Destino del poeta
Parole? Sì, di aria
e nell'aria perdute.
Tu lascia che mi perda tra parole,
lasciami essere aria su labbra,
un soffio vagabondo senza sagoma,
breve aroma che l'aria fa svenire.
Anche la luce in se stessa si perde.
Octavio Paz
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Destino del poeta
Parole? Sì, di aria
e nell'aria perdute.
Tu lascia che mi perda tra parole,
lasciami essere aria su labbra,
un soffio vagabondo senza sagoma,
breve aroma che l'aria fa svenire.
Anche la luce in se stessa si perde.
Octavio Paz
Prima del principio
Rumori confusi, incerto chiarore.
Inizia un nuovo giorno,
è una stanza in penombra
e due corpi distesi.
Nella fronte mi perdo
In un pianoro vuoto.
Già le ore affilano i rasoi.
Ma al mio fianco tu respiri;
intimamente mia eppur remota
fluisci e non ti muovi.
Inaccessibile se ti penso,
con gli occhi ti tocco,
ti guardo con le mani.
I sogni ci separano
ed il sangue ci unisce:
siamo un fiume di palpiti.
Sotto le tue palpebre matura
il seme del sole.
Il mondo
non è ancora reale,
il tempo è dubbio:
solo il calore della tua pelle
è vero.
Nel tuo respiro ascolto
la marea dell'essere,
la sillaba scordata del Principio.
Octavio Paz
Di me, di te tutto conosco, tutto ignoro
Accade che le affinità d'anima
non giungano ai gesti e alle parole ma
rimangano effuse come un magnetismo.
É raro ma accade. Può darsi
che sia vera soltanto la lontananza,
vero l'oblio, vera la foglia secca
piú del fresco germoglio.
Tanto e altro puó darsi o dirsi.
Comprendo la tua caparbia volontá di
essere sempre assente perchè
solo così si manifesta la tua magia.
Innumeri le astuzie che intendo.
Insisto nel ricercarti nel fuscello
e mai nell'albero spiegato, mai nel pieno,
sempre nel vuoto: in quello che
anche al trapano resiste.
Era o non era la volontà dei numi
che presidiano il tuo lontano focolare,
strani multiformi multanimi animali domestici;
fors'era così come mi pareva
o non era. Ignoro se
la mia inesistenza appaga il tuo destino,
se la tua colma il mio che ne trabocca,
se l'innocenza é una colpa oppure
si coglie sulla soglia dei tuoi lari.
Di me, di te tutto conosco,
tutto ignoro.
Eugenio Montale
Bleecker street, estate
L’estate per la prosa e i limoni, per la nudità e il languore,
per l'eterna indolenza del ritorno immaginato,
per i rari flauti e i piedi scalzi, e la stanza da letto in agosto
dalle lenzuola arruffate e il sale della domenica, ah violini!
Quando premo i crepuscoli estivi insieme, è
un mese di fisarmoniche di strada e spruzzatori
che adagiano la polvere, piccole ombre che fuggono da me.
È musica che si apre e si chiude, Italia mia, su Bleecker,
ciao, Antonio, e le grida d’acqua dei bambini
che strappano il cielo rosa in rivoli di carta;
è il crepuscolo nelle narici e nell’odore dell’acqua
lungo strade imbrattate che non ti portano all’acqua,
e isole e limoni raccolti nella mente.
Laggiù c’è l’Hudson, in fiamme come il mare.
Ti spoglierei nell’afa estiva, e riderei e asciugherei
la tua pelle bagnata se mi venissi a trovare.
Derek Walcott
Non saprò nulla della mia vita,
oscuro monotono sangue.
Non saprò chi amavo, chi amo,
ora che qui stretto, ridotto alle mie membra,
nel guasto vento di marzo
enumero i mali dei giorni decifrati.
Già vola il fiore magro
dai rami. E io attendo
la pazienza del suo volo irrevocabile.
Salvatore Quasimodo
EPILOGHI
Le cose non esplodono:
vengon meno, sbiadiscono,
come il sole sbiadisce dalla carne,
come la schiuma esala nella sabbia,
anche il fulmineo tempo dell’amore
non ha un epilogo tonante,
muore invece con un suono di fiori
che sbiadiscono come fa la carne
sotto la pietra pomice sudante,
tutto concorre a dare questa forma
finché restiamo soli col silenzio
che circonda la testa di Beethoven.
Derek Walcott
Colmo di fiori è il pesco
Colmo di fiori è il pesco,
non tutti diventeranno frutto,
splendono limpidi come schiuma di rose
per l’azzurra fuga delle nubi.
Come fiori sbocciano i pensieri,
canto al giorno,
lasciali fiorire! Lascia alle cose il loro corso!
Non domandare del raccolto!
Occorrono anche il giuoco e innocenza
e fiori in abbondanza,
altrimenti il mondo ci sarebbe angusto
e la vita priva di piacere.
Hermann Hesse
La vita oscilla
La vita oscilla
tra il sublime e l'immondo
con qualche propensione
per il secondo
ne sapremo di più
dopo le ultime elezioni
che si terranno lassù
o laggiù o in nessun luogo
perché siamo già eletti
tutti quanti
e chi non lo fu
sta assai meglio quaggiù
e quando se ne accorge
è troppo tardi.
Les jeux sont faits
dice il croupier, per l'ultima volta
e il suo cucchiaione
spazza le carte.
Eugenio Montale
Il nuotare
se si vuol nuotare
l’acqua dev’essere viva,
dev’essere in fuga,
con i ciottoli in bocca
chi nuota
e lascia che l’acqua giochi con quello strumento ch’è il suo corpo,
è un’áncora morbida
fra la corrente,
un tiro di dadi,
leggera luce di una fiaccola,
solo, come un soldato annegato
il nuotatore brucia lentamente
è un’esca
per il pontile affamato
se c’è qualche pontile,
crea inquietudine
se c’è qualche spiaggia,
ma, lui, scavalca lentamente montagne infinite
con il fuoco nei polmoni.
Tomas Tranströmer
« Io guardo il fiume
crespe leggere passano sotto il sole malato
nient'altro, il fiume aspetta;
abbi pietà di quanti aspettano »
(Giorgos Seferis)
Allegato 2782
Giorgos Seferis pseudonimo di Giorgios Seferiádis nato a Smirne il 13 marzo 1900 è stato un poeta, saggista e diplomatico greco, premio Nobel per la letteratura nel 1963.
Nel 1969 Seferis prese posizione pubblicamente e duramente contro la Dittatura dei Colonnelli in Grecia. Anche il suo stesso funerale, il 20 settembre 1972, venne trasformato in una massiccia dimostrazione contro il governo militare.
Quando Seferis muore, nel 1971, i suoi funerali si trasformano in una imponente manifestazione contro il regime: una folla immensa intona ΑΡΝΗΣΗ (Il Rifiuto), cui l' altro grande ribelle greco, Mikis Theodorakis, ha dato la sua struggente musica.
Su di una spiaggia segreta
bianca come una colomba
morivamo di sete
ma l'acqua era salata.
Sulla spiaggia dorata
scrivemmo il suo nome;
ma venne bella la brezza dal mare e cancellò le parole
Con quale spirito, quale animo,
quale desiderio e quale passione
afferrammo la nostre vite: un errore! Così cambiammo la nostre vite..
https://www.youtube.com/watch?v=B9IqV5SazpU
Là, dove sempre tende ogni partire
Si ritorna: all'essere più soli.
Una brancata di terra, in un cavo
Di mani
vuoto.
Giorgos Seferis
Siamo tornati all’autunno. L’estate
come un quaderno di cui siamo stanchi
rimane piena di cancellature
di schizzi astratti a margine, di punti di domanda.
Siamo tornati all’epoca degli occhi che rimirano
nello specchio alla luce artificiale,
serrate labbra, estranei gli uomini
nelle vie nelle stanze sotto gli alberi di pepe
mentre i fari delle automobili uccidono
migliaia di maschere pallide.
Siamo tornati: partiamo sempre per tornare
al deserto, un pugno di terra nelle palme vuote.
Giorgos Seferis
Abbiamo camminato insieme, abbiamo spartito il pane e il sonno
e provato la stessa fitta d’amaro del distacco,
abbiamo edificato con le pietre che avevamo le case,
siamo saliti a bordo, siamo stati esuli e reduci,
abbiamo ritrovato le donne ad aspettare,
ci hanno riconosciuto a stento, più nessuno ci conosce.
I miei compagni hanno portato le statue, hanno portato
le nude sedie vuote dell’autunno, i compagni
hanno ammazzato i loro visi: non li capisco.
Rimane ancora il giallo deserto, l’estate:
onde di sabbia in fuga fino all’ultimo cerchio,
un ritmo di tamburo implacato, sconfinato,
occhi di fuoco naufraghi nel sole,
mani con gesti d’uccelli che incidono il cielo
e salutano file di morti sull’attenti,
mani perse in un punto che non domino e mi vince:
le tue mani sfioranti l’onda libera.
Giorgio Seferis
Curioso, nelle sue poesie precedenti l'ultima strofa ha il riferimento alle mani...
La nostra terra è chiusa, tutta monti
che hanno per tetto il basso cielo giorno e notte.
Non abbiamo fiumi, non abbiamo pozzi non abbiamo sorgenti,
solo poche cisterne, e queste vuote, che risuonano e che veneriamo.
Suono stagnante e sordo, uguale alla nostra solitudine
uguale al nostro amore, uguale ai nostri corpi.
Ci stupiamo di aver potuto una volta costruire
case capanne e ovili.
E le nozze nostre, le fresche ghirlande e le dita
diventano enigmi inspiegabili alla nostra anima.
Come sono nati come si son fatti forti i nostri figli?
La nostra terra è chiusa. La chiudono
due cupe Simplegadi. Nei porti
la domenica quando scendiamo a respirare
vediamo rischiarati al tramonto
rottami di viaggi mai portati a termine
corpi che non sanno più come amare.
Giorgio Seferis
Epifania 1937
«Mormorii nel silenzio sterminato
(Non so più bocca aprire né ragionare)
Trattengono in me la vita:
Di quella notte il respiro di un cipresso,
La voce umana dell’onda marina
Notturna sulla ghiaia, il ricordare
La tua voce e il suo dirmi Eftichìa»,
«Buona fortuna».
Giorgio Seferis
Joseph Brodsky, (Leningrado 24 maggio 1940 - New York 28 gennaio 1996)
Premio Nobel per la Letteratura nel 1987 con la motivazione: " Per una produzione onnicomprensiva, intrisa di chiarezza di pensiero e intensità poetica"
Allegato 2794
Metti in serbo per le stagioni fredde
queste parole, per le stagioni dell'ansia!
Come il pesce sulla sabbia, l'uomo sopravvive:
se si strascina agli arbusti e s'alza
su gambe incerte e storte e va, come un rigo dalla penna,
nelle viscere stesse della terra.
Esistono leoni alati, sfingi col seno
di donna, angeli in bianco e ninfe del mare:
a colui che sostiene sulle sue spalle il peso
di buio, caldo e - oso dirlo - dolore,
sono più cari degli zeri concentrici nati
da parole gettate.
Joseph Brodsky