Dalla quarta di copertina: Il romanzo dell’oscura, crudele Sicilia. Il dramma di un investigatore lucido che, quanto più indagava, tanto più “nell’equivoco, nell’ambiguità, moralmente e sensualmente si sentiva coinvolto”.

Nel novembre del 1965 Italo Calvino scriveva a Sciascia a proposito di A ciascuno il suo: “Ho letto il tuo giallo che non è un giallo, con la passione con cui si leggono i gialli, e in più il divertimento di vedere come il giallo viene smontato, anzi come viene dimostrata l’impossibilità del romanzo giallo nell’ambiente siciliano”. Il romanzo apparve da Einaudi nel 1966.


Mio commento:
Ci sono molti fatti che sono sotto gli occhi di tutti, che tutti conoscono perché talmente evidenti e scontati che non necessitano di una conferma ufficiale.
E quando se ne parla furtivamente tutti a dire “io lo sapevo”, “io lo immaginavo”, salvo poi stare in silenzio quando se ne parla apertamente, in pubblico.
Se una morale ci deve essere nel bellissimo romanzo di Sciascia, per me, è appunto questa: ciò che avviene nel chiuso delle case e dei circoli del paesino della Sicilia, in fondo altro non è che uno spaccato di una certa società italiana di cui quotidianamente leggiamo e viviamo sulla nostra pelle, fatti e misfatti, corsi e ricorsi, feroci ricordi e indecenti carezze…
Un investigatore che non cerca giustizia ma solo soddisfacimento della sua curiosità, che si muove con discrezione in un ambiente chiuso, dove tutti sanno tutto di tutti, e poche parole sono sufficienti a suscitare molti sospetti. Un quadro di una Sicilia degli anni ’60 che seppure non perfettamente riconducibile ai giorni nostri, mostra sostanziali analogie che spingono inevitabilmente a un parallelismo intellettuale.
Unicuique suum, a ciascuno il suo, ma verrà mai un tempo in cui il particolare non sovrasterà la coscienza collettiva?