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Callino di Efeso
Poeta elegiaco vissuto nella prima metà del sec.VII.Delle sue composizioni rimangono quattro frammenti, per complessivi venticinque versi.
La lingua è quella omerica, il dialetto jonico efesiaco.
I contenuti sono rivolti alla vita militare ed hanno un timbro parenetico, esortativo. I,fatti, egli esorta i concittadini della polis a combattere, difendere la Patria senza aver paura della morte. Callino ripropone, quindi, con forza, i valori etici dell'epica omerica.
In particolare, in Callino possiamo evidenziare la continuaità con l'epos omerico per:
- Condivisione della visione etica
- Uso del dialetto ionico omerico;
- La continuità dell’argomento della guerra , in particolarela guerra di difesa di Efeso dai Cimmeri
- La mancanza dell’io come nei poemi omerici; troviamo l'uso dela prima persona in Archiloco
- La parenesi (esortazione) rivolta da Callino ai giovani efesini , come si ritrova nelle esortazioni di Ettore e dei capi greci alle loro milizie
Allegato 1331
E fino a quando voi sì molli, o giovani
Giacenti inerti, un forte core avrete?
E quando del vicin, che intorno v’abita,
Arrossirete?
Dormir sperate in seno a pace placida
Or che la guerra tutto il mondo guasta?
Siavi chi pugni e infino a morte impavido
Avventi l’asta.
Bello e fonte d’onor per la sua patria,
Pe’ figli della sua giovin consorte
Pugnar: quando le Parche il filo tronchino,
Verrà la morte.
Orsù, diritto alla battaglia corrasi
Levando con la man l’asta guerriera:
Lo scudo copra il forte cor, si mescoli
La pugna fiera.
Inver la morte, se mai fato impongala,
Ad impedire nessun uomo vale,
Nè pur s’egli discenda di purissimo
Sangue immortale.
Chi fugge pugna ovver di dardi sonito
Lui spesso in casa la sua Parca insegue,
Nè di popolo poscia il desiderio
Giammai lo segue.
Ma dal valente, se mai morte colgalo,
Vive la brama desta in ogni core.
Ai semidei, mentre ancor vive, è simile
Egli in onore.
Innanzi agli occhi lor, qual torre, il veggono:
Inver di molti i generosi gesti
Egli protrebbe oprar, pugnando intrepido,
Pur se sol resti.
(trad.di Achille Giulio Danesi. Tratta da Wikisource)
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Allegato 1330
(Sir )
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Torniamo per un attimo a descrivere la società della polis vista secondo gli occhi questa volta di Semonide: come si è visto, Semonide (o Simonide) partecipa del proprio mondo esclusivo, quello dell'aristocrazia (parola tratta dal greco άριστος, aristos "Migliore" e κράτος, kratos, "Potere": Il potere ai migliori) e le sue elegie sono intonate a questa sfera politica particolare ed elevata della polis: cantandone la gloria, Semonide prende con ciò le distanze da donne e uomini di bassa estrazione sociale.
Ecco un giambo che illustra bene tutto ciò:
Fin da principio, il dio fece diversi i caratteri delle donne:
una creò dalla scrofa setolosa
nella cui casa tutto è sudicio di fango,
ogni oggetto è in disordine, o rotola per terra;
lei stessa è sporca, non lava le sue vesti,
e ingrassa voltolandosi nel letame.
(Traduzione di Pellizer)
Allegato 1333
Allegato 1332
(Sir)
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La poesia melica
Un'ulteriore poesia fu quella melica. Va ricordato, però, che non esiste distinzione netta tra i vari tipi di poeti dell'epoca, in quanto alcuni poeti si espressero in più tipi poetici.
La poesia melica è ricordata anzitutto per la presenza di un'ampia gamma di metri poetici (sulla cui descrizione dettagliata, però, sorvoliamo quasi completamente).
La poesia melica monodica in Saffo e Alceo utilizza il dialetto eolico; Anacreonte utilizza il dialetto jonico. I suoi temi sono numerosi: sentimenti come amicizia e amore, la percezione del mondo naturale, l'espressività esistenziale, la politica. La poesia melica monodica è solitamente espressa all'interno di simposi o, comunque, di ambiti ristretti.
La poesia melica corale adopera il dialetto dorico. Si esprime per l'intrera polis, in occasione di eventi sportivi. Presentano,in genere, riflessioni umane ed etiche.
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La poesia mèlica e corale
È detta così da mèlos, canto, perchè era cantata da un singolo poeta o da un coro con l’accompagnamento di strumenti musicali.
Ricordiamo Alceo dell’isola di Mitilene, che nel VII secolo a.C. canta il suo amore per la libertà, il suo valore in guerra ma anche il suo amore per la vita e per le donne.
Contemporanea ad Alceo e della stessa isola di Mitilene è Saffo, che formò una scuola di poesia, un tiaso, per sole donne e canta il suo mondo interiore fatto di palpiti, di emozioni, di amori inespressi.
Anacreonte visse nella Ionia nel VI-V secolo a.C. e celebra i piaceri della vita, l’amore, il vino, i fiori, le danze e i banchetti.
Simonide dell’isola di Ceo, nel VI secolo a.C. fu uno dei lirici più fecondi e popolari della Grecia. Nella sua lunga vita visse anche le guerre contro i Persiani e tutti i Greci si commossero alla lettura delle poesie in cui veniva esaltata la vittoria a Salamina o pianta la sconfitta delle Termopili.
Bacchilide, sempre di Ceo, fu il nipote di Simonide e visse nel V secolo a.Cr e nella sua opera domina il tema dell’amore e del convito.
Il più grande poeta lirico in assoluto che sia mai apparso in Grecia è però Pindaro di Tebe, vissuto nel VI secolo a.C. Scrisse liriche corali e la sua produzione è vastissima. Le sue odi e i suoi epinici (carmi in onore di vincitori dei giochi) venivano cantate durante le grandi feste religiose e ascoltate da migliaia di persone. Divenne famosissimo per la fantasia e la ricchezza dei temi trattati: l’elogio di un vincitore o di una città non erano che il pretesto per sollevarsi al mondo dei miti e delle leggende, ora visti come favole meravigliose e non più come verità.
(fonte: Lezioni di storia antica e medievale © 2010 DeAgostini Scuola S.p.A. – Novara)
Allegato 1335
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Stesicoro di Matauro ( o Imera) ( 630 - 555 circa a.C.)
Allegato 1336
Stesicoro (che in greco significa “ordinatore di cori”) è poeta itinerante. Delle composizioni stesicoree possediamo, oggi, un numero limitato di frammenti.
La lingua è quella dorico-letteraria, ma lo stile è quello omerico.
La poesia stesicorea è un'elaborazione epico-lirica delle leggende greche tramandate, con riferimento però a quelle eroiche, umane, più che a quelle divine.
Ricca è la produzione artistica stesicorea ed i suoi temi, variando da narrazioni, discorsi diretti, ed introspezione che oggi diremmo psicologica.
Secondo una leggenda detta da Aristotele, Stesicoro si trovava a Imera ( o Matauro) quando gli Imeresi credettero opportuno di affidare la difesa della propria città a Falaride, tiranno di Agrigento; Stesicoro, conscio del pericolo che si andava profilando, raccontò di un cavallo che, per mettersi al riparo da un cervo, leggendario suo nemico, invocò l'aiuto dell'uomo; questi lo protesse dal cervo, suo nemico, ma alla fine lo addomesticò e ne divenne quindi padrone (con ovvio riferimento alla fine che avrebbero fatto gli Imeresi qualora si fossero piegati alla volontà del tiranno)
...
«Non aggiungere ai dolori angosce penose
e, per il futuro,
attese gravi tu non predirmi.
Non sempre allo stesso modo,
sulla terra sacra, gli dèi eterni
posero continua la discordia agli umani,
e neppure la concordia: ogni giorno
una mente diversa ispirano gli dèi.
Le tue profezie, o signore, non tutte le avveri Apollo
che lungi saetta.
Ma se è destino - e così han filato le Parche -
ch'io veda i miei figli uccisi l'uno dall'altro,
giunga allora a me sùbito il compimento della morte odiosa,
prima ch'io veda
questi eventi dolorosi, causa di molti gemiti e di pianto:
i figli morti
nel palazzo o la città espugnata.
Suvvia, o figli, date ascolto alle mie parole, amati figli.
Un esito tale a voi io propongo:
che abbia uno la reggia e abiti nella patria Tebe;
e se ne vada l'altro,
tenendo per sé le greggi tutte e l'oro del padre;
e sia la sorte a decidere,
chi per primo sarà estratto per volere delle Parche.
Questo può essere - credo -
lo scioglimento del vostro triste destino,
secondo i moniti del divino vate;
se davvero il Cronide vorrà salvare la progenie e la città
di Cadmo signore,
per molto tempo rinviando la sventura che alla stirpe
regale il destino ha fissato».
Così disse la chiara donna, parlando con dolci parole,
e volendo porre fine alla contesa dei figli nel palazzo,
e insieme a lei l'indovino Tiresia: ed essi diedero ascolto
...
Frammenti
Pomi cidonii
Pomi cidonii a iosa
sul reale carro gettavano,
e foglie di mirto
e ghirlande di rose
e corone di viole.
Oblio
Colla morte
svanisce ogni favore umano.
Apollo e Ade
Danze, giochi e soavi canti
ama Apollo.
Lutto e pianto
rimandano all'Ade.
Allegato 1338
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Stesicoro scrisse, tra l'altro, anche Palinodia, o "rincantamento", nei cui versi declama non essere Elena che si sia recata a Troia, bensì un suo simulacro:
Non è veritiero questo racconto,
non andasti [tu, Elena] sulle navi dai bei banchi,
non giungesti alla rocca di Troia.
(Palinodia, frammento)
Allegato 1337
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Senofane di Colofone (565-470 a.C.)
Allegato 1339
Poeta, rapsodo, saggio, filosofo, Senofane produsse varie opere di cui a noi sono pervenuti solo alcuni frammenti.
La lingua è quella epica ma sono frequenti parodìe e satire. Le composizioni a volte sono parenetiche, esortative. Senofane è animo fortemente dissacrante, razionalista e anticonformista: sue mire sono le manifestazioni religiose con i valori di cui sono portatori, ma anche la tradizione. Per Senofane il poeta deve avere una forte tinta etica perchè è latore di nuove condotte etico-sociali
Alcuni tratti di Senofane:
“E’ da lodare quell’uomo che, dopo aver bevuto, rivela cosa belle, così come la memoria e l’aspirazione alla virtù glielo suggeriscono. Non narrare le lotte dei Titani o dei Giganti o, ancora, dei Centauri, parti della fantasia dei primitivi, oppure le violente lotte di partito, che sono cose che non hanno pregio di sorta, ma bensì rispettare sempre gli dèi, questo è bene”.
“Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quanto presso gli uomini è oggetto di onta e di biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi reciprocamente”.
"E nessun uomo ha mai scorto l'esatta verità, né ci sarà mai
chi sappia veramente intorno agli dei ed a tutte le cose ch'io dico
che se anche qualcuno arrivasse ad esprimere una cosa compiuta al più alto grado,
neppur lui ne avrebbe tuttavia vera conoscenza, poiché di tutto vi è solo un sapere apparente."
Allegato 1340
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Quote:
Originariamente inviato da
Sir Galahad
Torniamo per un attimo a descrivere la società della polis vista secondo gli occhi questa volta di Semonide: come si è visto, Semonide (o Simonide) partecipa del proprio mondo esclusivo, quello dell'aristocrazia (parola tratta dal greco
άριστος, aristos "Migliore" e
κράτος, kratos, "Potere":
Il potere ai migliori) e le sue elegie sono intonate a questa sfera politica particolare ed elevata della polis: cantandone la gloria, Semonide prende con ciò le distanze da donne e uomini di bassa estrazione sociale.
Ecco un giambo che illustra bene tutto ciò:
Fin da principio, il dio fece diversi i caratteri delle donne:
una creò dalla scrofa setolosa
nella cui casa tutto è sudicio di fango,
ogni oggetto è in disordine, o rotola per terra;
lei stessa è sporca, non lava le sue vesti,
e ingrassa voltolandosi nel letame.
(Traduzione di Pellizer)
Allegato 1333
Allegato 1332
(Sir)
L'hai messa per provocare e vedere quante donne leggevano questi post? Ebbene, io li leggo!!! Maschilista travestito da grecista:evil::mrgreen:
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1 allegato(i)
Quote:
Originariamente inviato da
annaV
L'hai messa per provocare e vedere quante donne leggevano questi post? Ebbene, io li leggo!!! Maschilista travestito da grecista:evil::mrgreen:
Ebbene sì, maschilista sono, ah! E poi, posterò ancora cose peggiori, te ne accorgerai, fimmina! :mrgreen:
Allegato 1346
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Quote:
Originariamente inviato da
Sir Galahad
Ebbene sì, maschilista sono, ah! E poi, posterò ancora cose peggiori, te ne accorgerai, fimmina! :mrgreen:
Allegato 1346
In attesa sono!!!
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1 allegato(i)
Secondo Platone e Aristotele, l'indirizzo della scuola Eleatica, in Filosofia, prese proprio l'avvìo da Senofane.
Il primum movens di Senofane è una critica serrata all'antropomorfismo religioso, come si ritrova nel pensiero comune degli Ellenici, ed anche in Omero ed Esiodo; dice, infatti:
Gli uomini credono che gli dei abbiano avuto nascita ed abbiano voce e corpo simile al loro...
I poeti hanno incoraggiato tale tendenza, mentre Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dei anche ciò che, in sè, parrebbe oggetto di vergogna e biasimo: furti, adulteri e freciproci inganni.
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In reltà c'è , per Senofane, una sola divinità "che non somiglia agli uomini nè per il corpo né per il pensiero". Questa divinità è da far coincidere con l'universo; questa divinità è un dio-tutto ed è eterna: non nasce, non muore, è sempre la stessa. Se nascesse significherebbe che prima non era; ma ciò che non è, neppure può nascere né può far nascere nulla.
Senofane afferma sul piano teologico un indirizzo unitario ed immutabile.
(tratto, con variazioni, da Storia della Filosofia, di Nicola Abbagnano)
Senofane è quanto mai importante, non solo per la Grecia ma anche per la storia del pensiero umano. L'affermazione dell'Unità dell'Essere darà, in seguito, l'avvìo alla filosofia Parmenidea.
Allegato 1381
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Terpandro
Poeta e citaredo greco (sec. 7º a. C.), da Antissa, nell'isola di Lesbo . Secondo la tradizione,
vinse a Sparta la gara musicale nel 676 a. C. alle feste Carnee. Fu più musico che poeta: a lui
sono attribuite un'innovazione musicale, l'introduzione dell'eptacordo .
Terpandro, secondo Pindaro fr. 125 Sn.-M., avrebbe iniziato la sua carriera musicale e poetica
a simposio, presso i Lidi.
Di lui restano pochissimi frammenti
Pindaro attribuisce a Terpandro l'invenzione del bárbitos, apparendo così
il creatore della musica da simposio :
http://www.youtube.com/watch?v=EGAnNTAzJn8
(Il barbitos)
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1 allegato(i)
L'antico nomos (composizione musicale) entrò nella storia per merito di questo poeta-musicista, che alcuni hanno chiamato "padre della musica greca".
Terpandro fu il primo autore ad aver composto alcuni nomoi (componimenti musicali da lui creati);
I nomoi di Terpandro si eseguivano con l'accompagnamento della cetra ed erano divisi in sette sezioni:
- arena (canto iniziale),
- metarcha (in responsione ritmica con l'arena),
- katatropa (transizione),
- metakatatropa (in responsione ritmica con la katatropa)
- omphalos (ombelico, la parte centrale),
- sfraghis (sigillo),
- epilogos (la conclusione).
( da Ancient Greek Music di M. L. West)
Allegato 1382
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2 allegato(i)
Saffo di Ereso (ultimo decennio sec.VII)
Allegato 1386
(Busto di Saffo: SAPPHO ERÈSIA, di Ereso)
Nacque, Saffo, nell'isola di Lesbo. Di famiglia agiata, fu sacerdotessa di Afrodite e delle Muse. Conosciutissima nella fiorente civiltà Ellenica, Saffo produsse composizioni che si ascrivono alla poesia melica monodica e corale. A noi sono giunti papiri e frammenti.
Allegato 1387
Il dialetto è quello eolico di Lesbo, lingua "nobile", per così dire, perchè adoperata anche da altri poeti (come Alkaios, Alceo), filosofi, storici, medici, come vedremo.Dialetto dorico, dunque, anche se venato di omerismi (Epitalamio per Ettore e Andromaca).
Lo stile è molto comunicativo, lineare, acutamente psicologico: Saffo di Ereso comunica come pochi le vibrazioni che accompagnano i sentimenti più intimi.
I temi trattati sono spesso sentimentali, omoerotici.
I tratti psicologici descritti sono la passione, la nostalgia, il dolore del distacco emozionale, il senso di preghiera, l'amore per la Natura.
Come sacerdotessa visse intensamente il mondo trans-materiale e il vissuto religioso informa la poesia saffica.
Saffo descrive come pochi l'amore omosessuale, che - d'altra parte - era parte vissuta della categoria aristocratica alla quale apparteneva.
Saffo di Ereso ha la proprietà di trasformare i fenomeni reali in visioni poetiche e musicali, risultato cui giunge con una scelta minuziosa di immagini, parole e suoni. La natura, in Saffo, acquista un ruolo predominante e crea un senso di armonia e bellezza.
La teoria estetica di Saffo è singolare: secondo questa poetessa, “il bello è ciò che si ama” negando, con ciò, una scala di valori prestabilita e assoluta, rivalutando invece l’importanza della scelta del singolo individuo (relativismo estetico); sempre in campo estetico, Saffo rivendica su tutto la superiorità dei sentimenti.
Alceo,suo conterraneo, in un celebre frammento la definì :
O Saffo dai capelli di viola, pura, dal dolce riso!
mentre Platone la definì "decima musa".
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All’Amata.
Donna, beato, uguale,
Parmi a un Dio quel mortale
Che ti siede di fronte, e, a te ristretto,
Soavemente favellar ti sente,
Sorridere ti mira amabilmente.
Com’io ti vidi, in petto
Attonito, distretto
Sentimi il cor; com’io ti vidi, spenta
Mancò la voce nella gola; ratto
La lingua a me fiaccavasi, e di tratto
Serpeggiando una fiamma
Sottile, i membri infiamma;
Fugge dagli occhi la veduta; ingombra
Le orecchie un zufolio; ghiaccio un sudore
Discorre, e tutta m’occupa un tremore:
Per ch’io com’erba imbianco,
E per poco io non manco,
E fuor di vita appajo. Or ogni ardita
Opra tentar vogl’io, poi che mendica...
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Inno ad Afrodite (trad. Ippolito Pindemonte)
« Afrodite eterna, in variopinto soglio,
Di Zeus fìglia, artefice d'inganni,
O Augusta, il cor deh tu mi serba spoglio,
Di noie e affanni.
E traggi or quà, se mai pietosa un giorno,
Tutto a' miei prieghi il favor tuo donato,
Dal paterno venisti almo soggiorno,
Al cocchio aurato
Giugnendo il giogo. I passer lievi, belli
Te guidavano intorno al fosco suolo
Battendo i vanni spesseggianti, snelli
Tra l'aria e il polo,
Ma giunser ratti: tu di riso ornata
Poi la faccia immortal, qual soffra assalto
Di guai mi chiedi, e perché te, beata,
Chiami io dall'alto.
Qual cosa io voglio più che fatta sia
Al forsennato mio core, qual caggìa
Novello amor ne' miei lacci: chi, o mia
Saffo, ti oltraggia?
S'ei fugge, ben ti seguirà tra poco,
Doni farà, s'egli or ricusa i tuoi,
E s'ei non t'ama, il vedrai tosto in foco,
Se ancor nol vuoi.
Vienne pur ora, e sciogli a me la vita
D'ogni aspra cura, e quanto io ti domando
Che a me compiuto sia compi, e m'aita
meco pugnando. »