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Mi trasporto in punta di piedi
mi trasporto nel galoppo della mia vista.
Mi avvolgo nelle fasce della mia pelle.
Mi abbraccio desiderandomi.
Benedico il mio flusso, lo zampillare che da me proviene.
Mi cullo sul mio seno.
Alle mani germoglianti infilo i guanti della poesia.
Reclamo la rivelazione,
le mie incisioni sono su pietra.
La mia immagine reca acqua alla sete
ed esche alla rete dei pescatori.
Trascorro i rintocchi delle campane della sera
scolpendo.
Dormo nella mia stessa ombra.
Indosso la mia natura beduina
quando sono stanca.
Entro in un giardino
che non mi istiga contro me stessa.
Amo la mia anima impossibile,
quella i cui piedi
sono ignoti alla terra.
Joumana Haddad
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Adesso che non so più niente
che il vuoto è bella dimora
che ho passi senza arsura
che siedo e imparo
a esitare, adesso
che non sei più al centro
e quello che conta non è più
al centro
ma spostato
tra le mani
dove le dita si disarmano
e fanno un gesto limato,
adesso questa categorica bellezza
di rami e cieli
pugnala solo
perché entri luce.
Chandra Livia Candiani
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Kleopatràs : Cleopatra
PROLOGO
Figlia del Nilo, regina della storia
che trai dalla tua bellezza la tua gloria,
dolce compagna di un Cesare romano
la tua grandezza ti porto' lontano.
Sovrana colta e donna d'azione
sognasti un trono per Cesarione.
Riconquistasti abilmente il regno che governasti,
poi,con grande ingegno.
Signora di Roma e maesta' d'Egitto
questo per te gli dei aveano scritto.
Ma Bruto il tuo sogno cancello'
versando sangue sul marmo di Pompeo,
fin dalle fondamenta l'Urbe tremo'
ogni romano maledisse il reo.
Povera terra tua quando tornasti,
alleviasti i miseri e i commerci avviasti.
Poi con Marco Antonio tu ci credesti ancora:
Un sogno di grandezza per una nuova aurora
di gloria e di fierezza.
Salisti ancora in alto ,l'Egitto era potente
avevi fatto il salto Augusto era dolente
EPILOGO
Fu guerra ancora, in Africa,
ad Azio fosti battuta,
Antonio si uccise
ogni speme ando' perduta.
Affascinare Augusto un lucido condottiero?
Non era Caio cesare ma un gelido gueriero.
Un tentativo futile fu uno solamente
che disse "E' tutto inutile la tua luna e' spenta"
Chiedesti aiuto all'aspide sottile e velenosa
la morte ti sovvenne veloce e silenziosa.
Fini cosi l'Egitto per mano d' Ottaviano
una nuova provincia l'impero avea romana.
Tu brilli ancora splendida o gemma dell'oriente!
Sulla tua nave agile con porpora ed argento.
Compari all'orizzonte, quando s'arrossa il cielo,
nell'ora del tramonto,sul corpo solo un velo.
Accanto a te c'è Antonio che guarda piu' lontano,
verso la vecchia Roma, tenendoti per mano.
da
LA DONNA NELLA STORIA
Articoli monografie e divagazioni poetiche di
FRANCO PASTORE
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Mille porte fa
quando ero una ragazzina solitaria
in un’enorme casa con quattro
garage e se ben ricordo
era estate,
di notte mi sdraiavo in giardino,
il trifoglio raggrinzito sotto di me,
le sagge stelle distese sopra di me,
la finestra di mia madre un imbuto
da cui usciva un calore giallo,
la finestra di mio padre, socchiusa,
un occhio dove passa chi dorme,
e le assi della casa
erano lisce e bianche come cera
e probabilmente milioni di foglie
navigavano come vele sui loro strani gambi
mentre i grilli ticchettavano all’unisono
e io, nel mio corpo nuovo di zecca,
non ancora di donna,
facevo domande alle stelle
e credevo che Dio potesse veramente vedere
il calore e la luce colorata,
i gomiti, le ginocchia, i sogni, la buonanotte.
Anne Sexton – traduzione di Cristina Gamberi
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Lei si sente a volte
come una cosa dimenticata
nell’angolo più buio della
casa
come un frutto divorato
dagli uccelli rapaci,
come un’ombra senza volto
e senza peso.
La sua presenza è a stento
una leggera vibrazione
nell’aria immobile.
Sente che la attraversano
gli sguardi
e che diventa nebbia
tra le braccia goffe
che provano a circondarla.
Vorrebbe essere piuttosto
un’arancia succosa
nella mano di un bimbo
-non vuota scorza-
un’immagine che brilla
nello specchio
-non un’ombra che sfuma-
e una voce distinta
- non un gravoso silenzio -
mai ascoltata.
ALAÍDE FOPPA
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"La parte più debole di me"
La parte più debole di me
è la più forte.
Sotto i colpi del destino,
come una sagoma di nebbia, si trasforma
si dissolve e si ricompone,
e, sotto il peso del dolore,
cambia volto
sciogliendosi come la neve.
La parte più debole di me
è la più forte.
Si allunga come una goccia di pioggia sui rami
e proietta immagini cristalline,
prima di cadere sulle foglie autunnali
dove all’istante sposa la terra.
La parte più debole di me
è la più forte.
Ho paura soltanto
di quella fortezza
costruita con l’esperienza
che protegge l’anima mia,
conscia che basti un alito d’indifferenza
perché crolli tutto,
lasciandomi
nuda.
Nadezhda Slavova
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Quelle degli anni 70
Vi ho sentite raccontare, tanto uguali e diverse
Le vostre vite, i vostri amori, le partenze da sole
E gli uomini e le donne amati amate.
Dicevate di amare dicendo chi amo chi non amo più
Però, lasciando tra parentesi o in sospeso il futuro,
Quel tirar fuori la vita nuda come gli spazi
E nessuna legge.
Dio ci aveva già abbandonato
E le vecchie Dee con i loro corpi
Ci spaventavano
Sembravano madri.
Era ancora presto.
Bisognava soffrire con forza e ridere e credere
Non in un quinto o sesto ma in un decimo senso.
Bisognava trovare i gusci, la cenere, i resti del dolore,
Le parole che nessuno trovava, le parole lente
Le linee da cui il tempo ci calciava via.
Troppo difficile a pensarci
Ma allora non pareva.
Ero una bambina
Voi eravate invincibili.
Nadia Agustoni
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Che direbbe la gente, vuota d’ogni follia
se in un giorno fortuito, per ultrafantasia,
mi tingessi i capelli d’argento e viola
mettessi un peplo greco sciogliessi i miei capelli,
con un cinto di fiori: myosotis o gelsomini,
cantassi per le strade al ritmo dei violini,
o dicessi i miei versi in giro per le piazze
liberando il mio gusto da mortali bavagli?
Verrebbero a guardarmi affollando le strade?
Mi brucerebbero come bruciarono le streghe?
Pregherebbero in coro, ascoltando la messa?
In verità pensandoci mi viene un po’ a ridere.
Alfonsina Storni
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Voglio un vestito rosso.
Lo voglio leggero e a buon mercato,
voglio che sia troppo stretto, lo voglio portare
finché qualcuno non me lo strappi di dosso.
Lo voglio sbracciato e scollato,
quel vestito, così nessuno dovrà immaginarsi
cosa c’è sotto. Voglio andarci per strada
passare davanti al discount e alla ferramenta
con tutte quelle chiavi che brillano in vetrina,
davanti al caffè dei signori Wang coi bomboloni
del giorno prima, davanti ai fratelli Guerra
che buttano i maiali dal camion sul muletto,
issandosi in spalla quei lucidi grugni.
Voglio andare in giro come fossi l’unica
donna al mondo a caccia di una preda.
Lo voglio davvero quel vestito.
Lo voglio per confermare
i tuoi peggiori sospetti su di me,
per farti vedere quanto poco ci tengo a te
o par farti vedere tutto, tranne quello
che voglio. Appena lo trovo, lo tiro giù
dalla gruccia perché cerco un corpo
che mi porti nel mondo, in mezzo
alle urla del parto e a quelle dell’amore,
e lo indosserò come ossa, come pelle,
sarà lo stramaledetto
vestito dentro cui mi seppelliranno.
Kim Addonizio
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Ti meriti un amore che ti voglia
spettinata,
con tutto e le ragioni che ti fanno
alzare in fretta,
con tutto e i demoni che non ti
lasciano dormire.
Ti meriti un amore che ti faccia
sentire sicura,
in grado di mangiarsi il mondo
quando cammina accanto a te,
che senta che i tuoi abbracci sono
perfetti per la sua pelle.
Ti meriti un amore che voglia ballare
con te,
che trovi il paradiso ogni volta che
guarda nei tuoi occhi,
che non si annoi mai di leggere le
tue espressioni.
Ti meriti un amore che ti ascolti
quando canti,
che ti appoggi quando fai il ridicolo,
che rispetti il tuo essere libero,
che ti accompagni nel tuo volo,
che non abbia paura di cadere.
Ti meriti un amore che ti spazi via le
bugie
che ti porti l’illusione,
il caffè
e la poesia.
Frida Kahlo
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Fruga dentro la borsa la giovane impiegata appena messo piede sulla metro.
Mi aspetto che tiri fuori il cielo azzurro alle Maldive e una gita in barca
che tiri fuori lo zio carabiniere salito dalla Puglia
che tiri fuori il sogno di un cane addormentato in una piazza al sole
che tiri fuori le note di un tango aristocratico vibrante di solitudine
che tiri fuori la vertigine della vita e un barlume di disperazione
che tiri fuori il punto G e un orgasmo che sappia di vernice fresca
che tiri fuori un brandello di conversazione una teoria amorosa una ricetta
del cous cous alla libanese con lo zafferano
che tiri fuori l’amico massaggiatore che la palpa per verificare i meridiani
che tiri fuori la mamma con gli occhi sempre sul ciglio della commozione
che tiri fuori una lingua trafitta da una lunga spilla
che tiri fuori una dinoccolata salamandra dono di A.
che tiri fuori uno stranito sentimento della vita misto di attesa e raccapriccio
che tiri fuori un tanga di merletto color pistacchio
che tiri fuori i seguenti nomi: Max Fabio Mirko, e poi Gino Pino forse Savino
che tiri fuori un lamento un clavicembalo un gatto che fa le fusa
che tiri fuori Anna Karenina e ci si tuffi a pagina duecentoventitre.
Paolo Polvani
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Lettera d'amore
Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov'ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po' col piede, no-
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l'azzurro, o le stelle.
Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell'inverno-
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l'aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt'intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d'uccello e gli steli delle piante
Non m'ingannai. Ti riconobbi all'istante.
Albero e pietra scintillavano, senz’ombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in lato.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per l’aria nella mia veste d'anima
pura come una lastra di ghiaccio. E' un dono.
Sylvia Plath
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Amo l’inizio di ogni cosa,
lo sguardo prima della carezza,
le parole prima di un abbraccio.
Il sussulto prima di un bacio,
la tenerezza prima della passione.
Amo il gesto omesso che poi esplode,
l’entusiasmo prima dell’abitudine,
l’idea prima del progetto,
il sogno prima della realtà.
Amo la notte prima dell’alba,
la fatica prima del riposo,
il sole prima del vento
e la goccia prima del diluvio.
Amo la prima parola di una lettera,
il primo ti amo,
le prime note di una melodia.
Amo i primi giorni d’estate
e gli ultimi d’inverno.
Michela Salzillo
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Alla mia povera fragilità
guardi senza sprecar parole.
Tu sei di pietra, ma io canto.
Tu sei un monumento, ma io volo.
Io so che il più tenero maggio
all’occhio dell’Eternità è nulla.
Ma io sono un uccello e non incolparmi
se una facile legge m’è imposta.
Marina Cvetaeva
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Sei donna di valore
Sei donna di valore, ma te lo dico in privato
in pubblico mi presentano uomini
poeti, essi hanno il polso della
situazione poetica, si confrontano con altre
cerchie poetiche. Noi, ci troviamo in privato
parliamo piccolo. L’affetto che sentiamo
l’una per l’altra è cosa di poco conto
per chi guarda da fuori. Noi non vediamo
noi stesse, se ci affacciamo allo specchio
poetico: decenni di lavoro costante
annullati da migliaia di sguardi
che dicono no, non esisti, non esisti
non tentare di esistere, senza di me.
Loredana Magazzeni
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Bellezza
Ti do me stessa,
le mie notti insonni,
i lunghi sorsi
di cielo e stelle – bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.
Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe.
Ti do me stessa,
i meriggi
sul ciglio delle cascate,
i tramonti
ai piedi delle statue, sulle colline,
fra tronchi di cipressi animati
di nidi –
E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
vivo nel cerchio
degli orizzonti,
piegato al vento
limpido – della bellezza:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo –
profondi come secoli di luce
inabissati al di là
delle vette –
Antonia Pozzi - 4 dicembre 1934
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È subito detto un anno
ma un anno è fatto di mesi
e i mesi son fatti di giorni
e i giorni son lunghi da vivere
son faticosi da vivere
uno per uno
senza nemmeno un tuo segno
felicità, che pure esisti.
Piera Badoni
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Lei era una donna davvero unica,
delicata ma appesantita dalla monotonia della vita.
Teneva tutto dentro di sé,
ed aveva l’eleganza nell’anima.
Non inseguiva più nessun uomo
E da sempre rifiutava gli amori complicati, desiderava solo leggerezza,
volare lontano.
C’era qualcosa di brillante in lei, di effimero,
anche se non di etereo,
ricordava un drink secco appena sorseggiato.
Pochi capivano che per lei non c’era nessuna differenza tra sorridere
o piangere.
Lei aveva scelto il sorriso
e una ricercata, inaspettata armonia di gesti.
Sorrideva spesso, perché si sentiva più protetta.
Più sicura di sé.
Ecco perché sorrideva.
Ecco perché la credevano felice.
Agostino Degas
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GEOMETRia DELLA DONNA
Non entri nel suo tempio chi non ama la geometria
- Platone
Sono donna
Rotonda come l’universo
Piramide che ignora i suoi segreti
Triangolare in alcune parti
con ipotenuse perfette e calcolabili
in ognuno dei miei lati.
Sono donna
Quadrata e tenace quando si tratta di te
Pentagonale quando sfodero
la più segreta delle mie armi.
Sono donna
Lineare
la distanza più breve
tra il tuo tutto e il tuo nulla
Sono donna
punto forse dei tuoi riferimenti.
MARIANELA CORRIOLS
(da Geometria della donna, Antologia poetica 1985-2005, 2006)
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POESIA ILLEGITTIMA
di Vivian Lamarque
Quella sera che ho fatto l'amore
mentale con te
non sono stata prudente
dopo un po' mi si è gonfiata la mente
sappi che due notti fa
con dolorose doglie
mi è nata una poesia illegittimamente
porterà solo il mio nome
ma ha la tua aria straniera ti somiglia
mentre non sospetti niente di niente
sappi che ti è nata una figlia.
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1 allegato(i)
Allegato 4609
Rupi Kaur, Milk and Honey
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non so cosa si provi ad avere una vita equilibrata
quando sono triste
più che piangere scroscio
quando sono allegra
più che sorride riluco
quando sono arrabbiata
più che urlare avvampo
il bello degli estremi emotivi è che
quando amo metto loro le ali
ma forse non è
poi un bene visto che
tendono sempre a mollarmi
e dovresti vedermi
quando ho il cuore infranto
più che affliggermi vado
in mille pezzi
RUPI KAUR
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la terapeuta piazza la bambola davanti a te
ha la taglia delle bambine
che ai tuoi zii piace toccare
indica dov'erano le sue mani
tu indichi il punto
fra le gambe quello che
lui ti ha estorto col dito
come una confessione
come ti senti
ti estrai il groppo
dalla gola
con i denti
e dici bene
intorpidita anzi
- sedute di metà settimana
RUPI KAUR
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Quote:
Originariamente inviato da
daniela
la terapeuta piazza la bambola davanti a te
ha la taglia delle bambine
che ai tuoi zii piace toccare
indica dov'erano le sue mani
tu indichi il punto
fra le gambe quello che
lui ti ha estorto col dito
come una confessione
come ti senti
ti estrai il groppo
dalla gola
con i denti
e dici bene
intorpidita anzi
- sedute di metà settimana
RUPI KAUR
Questa fa male.
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Quote:
Originariamente inviato da
kaipirissima
Questa fa male.
questo è il viaggio della
sopravvivenza tramite la poesia
questo è il sangue sudore lacrime
di ventun anni
questo è il mio cuore
nelle tue mani
questo è
il ferire
l’amare
lo spezzare
il guarire
Rupi Kaur
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1 allegato(i)
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Grazie Daniela, sono bellissime!
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Quote:
Originariamente inviato da
kaipirissima
Grazie Daniela, sono bellissime!
Anch'io sono rimasta molto colpita!
Molti ovviamente non le considerano poesie nel vero senso del termine.
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Lo spirito ha bisogno del finito
per incarnare slanci d'infinito.
Parlo con l'angelo, e le tue braccia d'uomo
soltanto lo traducono ai miei sensi.
Dove comincia l'ala? Dove nascono
musiche di tamburi di tempesta?
Amarti è sprofondare, è una foresta
sfumante in cieli altissimi.
Maria Luisa Spaziani
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Messaggio
Prima che sia troppo tardi, alza la cornetta –
telefonami – fa’ presto – il tempo si muove…
L’amore può diventare odio molto in fretta.
Sì, presto comincerò a cercare altrove.
Uomini come te non li trovi in ogni dove –
buoni, vecchio stile… non il tipo che si affretta
per conoscermi. Quest’attesa è un tormentone.
Prima che sia troppo tardi, alza la cornetta –
Ho un’idea. Quest’amicizia ti alletta
consumarla insieme prima dell’invecchiagione?
Hai quarantotto anni e l’età non aspetta.
Telefonami – fa’ presto – il tempo si muove…
Un’altra storia d’amore-kamikaze che piove
su di me? No! Ad aspettare mi sono costretta,
stavolta… ma non un giorno in più: è atroce!
L’amore può diventare odio molto in fretta.
Dicono che esagero. Dovrei dar retta
agli amici, non drammatizzare. Ma come?
Pensate sia piacevole sentirmi negletta?
Sì, presto comincerò a cercare altrove.
So che ti piaccio, ma per richiamarti non troverei
il coraggio. Però… sì, un’idea perfetta:
concentrandomi telepaticamente proverò
a raggiungerti, pensandoti più in fretta –
Prima che sia troppo tardi…
Wendy Cope
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CREPUSCOLO TRA LE ROVINE
Davanti alla casa senza tetto il lillà nel pieno
della sua fioritura
cerca
con la sua cascata di fiori di ricoprire le rovine
Il profumo viola si spande raggiunge i muri rimasti
e passa tra i mattoni spezzati
Gli spettri che di notte si aggirano tra quelle case
profumano di lillà
e passando scuotono il polline viola dai mantelli
Per questo la notte tra le rovine è spettrale
e viola.
Jozefina Daubegović
(Plehan, 15 aprile 1999)
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Noi siamo sardi
Noi siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi,
romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi.
Siamo le ginestre d'oro giallo che spiovono
sui sentieri rocciosi come grandi lampade accese.
Siamo la solitudine selvaggia, il silenzio immenso e profondo,
lo splendore del cielo, il bianco fiore del cisto.
Siamo il regno ininterrotto del lentisco,
delle onde che ruscellano i graniti antichi,
della rosa canina,
del vento, dell'immensità del mare.
Siamo una terra antica di lunghi silenzi,
di orizzonti ampi e puri, di piante fosche,
di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta.
Noi siamo sardi.
Grazia Deledda
Il 10 dicembre 1927 le venne conferito il premio Nobel per la letteratura, «per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano».
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La cascata
Quello che persuade nella cascata è il coraggio
con cui affronta il vuoto.
Così è generata la bellezza:
nell’assoluta indifferenza dell’economia di sé.
Come tutto ciò che è pronto a perdersi, incute timore.
Al di là dei suoi velari
intravvediamo non più la misura del Tempo
ma la sua sostanza.
Donatella Bisutti
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1 allegato(i)
Allegato 4881
I GHIACCIOLI
Ogni mattina mi congratulo
coi ghiaccioli per il loro rigore.
Penso che abbiano coraggio, carattere,
i loro cuori duri non cederanno mai.
Poi verso le dieci, dieci e mezza,
sentendo le gocce d'acqua cadere regolari
guardo la grondaia. Vedo
attuarsi la solita vecchia storia invernale
— i ghiaccioli che piangono le loro lacrime innate,
e, se solo lo sapessero, la loro identità.
Janet Frame
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Canto
Provati estate primavera autunno inverno,
datemi il grande freddo per sempre,
ghiaccioli su tetti muri finestre il sogno
marmoreo perpetuo integrale di un mondo e di persone ghiacciati
nella più nera delle notti, così nera da non riuscire a distinguere
il sogno perpetuo integrale marmoreo.
Gli occhi ciechi sono ora padroni di sé.
Janet Frame
-
Di ora in ora più selvatica.
Lo so.
Da tanti anni divorata,
tagliata, ritagliata,
I rami costretti a destra e a manca,
MI slanciai, fiorendo minuti fiori bianchi,
sopra gli steccati fisso in viso le persone.
Mi guardano le api,
mi ha preso il manto il vento.
Forte e aspro è il mio gusto,
rigogliose le mie fronde.
Si acciglia la gente, se vede che metto ancora una radice.
Janet Frame
-
Ti ha portata novembre. Quanti mesi
durerà la dolceamara
vicenda di due sguardi, di due voci?
Se io avessi una leggenda tutta scritta
direi che questo tempo che ci sfiora
ci appartiene da sempre. Ma non sono
che un uomo fra mille e centomila
ma non sei
che una donna portata da novembre
e un mese dona e un altro ci saccheggia.
Sei una donna
che adesso tiene un naufrago impaziente
dimmi tu
sei scoglio
o continente?
Luciano Erba
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Senza titolo
A quei tempi
non valevo niente
e mi consumavo gli occhi
Mettevo il cuore
nel fango
e ci giocavo a palla
Imparai a scrivere, a leggere
e a tacere
In questi tempi invece
non valgo niente (talvolta)
ma ora so dove
ho messo il cuore
e mi si riempie di canzoni.
María Saucedo
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La donna mancina
Lei saliva con altri da una stazione del metro
mangiava con altri a una tavola calda
aspettava con altri in una lavanderia
ma una volta l'ho vista da sola
davanti a un giornale murale
Usciva con altri da un grattacielo d'uffici
si pigiava con altri ad una bancarella
era seduta con altri presso un campo-giochi di sabbia
ma una volta l'ho vista dalla finestra
giocare a scacchi da sola
Era sdraiata con altri su un prato del parco
rideva con altri in un labirinto di specchi
gridava con altri sull'ottovolante
e poi sola la vidi soltanto
camminare nei miei desideri
Ma oggi nella mia casa aperta:
la cornetta era girata dall'altra parte
la matita era a sinistra dell'agenda
a sinistra la tazza del tè
e il manico pure a sinistra
e vicino la mela sbucciata in senso inverso
(e non finita di sbucciare)
le tende raccolte a sinistra
e la chiave della porta di casa
nella tasca sinistra della mia giacca
Ti sei tradita, o mancina!
O era per lasciarmi un messaggio?
Vederti in un continente straniero io vorrei
perche' finalmente in mezzo agli altri ti vedrei sola
e tu fra mille altri vedresti me
e finalmente ci verremmo incontro.
Peter Handke
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So che stai leggendo questa poesia
tardi, prima di lasciare il tuo ufficio
che ha una sola intensa luce gialla e una finestra che rabbuia
nella spossatezza dell’edificio dissolto nella quiete
quando l’ora di punta è da molto passata. So che stai leggendo
questa poesia in piedi, in una libreria lontana dall’oceano,
in un giorno grigio all’inizio della primavera,
languidi fiocchi di polline mulinano
attraverso gli immensi spazi delle pianure intorno a te.
So che stai leggendo questa poesia
in una stanza in cui è accaduto troppo per poterlo sopportare,
spirali di lenzuola ristagnano sul letto
e la valigia aperta parla di fuga
ma non puoi andartene ancora. So che stai leggendo questa poesia
mentre il metrò rallenta la corsa, prima di lanciarti su per le scale,
verso un amore diverso
che la vita non ti ha mai concesso.
So che stai leggendo questa poesia alla luce
della televisione, dove scorrono sussulti d’immagini mute,
mentre aspetti le ultime notizie sull’intifada.
So che stai leggendo questa poesia in una sala d’aspetto
di occhi incontrati e mai incontrati, di identità con estranei.
So che stai leggendo questa poesia sotto al neon
nella noia stanca dei giovani che sono esclusi,
che si escludono, troppo presto. So
che stai leggendo questa poesia con la tua vista incerta:
le tue lenti spesse dilatano le lettere oltre ogni significato
e tuttavia continui a leggere
perché anche l’alfabeto è prezioso.
So che stai leggendo questa poesia in cucina,
mentre riscaldi il latte, con un bambino che ti piange sulla spalla
e un libro in mano,
perché la vita è breve e anche tu hai sete.
So che stai leggendo questa poesia che non è nella tua lingua:
di alcune parole non conosci il significato, mentre altre ti fanno continuare a leggere
e io voglio sapere quali sono.
So che stai leggendo questa poesia in attesa di udire qualcosa, divisa tra amarezza e speranza,
per poi tornare ai doveri che non puoi rifiutare.
So che stai leggendo questa poesia perché non c’è altro da leggere,
qui dove sei approdata, nuda come sei.
Adrienne Rich
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