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Parole povere
Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l'altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.
Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.
Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.
Uno rompe l'aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c'ero, ero piccolino.
Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.
Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.
Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.
Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.
Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l'occhio scoperto piange.
Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l'altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.
Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.
Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c'è scritto in vernice rossa.
Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l'ho visto.
Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.
Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.
Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.
Uno è stato trovato
una notte freddissima d'inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.
Uno dice qui la notte viene con le montagne all'improvviso
ma d'inverno è bello quando si confondono
l'alto con il basso, il bianco con il blu.
Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.
Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.
Uno l'ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.
Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l'hai fatta tu.
E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l'allegria dei vinti e una tristezza grande.
Pierluigi Cappello
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E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l'allegria dei vinti e una tristezza grande.
Bella questa ultima parte!( anche il resto...)
Rosy
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Il folle
Nel parco di un manicomio
incontrai un giovane
dal volto pallido e bello e trasognato.
Sedetti accanto a lui sulla panchina
e chiesi
"Perché sei qui?"
Mi guardò con occhi attoniti
e disse:
"E' una domanda poco opportuna, la tua,
comunque risponderò.
Mio padre voleva fare di me una copia
di se stesso, e così mio zio.
Mia madre vedeva in me l'immagine
del suo illustre genitore.
Mia sorella mi esibiva il suo marito
marinaio
come il perfetto esempio da seguire.
Mio fratello riteneva che dovessi essere
identico a lui:
un bravissimo atleta.
E anche i miei insegnanti,
il dottore in filosofia,
il maestro di musica,
e il logico matematico
erano ben decisi:
ognuno di loro voleva
che io fossi il riflesso
del suo volto in uno specchio.
Per questo sono venuto qui.
Trovo l'ambiente più sano.
Qui almeno posso essere
me stesso"
Kahil Gibran
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Preghiera
Certi giorni, se pur non sappiamo pregare, una preghiera
ci sale alle labbra. Così, una donna solleverà
la testa dal setaccio delle mani e fisserà
le minime cantate da un albero, un dono improvviso.
Certe notti, se pur non abbiamo fede, la verità
ci entra nel cuore, quella piccola pena familiare;
allora un uomo resterà impalato ad ascoltare la sua gioventù
nel lontano cantilenare latino di un treno.
Prega per noi ora. Scale musicali di primo grado
consolano l’inquilino che guarda dalla finestra
di una città delle Midlands. Poi fa sera, e qualcuno chiama
il nome di un bambino come se nominasse la propria perdita.
È buio fuori. Dentro, alla radio la preghiera –
Rockall. Malin. Dogger. Finisterre.
Carol Anne Duffy
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I poveri in chiesa
(Arthur Rimbaud Charleville-Mézières, Francia 20/10/1854 – Marsiglia, Francia 10/11/1891)
Recintati tra i banchi di quercia, agli angoli della chiesa,
che il loro fetido respiro intiepidisce, tutti i loro occhi
verso lo sfarzoso coro e la cantoria
di venti bocche sbraitanti cantiche pie;
annusando come un profumo di pane l’odore di cera,
gioiosi, umiliati come cani battuti,
i poveri al buon Dio, padrone e signore,
offrono i loro oremus ridicoli e testardi.
Alle donne piace allisciare i banchi
dopo il sesto nero giorno in cui Dio le fa soffrire!
E cullano, avvolti in strane pellicce,
una specie di bimbi che piangono da morire.
I loro seni sporchi di fuori, queste mangiazuppe,
con una preghiera negli occhi, ma mai pregando,
guardano malvagiamente sfilare un gruppo
di birichine con i loro cappelli deformati.
Di fuori il freddo, la fame, l’uomo che gozzoviglia:
gli piace. Ancora un’ora; dopo, mali senza nome!
- Intanto tutt’intorno geme, grugnisce, borbotta
una collezione di vecchie pappagorge:
ci sono i rimbambiti epilettici ai
quali ieri ci si voltava lungo il cammino;
e, col famelico naso in vecchi messali,
i ciechi che un cane guida per il viale.
E tutti, sbavando sciocca e mendica fede
recitano l’infinito compianto a Gesù,
che in alto sogna, ingiallito attraverso pallidi vetri,
lontano dai magri malvagi e dai cattivi panciuti,
lontano dai sentori di carne e di stoffe ammuffite,
farsa prostrata e oscura dai gesti ripugnanti;
- e la preghiera fiorisce d’espressioni ricercate
e le misticità prendono toni pressanti,
quando, da navate dove perisce il sole, pieghe di seta
banali, verdi sorrisi, le Dame del quartiere
distinto, - o Gesù - le malate di fegato,
baciano le acquasantiere con le loro lunghe dita gialle.
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Si prendano subito le impronte digitali...
(Andrea Camilleri n. Porto Empedocle, AG 6/9/1925)
Si prendano subito le impronte digitali dei bambini rom, ordina un paio di baffi sul nulla,
e i baffi giurano che non è razzismo ma solo umana pietà verso i bimbi costretti a mendicare...
che cuore che generosità...
e mi tornano a mente i versi di un grandissimo
sei così ipocrita
che quando l'ipocrisia ti avrà ucciso sarai all'inferno
ma ti dirai in paradiso!
(da Poesie incivili, 2008)
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Le pulci sognano di comprarsi un cane
e i nessuno sognano di non essere più poveri,
che un giorno magico piova all’improvviso la fortuna,
che piova a catinelle la fortuna;
ma la fortuna non piove né oggi, né domani, né mai,
né come pioggerella cade dal cielo la fortuna,
per quanto i nessuno la invochino
e benché pruda loro la mano sinistra,
o scendano dal letto col piede destro,
o comincino l’anno cambiando la scopa.
I nessuno: i figli di nessuno, i padroni di niente,
che non sono, nonostante siano.
I nessuno: i niente, gli annientati, affamati, morendo la vita, fottuti, fottutissimi:
Che non parlano lingue, ma dialetti.
Che non professano religioni, ma superstizioni.
Che non fanno arte, ma artigianato.
Che non praticano cultura, ma folclore.
Che non sono esseri umani, ma risorse umane.
Che non hanno viso, ma braccia.
Che non hanno nome, ma un numero.
Che non figurano nella storia universale, ma nella cronaca nera della stampa locale.
I nessuno che costano meno della pallottola che li uccide.
Eduardo Galeano
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Uno di loro
Ho visto uno di loro
raggomitolato sotto un cartone
davanti alla chiesa di San Francesco.
Ho visto uno di loro rimproverato dal prete
Ho visto uno di loro accovacciarsi nei cespugli
Ne ho visto un altro barcollante
contro la vetrata
di un ristorante di prima categoria
Ho visto uno di loro in una cabina telefonica
mentre la scuoteva
Ne ho visto uno con i piedi ruvidi
Ne ho visto uno in una drogheria
uscire con una pinta
Ne ho visto uscire un altro senza niente
Ne ho visto un altro mettere una corda
nei passanti dei pantaloni
Ne ho visto uno con un uccello sulla spalla
Ne ho visto uno cantare
sui gradini di City Hall
nell’indifferente città dell’amore
Ho visto uno di loro che cercava
di abbracciare una donna poliziotto
Ne ho visto un altro che dormiva
al Ponte di Brooklyn
Ne ho visto un altro in piedi
sul Golden Gate
La vista da quel punto era fantastica.
Lawrence Ferlinghetti
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Lo crederesti Andrea, e tutti voi amici che leggete? sono le descrizioni esatte di tutte le persone che incontro il venerdì. Grazie.
Rosy
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Quote:
Originariamente inviato da
Rosy
Lo crederesti Andrea, e tutti voi amici che leggete? sono le descrizioni esatte di tutte le persone che incontro il venerdì. Grazie.
Rosy
La povertà è un'unico Paese
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La recessione
Rivedremo calzoni coi rattoppi
rossi tramonti sui borghi
vuoti di macchine
pieni di povera gente che sarà tornata da Torino o dalla Germania
I vecchi saranno padroni dei loro muretti come poltrone di senatori
e i bambini sapranno che la minestra è poca e che cosa significa un pezzo di pane
E la sera sarà più nera della fine del mondo e di notte sentiremo i grilli o i tuoni
e forse qualche giovane tra quei pochi tornati al nido tirerà fuori un mandolino
L’aria saprà di stracci bagnati
tutto sarà lontano
treni e corriere passeranno ogni tanto come in un sogno
E città grandi come mondi saranno piene di gente che va a piedi
con i vestiti grigi
e dentro gli occhi una domanda che non è di soldi ma è solo d’amore
soltanto d’amore
Le piccole fabbriche sul più bello di un prato verde
nella curva di un fiume
nel cuore di un vecchio bosco di querce
crolleranno un poco per sera
muretto per muretto
lamiera per lamiera
E gli antichi palazzi
saranno come montagne di pietra
soli e chiusi com’erano una volta
E la sera sarà più nera della fine del mondo
e di notte sentiremo i grilli o i tuoni
L’aria saprà di stracci bagnati
tutto sarà lontano
treni e corriere passeranno
ogni tanto come in un sogno
E i banditi avranno il viso di una volta
con i capelli corti sul collo
e gli occhi di loro madre pieni del nero delle notti di luna
e saranno armati solo di un coltello
Lo zoccolo del cavallo toccherà la terra leggero come una farfalla
e ricorderà ciò che è stato il silenzio il mondo
e ciò che sarà.
Pier Paolo Pasolini
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Per voi uomini dell'Europa...
Per voi uomini dell'Europa che vi arrangiate ogni giorno
Per voi donne dell'Est che lavate per terra o accompagnate
a prendere aria i vecchi d'Occidente
Per voi immigrati che dormite sulle panchine e vi svegliate
con un'immensa nostalgia
Per voi barboni
che non
volete padroni e vivete in pace
con l'universo
Per voi prostitute che offrite il vostro sesso a negri bianchi
gialli fino al sangue
Per voi malati e disoccupati come solidarietà e misericordia
Per voi missionari che portate tenerezza ai deboli prima di morire
Per voi contadini che fate pascolare il gregge e arate i campi da
nord a sud
Per voi folli che ci insegnate gratis la follia
Per voi che siete soli e fuggite come me
scrivo questi versi in italiano e mi tormento in albanese.
Gëzim Hajdari ( Albania)
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Ingiusta pace
Quote:
Originariamente inviato da
Rosy
Inizio con una splendida poesia di Claudio POZZANI.
E' un poeta genovese, cinquantenne, presidente del Festival della Poesia che si svolge ogni anno a Genova.
La sua più nota ( e migliore) composizione si intitola "SONO".
SONO
Sono l’apostolo lasciato fuori dall’Ultima Cena
Sono il garibaldino arrivato troppo tardi allo scoglio di Quarto
Sono il Messia di una religione in cui nessuno crede
Io sono l’escluso, l’outsider, il maledetto che non cede
Sono il protagonista che muore nella prima pagina
Sono il gatto guercio che nessuna vecchia vuol carezzare
Sono la bestia idrofoba che morde la mano tesa per pietà
Io sono l’escluso, l’outsider, il maledetto senza età
Sono l’onda anomala che porta via asciugamani e radioline
Sono il malinteso che fa litigare
Sono il diavolo che ha schivato il calamaio di Lutero
Sono la pellicola che si strappa sul più bello
Io sono l’escluso, l’outsider, un chiodo nel cervello
Sono la pallina del flipper che cade un punto prima del record
Sono l’autorete all’ultimo secondo
Sono il bimbo che ghigna contro le sberle della madre
Sono la paura dell’erba che sta per essere falciata
Io sono l’escluso, l’outsider, questa pagina strappata.
Claudio Pozzani
Mi ha molto colpita questa poesia, gli Ultimi sono anche i miei preferiti.
Se cerchiamo Dio, andiamo in chi soffre povertà, abbandono, malattie... e lì lo troveremo!
Complimenti all'Autore!
Questa è una mia poesia sugli "Ultimi"
Ingiusta pace
Han visto i miei occhi
Scavate rocce da aridi venti
D’indifferenza:
Era fame…
Han visto
Frettolosi preti ciechi
Sordo vento
Silenziosa carne urlante
Sull’ultimo gradino:
Era freddo…
Han visto secolari memorie
Obliate e chiuse:
Era abbandono…
Han visto domande e perle
In smarriti occhi:
Era solitudine…
Han visto figli di Dio
Nulla mirare
E desolato stupore
In vinte braccia vuote:
Era Madre.
Han visto i miei occhi
Opulenza e ipocrisia
Tra lor devoti
All’esecrato desco:
Era... ingiusta pace.
- Maria Savasta
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Grazie di questa bellissima e preziosa testimonianza, espressa in versi! Rosy
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I "Nessuno"
Le pulci sognano di comprarsi un cane
e i nessuno sognano di non essere più poveri,
che un giorno magico piova all'improvviso la fortuna,
che piova a catinelle la fortuna;
ma la fortuna non piove né oggi, né domani, né mai,
né come pioggerella cade dal cielo la fortuna,
per quanto i nessuno la invochino
e benché pruda loro la mano sinistra,
o scendano dal letto col piede destro,
o comincino l'anno cambiando la scopa.
I nessuno: i figli di nessuno, i padroni di niente,
che non sono, nonostante siano.
I nessuno: i niente, gli annientati, affamati, morendo la vita, fottuti, fottutissimi:
Che non parlano lingue, ma dialetti.
Che non professano religioni, ma superstizioni.
Che non fanno arte, ma artigianato.
Che non praticano cultura, ma folclore.
Che non sono esseri umani, ma risorse umane.
Che non hanno viso, ma braccia.
Che non hanno nome, ma un numero.
Che non figurano nella storia universale, ma nella cronaca nera della stampa locale.
I nessuno che costano meno della pallottola che li uccide.
Eduardo Galeano( Uruguay)