Sicuramente gli antichi Greci - per inciso quelli dell'età arcaica, anteriori alle prime fonti letterarie di cui disponiamo, ossìa l'Iliade e l'Odissea di Omero - avevano idee molto astratte sulla distinzione tra vivente, cadavere, spititualità. Come dice Dodds (I greci e l'irrazionale) "trascuravano la distinzione tra cadavere e spettro, considerandoli consustanziali". Quando Sofocle mette alla prova "psiken te kai fronema kai ghnomen", dispone gli elementi del carattere secondo una scala che va dall'emozione (psiché, sfera emotiva) all'intelletto (ghnome, sfera raziocinante), passando per un termine intermedio, fronema, che nell'uso implica gli altri due.
Tra l'età neolitica e Sofocle, svetta il nome di Omero e dei suoi poemi. Con Omero (e i contemporanei) ,sicuramente si fa una distinzione ben precisa tra corpo ed anima. Il corpo - considerato in senso unitario, come sintesi tra soma e psiche - è tutto per gli antichi Greci: il corpo lavora, ama, lotta, odia, si rende amichevole: in altre parole, il corpo vive, e la vita è convissuta con gli altri corpi.
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Lekythos ariballica di Esone (particolare) con combattimento di guerrieri greci con amazzoni (Museo Nazionale di Napoli)