In difesa di Ignazio Silone
In alcuni saggi pubblicati nel 1998-’99 sulla rivista Nuova storia contemporanea, Dario Biocca e Mario Canali, sulla base di un serie di documenti provenienti dall’Archivio Centrale dello Stato, accusarono Silone di aver svolto attività di informatore per conto di Guido Bellone, commissario della polizia politica fascista nel periodo 1920-1930.
Dopo essere stati anticipati sulla stampa, presentati ed enfatizzati con toni scandalistici più che scientifici, i loro lavori vennero raccolti in un volume dal quale traspare più volte un certo disprezzo per l’autore di Uscita di sicurezza, accusato di aver dato un’immagine <<leggendaria>> di sé, di aver acquisito <<una funzione pedagogica e rituale […] che non poteva ammettere alcun puntuale esame critico>>.
Ne nacque una violenta polemica. Gli innocentisti, guidati da Indro Montanelli, rifiutarono l’autenticità dei documenti e contestarono la strumentalità della ricerca.
Montanelli, in particolare, ebbe a dire: “Non ci crederei […] nemmeno se venisse Silone a confermarmelo".
Giuseppe Tamburrano smascherò inesattezze nell’attribuzione di testi non firmati, scoprendo per esempio che l’OVRA, in ambiente comunista, aveva molti collaboratori indicati col medesimo nome in codice - Silvestri - , con il quale si sarebbe firmato anche Silone.
Biocca e Canali tralasciano questo DETTAGLIO, lasciando così intendere che il Silvestri in questione potesse essere solo ed esclusivamente Ignazio Silone.
Il maldestro tentativo di diffamazione è comunque costruito su un fatto acclarato: il rapporto fiduciario tra Silone e il commissario Bellone.
La strumentalizzazione del fatto consiste nell’omissione della definizione della natura di tale rapporto.
Silone negli anni Venti aveva parte attiva nel servizio di controinformazione del Pcd’I.
Come sottolineato da Andrea Ermano, direttore dell’Avvenire dei lavoratori:
<<In realtà, sul versante “spionistico” l’unico fatto storico accertato è che l’accusato diresse la rete clandestina del Pcd’I durante gran parte degli anni Venti. In altre parole, lo specifico, quotidiano compito di Ignazio Silone fu per lungo tempo quello di depistare, tenere in scacco e neutralizzare la polizia di regime.
E, a giudicare dai risultati, svolse tale compito in modo efficace. Tant’è che ancora nel 1931 Alfred Kurella, già segretario generale dell’Internazionale giovanile comunista, solo di Silone si fidò e proprio a lui si rivolse per pianificare una lunga missione in Italia, dalla quale nacque un libro dal titolo Mussolini ohne Maske (Mussolini senza Maschera)>>.
Inoltre è da ricordare che nell’aprile del 1928 il fratello più giovane di Silone, l’unico rimastogli, fu incarcerato con l’accusa di appartenere al Partito comunista illegale e in particolare di essere il responsabile di un attentato avvenuto a Milano. Accusa infondata, ma costruita ad hoc per poterlo arrestare e in questo modo colpire sul vivo il fratello maggiore, fortemente inviso al regime.
Ed in effetti la mossa colpì nel segno. Silone non riusciva a darsi pace, si sentiva responsabile di quanto stava accadendo al fratello, che era più interessato allo sport che alla politica.
Perciò di tentò di aiutarlo, come riferito dagli stessi funzionari del partito fascista in un profilo personale dell’esule abruzzese redatto su richiesta dello stesso Mussolini:
<<Cercò di aiutarlo in tutti i modi, inviandogli sussidi e sovente anche dolciumi e leccornie. In tale periodo diede a vedere di essersi pentito del suo atteggiamento antifascista e tentò qualche riavvicinamento con le Autorità italiane, mandando disinteressatamente delle informazioni generiche circa l’attività dei fuoriusciti. Ciò fece nell’intento di giovare al fratello>>.
Informazioni generiche che non compromettevano nessuno.
Ma tutto questo fu invano: nel 1932, nel penitenziario di Procida, Romolo Tranquilli morì a causa delle lesioni interne procurategli dalle torture subite.
La ricercatrice giapponese Yukari Saito ha rilevato con un accurato lavoro filologico che Biocca e Canali, nella trascrizione della missiva più importante, quella di congedo di Silone a Bellone datata 13 aprile 1930, hanno compiuto numerosi errori di trascrizione, <<addirittura una dozzina di parole omesse o sostituite, nonché numerose inesattezze di punteggiatura e una totale assenza delle sottolineature che l’autore vi aveva messo non a caso>>.
Conclude la ricercatrice: <<La riproposta di tali errori, senza alcuna rettifica né precisazione da parte dello stesso aurore, rende meno facile considerarle come un semplice frutto dell’umana distrazione e compromette anche l’attendibilità di tutti gli altri materiali trascritti dallo stesso autore>>.
Come a dire: è allettante la prospettiva di infangare la memoria di un morto. E’ comodo: non si puo’ difendere.
Ma quando il morto in questione da vivo aveva la coerenza e il rigore morale che contraddistinguevano Secondino Tranquilli, le calunnie si sciolgono come neve al sole. Il sole della Verità.