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Discussione: Pappagalli verdi - Gino Strada

          
  1. #1
    Senior Member L'avatar di Baudin
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    Pappagalli verdi - Gino Strada








    Dalla quarta di copertina:
    "Gino Strada arriva quando tutti scappano, e mette in piedi ospedali di fortuna, spesso senza l’attrezzatura e le medicine necessarie, quando la guerra eplode nella sua lucida follia. Guerre che per lo più hanno un lungo strascico di sangue dopo la fine ufficiale dei conflitti: quando pastori, bambini e donne vengono dilaniati dalle tante mine antiuomo disseminate per le rotte della transumanza, o quando raccolgono strani oggetti lanciati dagli elicotteri sui loro villaggi. I vecchi afgani li chiamano Pappagalli verdi. Questo libro ci consegna le immagini più vivide, i ricordi più strazianti, le amarezze continue dell’esperienza di medico sugli scenari di guerra del nostro tempo."



    La prefazione di Moni Ovadia:

    "La litania più ricorrente dei nostri tempi molli e opachi, pancia bassa nella sinusoide dell'alternarsi dell'umana vicenda, è "non ci sono più valori".
    Incontriamo questa litania anche nella variante nostalgico/rinunciataria "non ci sono più ideali per cui battersi". Sfruttamento, violenza, guerra, morti, violazioni dei diritti, sopraffazione dei deboli, delle donne e dei bambini, sottomissione dell'uomo e dei suoi valori alle logiche del denaro e del mercato (le uniche ideologie che godono di immunità ideologica) sono sotto i nostri occhi, ma dato che le glorie dello scontro frontale non sono più in offerta speciale, i neurorecettori della sensibilità all'altrui sofferenza paiono essersi atrofizzati.
    Ma non era la libertà dell'uomo, la sua irrinunciabile santità, la posta del contendere? Ε dunque i termini della questione non rimangono in qualche misura radicalmente gli stessi pur nel mutare delle stagioni e delle intemperie?
    Alcuni lo sanno anche oggi, conoscono la massima prius vivere, deinde filosofari, si rimboccano le maniche e fanno quello che c'è da fare.
    Il chirurgo di guerra Gino Strada, specializzato in prestigiose università (curriculum perfetto per una baronia) è uno di questi "uomini con qualità" che hanno poche idee, forse meno che poche, una: risarcire l'uomo ferito e menomato dalla violenza dei suoi simili. Α questa idea dedicano il loro sapere, il loro sentire, la loro azione che non si avvale solo delle sofisticate tecniche della chirurgia clinica, ma di quelle meno codificabili ed esplicabili della chirurgia umana per cui il dolore di un altro essere umano, è il loro dolore.
    Α me che traffico come posso con l'etica dell'ebraismo, Gino Strada ricorda i principi fondamentali dell'antropologia ebraica: noi tutti discendiamo da un solo uomo perché nessuno possa dire il mio progenitore è meglio del tuo.
    Ciononostante siamo tutti diversi l'uno dall'altro perché non siamo la semplice replica di un modello, ma un unicum insostituibile che per questo contiene in sé l'umanità tutta. Dunque, chi salva una vita, salva l'intero universo e così progetta la salvezza di noi tutti.
    Le mine antiuomo, paradigma di viltà, strumenti di morte proiettati nel futuro delle giovani generazioni che prediligono i bambini perché sono il futuro delle genti, vengono prodotte e disseminate da uomini "decenti" che siedono nelle assise internazionali e commerciate da insospettabili uomini d'affari con dovizia di illustrazioni sulla loro efficacia.
    Questi fiori metallici dell'infinita infamia umana, lacerano, accecano, sbrindellano, cancellano parti di vita, creano voragini di antimateria, progettano il non-uomo. Ma è proprio in quelle assenze di carne, di vita, di luce, che l'umanità esprime la sua intimità più lancinante.
    In quei luoghi umani violati e negati, i Gino Strada costruiscono l'umanità possibile del futuro, l'unica possibile. Ι veri valori etici possono nascere solo da una prassi di vita che si misura con i limiti, le passioni, le paure, le ritrosie, l'esasperazione del procedere alla ricerca di sé, nell'altro da sé.
    Questo ci racconta Gino nel suo libro, con lo stile necessario di chi racconta ciò che fa e ciò che fa è insieme così anomalo eppure così universale, folle e insieme normale, paradigma esemplare di quello che ogni essere umano dovrebbe ricercare in sé.
    Ε il racconto sgorga con asciutta sobrietà e commuove perché è il racconto di uno che sa quel che fa perché fa quello che deve. Leggere le pagine di questo rude chirurgo di poche parole e molti fatti, fa bene alle funzioni sopite di chi si affida alle litanie.
    Ι tempi delle palingenesi rivoluzionarie assolute e totalizzanti sono finiti, ma ci sono luoghi di rivoluzione nei posti più impensati: uno di questi luoghi è sicuramente il bisturi di Gino Strada."


    C'è poco da aggiungere da parte mia.
    Come dice l’autore “Non essendo uno scrittore , ho cercato di percorrere l’unica via possibile, quella della memoria, e lasciare che fatti e persone, pensieri e sensazioni, si trasformassero in parole.”
    Nella speranza che si rafforzi la nostra convinzione sull’orrore delle guerre.


    …non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio.”

  2. #2
    Master Member L'avatar di Rosy
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    Letto anch'io! ciao Baudin ti ritrovo ogni tanto.... Stasera sono di fretta ma poi ti leggo con calma. ciao
    Rosy
    " Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica..."
    M.Medeiros

  3. #3
    Master Member L'avatar di daniela
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    Un libro che tutti dovrebbero leggere, per fermarsi a riflettere.
    Per sentire la rabbia verso chi la guerra la vuole, verso chi sulla guerra ci specula e ci guadagna.
    Per sentire la passione di quest'uomo, chirurgo di guerra che affronta sfide impossibili e non si arrende di fronte alle difficoltà.
    Per chiedersi se c'è una responsabilità anche in chi queste mine e queste armi di distruzione le produce e le vende (Italia in testa, e la mia città, Brescia, è famosa per le fabbriche d'armi).

    Non ricordo chi disse questa frase: "Prima di essere tolte dal terreno, le mine antiuomo devono essere tolte dalla mente dell'uomo."

    Le mine antiuomo non sono soltanto letali in tempi di guerra: hanno la spiacevole caratteristica di mietere vittime anche quando un conflitto è terminato.
    Lo sminamento, o bonifica del terreno è costoso e pericoloso, le mine sono difficili da localizzare e richiedono attrezzature specifiche.
    La quantità di mine antiuomo già disseminate è difficile da valutare: si stima possano essere 100.000.000 in 62 paesi. Il numero di mine distrutte ogni anno nelle operazioni di sminamento, si colloca invece, tra 100.000 e 200.000. Con questi ritmi, occorrerebbero centinaia di anni per eliminare completamente questi ordigni dai paesi nei quali essi sono presenti.



    A ciascuno e' affidato il compito di vegliare sulla solitudine dell'altro.

  4. #4
    Senior Member L'avatar di Baudin
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    E quante generazioni occoreranno per sradicare l'odio e la ferocia?
    Un brano del libro:

    - A Sarajevo la chiamano the snipers’ road, la strada dei cecchini. La si deve percorrere per raggiungere l’ospedale, lo stesso dove vengono portate, il più delle volte inutilmente, le loro vittime.
    L’ultimo arrivato è un bambino biondo, centrato in piena fronte da una pallottola. Il sangue non cola, impregna i capelli, ormai coagulato e quasi congelato per il gran freddo. Stava giocando sulla neve, a meno di un chilometro dall’ospedale, risaliva un piccolo dosso trascinandosi dietro una tavola di legno e poi giù, strillando di allegria su quella slitta improvvisata.
    Un colpo e il bambino è morto.
    In guerra si uccide, perché la guerra la si fa contro qualcuno. Contro il nemico, per quel che rappresenta o per quel che possiede , si usano i cannoni e si bombarda.
    Ma quella del cecchino è una guerra strana. Il suo lavoro non produce centinaia di vittime, la sua arma è semplice, un fucile di precisione : un colpo, un morto.
    C’è qualcosa, nella guerra del cecchino, che fa più orrore delle bombe.
    Attraverso il binocolo del fucile, il bambino biondo lo si può vedere grande grande, come se fosse lì accanto. Lo si può vedere giocare, fare smorfie nel rotolarsi sulla neve fresca.
    E’ lui il nemico, anche se la sua sola arma è quel pezzo di legno che usa come slitta. Il binocolo non inquadra eserciti minacciosi che avanzano, solo la faccia di un bambino come fosse in fototessera. Non lo sa, il nemico, di essere osservato, non sa che la sua fronte lentamente si muove fino a occupare il centro della croce del binocolo del cecchino.
    E forse sorride, mentre viene premuto il grilletto.
    In inglese, the snipe è la beccaccia. E il verbo to snipe significa “sparare da una posizione nascosta”, proprio come si fa con le beccacce. Ma come si fa a uccidere, se la beccaccia ti sta sorridendo?
    Un cecchino di Sarajevo si lascia intervistare in una stanza quasi buia. Mi sembra incredibile: è una donna. Una donna che spara a un bambino di sei anni? Perché?
    “Tra vent’anni ne avrebbe avuti ventisei”, è la risposta che l’interprete traduce.
    Il freddo diventa più intenso, fa freddo dentro. L’intervista finisce lì, non c’è altra domanda possibile. -

  5. #5
    Senior Member L'avatar di annaV
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    Sarà il mio prossimo acquisto, anche se so che dopo non dormirò,ma è giusto così, non voglio nel caldo del mio letto dimenticare gli orrori

  6. #6
    Outsider Member L'avatar di Tregenda
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    E' stato dopo aver letto Pappagalli verdi e Buskashì di Gino Strada, che 6 anni fa ho deciso di fare la volontaria per Emergency. Limitatamente alla vendita dei gadget e alla raccolta fondi, ovviamente, perchè non sono nè medico nè infermiera.
    A tutt'oggi Gino è uno dei miei idoli, proprio per le ragioni che solitamente sono motivo di critica da parte di chi non lo apprezza. E cioè, in sostanza, perchè non è un novello Gandhi ("Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra.").

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