri presidenti di questo prestigioso club ci sono state grandi personalità come Dorothy L. Sayers e Agatha Christie che lo guidò per 20 anni, dal 1956 al 1976.
    “L’ammiraglio alla deriva” è il primo esperimento di giallo collettivo, scritto a più mani dai maggiori giallisti dell’epoca tra i quali oltre ai citati figurano anche Henry Wade, Anthony Berkeley, John Rhode e Freeman Wills Croft.





    Il romanzo è stato pianificato facendo scrivere un capitolo ad ogni autore tenendo conto di due regole base. Ogni scrittore doveva scrivere avendo in mente la sua soluzione definitiva e doveva spiegare ogni indizio comparso nella narrazione. Alla fine del libro compaiono le diverse soluzioni prospettate dagli autori per avere chiare le linee guida dell’intreccio.
    Nato come un gioco, “L’ammiraglio alla deriva” non riesce a prendere quota e annoia per l’estremo groviglio di indizi fuorvianti ma l’idea di base resta suggestiva e nel complesso è un giallo che non sfigura nei confronti dei più interessanti dell’epoca.
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  15. #45
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    Il giallo italiano

    Il “giallo italiano” nasce in ritardo rispetto alle altre letterature che tra la seconda parte dell’Ottocento e i primi del Novecento alimentano i voraci lettori del genere con tantissimi romanzi polizieschi di qualità e di successo molto vari.
    Rimane isolata la lezione di Emilio De Marchi (1851-1901), membro della Scapigliatura milanese e autore di romanzi come "Demetrio Pianelli", "Arabella" e "Giacomo l’idealista".



    Nel suo romanzo “Il cappello del prete” (1888), uno dei primissimi, se non il primo vero “giallo” italiano, che uno dei maggiori esperti italiani - Raffaele Crovi - ha definito “il proto-thriller italiano”, De Marchi utilizza la tecnica verista della simbiosi lingua-dialetto e mette in primo piano una serrata inchiesta di coscienza che avviene nel colpevole, che lo porta alla fine a costituirsi alla giustizia: il barone napoletano Coriolano di Santafusca, ridotto all’indigenza da una vita sregolata e dispendiosa, dedita in particolare al gioco d’azzardo, trovatosi a dover pagare una scadenza finanziaria e non potendo tollerare l’idea della miseria e del disonore ricorre al delitto uccidendo un facoltoso prete per impossessarsi del suo patrimonio. Il delitto, preparato a freddo, sembrerebbe perfetto ma il cappello del prete dimenticato sul luogo del delitto mette in moto due inchieste, una giudiziaria, che non porterebbe a nessun risultato se nell’animo del barone non si scatenasse un processo ossessivo e tenace che lo costringerà alla confessione del misfatto. Di questo romanzo nel 1970 fu tratta una pregevole versione televisiva diretta da Sandro Bolchi, con Luigi Vannucchi nei panni del barone Coriolano di Santafusca.

    Tra le principali cause di una mancata scuola italiana del giallo molti critici pensano ci sia la mancanza di validi scrittori “professionisti” disposti a diventare validi “artigiani” del romanzo, come successe in tante altre nazioni. Neanche la nascita nel 1929 dei “Gialli Mondadori”, che diedero anche il nome con cui sono riconosciuti i libri polizieschi, riuscì a creare un gruppo di autori di un certo spessore.
    Una spinta involontaria alla creazione di una scuola italiana venne da una disposizione del Regime Fascista. Il Ministero della Cultura Popolare, noto anche come Minculpop, impose infatti una quota di autori italiani per ogni collana pubblicata e ciò costrinse gli editori a cercare e quasi a “creare” una ventina di giallisti italiani.



    Il primo ad essere pubblicato nei “Gialli Mondadori” fu nel 1931 il saggista e drammaturgo Alessandro Varaldo con “Il sette bello”. Varaldo tra il 1931 e il 1938 scrisse altri sette romanzi polizieschi tra cui ricordiamo “Le scarpette rosse”, “La gatta persiana” e “Il tesoro dei Borboni”, che hanno come protagonista il commissario romano Ascanio Bonichi che affronta situazioni che ricordano le atmofere create da Edgar Wallace, ricche di colpi di scena e di episodi misteriosi. Sulla scia di Attilio Varaldo si cimentano con il romanzo poliziesco anche altri scrittori di valore come Alessandro De Stefani, Ezio d’Errico e Tito A. Spagnol, personaggio singolarissimo, che fu giornalista prima di trasferirsi ad Hollywood dove collaborò anche con Frank Capra. Di Tito A. Spagnol che debuttò con “L’unghia del leone”, vale la pena di citare anche “La bambola insanguinata”.



    Tra i tantissimi romanzi pubblicati da Mondadori ci fu anche “L’anonima Roylott” di Guglielmo Giannini, drammaturgo, giornalista e uomo politico che nell’immediato dopoguerra fondò il partito “Fronte dell’Uomo Qualunque”, che ebbe una fortuna tanto travolgente quanto effimera.
    “Non ho bisogno di tempo per sapere come sei: conoscersi è luce improvvisa” (P. Salinas)

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