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dolores
27-December-2011, 18:46
Stephen King - "La zona morta" - Sperling & Kupfer

Al risveglio da un coma durato quattro anni, Johnny scopre di possedere un dono meraviglioso e nello stesso tempo tremendo: è capace di conoscere il futuro e i segreti della mente altrui con un semplice contatto, anche solo un tocco della mano. E questa facoltà lo conduce dentro un'avventura agghiacciante, in cui è sempre più solo.
Johnny era un ragazzo allegro e spensierato che conquistava tutti con le sue battute e il suo sorriso, dopo l’incidente diventerà solo l’ombra di se stesso e non potrà contare sugli affetti stabili che lo circondavano, i genitori e la fidanzata, ma dovrà lottare con le sue forze per tornare a vivere. E’ un personaggio straordinario perché combatte i suoi demoni per fare la cosa giusta, ma qual è la cosa giusta?

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“Se avessi saputo cosa avrebbe fatto Hitler e avessi avuto l’opportunità di ucciderlo, che avresti fatto? Lo avresti assassinato?”

E’ la domanda che Johnny Smith, il protagonista del libro di Stephen King "La Zona Morta", pone ad un vecchio reduce della Prima Guerra Mondiale che aveva perso il figlio più giovane durante la Seconda Guerra Mondiale.
Siamo nel 1970 e Johnny Smith, un uomo con una vita normale ed una fidanzata da sposare da lì a poco, subisce uno spaventoso incidente stradale. Cade in un coma buio e senza fine, quando si risveglia sono passati quasi cinque anni ed il mondo attorno a sé è cambiato radicalmente. Ma soprattutto è cambiato lui perché scopre di possedere un dono, o forse una maledizione: con il semplice tocco di una mano, Johnny è in grado di vedere il futuro delle persone.
E se toccando qualcuno, per esempio un politico rampante ed ambizioso, scoprisse che in un futuro indefinito porterà il mondo alla rovina? Cosa farebbe?
A Johnny capita. I suoi dubbi, la sua incapacità di prendere una decisione, le sue azioni costituiscono il punto più alto del romanzo. Con un finale stupefacente.
"La Zona Morta" è un capolavoro nella costruzione dei personaggi, la loro psicologia, i traumi, le speranze, l’ineluttabilità del futuro, la volontà di cambiarlo, i rimpianti per il passato.
E lascia al lettore quell’esercizio intellettuale di etica che per nostra fortuna non dovremo mai affrontare nella realtà: e tu, Hitler, lo avresti ucciso?

elisabetta
27-December-2011, 20:20
Anche a me piacque molto La zona morta.
L'irrompere del 'dono' della preveggenza nella trama della vita quotidiana, il cambiamento riscontrato nelle persone care dopo qualche anno di assenza, la cogenza di una scelta fondamentale sono tutti motivi molto ben padroneggiati da Stephen King, mi sembra.

Uccidere Hitler?
Come notava Daniela altrove, non è pensabile che senza il favore o l'acquiescenza di migliaia e migliaia di persone, che magari singolarmente erano tutt'altro che mostri, Hitler avrebbe potuto provocare le tragedie che ha provocato. Però è anche vero che un leader può essere un elemento catalizzatore di pulsioni che in sua assenza resterebbero tali, senza realizzazione. In questo senso ha una ragion d'essere il tirannicida.
In una situazione di occupazione, di feroce dittatura penso che sarei portata alla lotta partigiana. Anche quella non è una festa di gala però, ha a che vedere con l'uccidere esseri umani, in fondo meno colpevoli di Hitler, o chi per lui.

Un'altra osservazione che mi viene di fare è che Hitler è diventato il simbolo del male assoluto e va bene così ma, ad approfondire alcune pagine di storia, nel periodo dell'imperialismo trionfante altri crimini e genocidi sono stati compiuti, milioni di morti in Sudan, ad esempio ...

elisabetta
12-January-2012, 21:22
Re Stefano mi piace.
Fra i suoi libri che ho letto mi sono piaciuti particolarmente Misery e Dolores Claiborne.

Tess
13-January-2012, 17:53
Io ho letto quattro o cinque romanzi...ho amato sopra tutti "Cose preziose". L'atmosfera creata è davvero inquietante, unica.Grandissimo.

dolores
06-February-2012, 09:23
Stephen King - "Le notti di Salem" - Sperling & Kupfer

Una casa abbandonata, un paesino sperduto, vampiri assetati di sangue. Quando il giovane Stephen King decise di trapiantare Bram Stoker nel New England sapeva che la sua idea, nonostante le apparenze, era buona, ma forse neanche la sua fervida immaginazione avrebbe saputo dire quanto. Era il 1975 e, da allora, il racconto dell’avvento del Male a Jerusalem’s Lot, meglio conosciuta come Salem’s Lot, non ha mai cessato di terrorizzare milioni di lettori, consacrando il suo autore come maestro dell’horror.
Protagonista della storia è Ben Mears, uno scrittore che torna ai luoghi della sua infanzia — la buona, vecchia provincia americana — per esorcizzare una terribile esperienza avuta da ragazzino a Casa Marsten, il tetro e minaccioso edificio che domina il villaggio. Ora la spettrale dimora l’accoglie a occhi aperti, o meglio, a finestre illuminate. Ma chi è il sedicente signor Barlow, il nuovo proprietario? Perché la sua presenza è percepibile solo dopo il tramonto? E che cosa sta succedendo ai pacifici abitanti del Lot? Un geniale connubio tra orrore soprannaturale e quotidianità, un omaggio alle nostre paure più profonde, sconfinate e irrazionali e, come i mostri sotto il letto, così improbabili ma così... reali.

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Quattro stelle al romanzo, cinque a Mark Petrie

Con la consueta abilità King cattura fin dall'inizio l’attenzione di chi legge, insinuando già dalle prime righe un’inquietudine che monta pagina dopo pagina. Se, da un lato, la storia raccontata prende forma sviluppandosi rapidamente, dall'altro King si prende tutto il tempo necessario per descrivere l’ambiente, la cittadina di provincia con le sue dinamiche, i suoi misteri, i suoi abitanti. Questo è un aspetto che mi è sempre piaciuto dello stile di King perché mi consente di stare al centro della scena e non semplicemente sullo sfondo. Inoltre da queste descrizioni prendono vita vicende secondarie che, se poco aggiungono ai fini della trama principale, contribuiscono ad arricchire e a rendere viva l’ambientazione in cui si svolgono i fatti narrati.
I personaggi sono molti e ben caratterizzati: Ben Mears, Susan, Matt, Padre Callahan, Barlow… ma il mio preferito è Mark Petrie, un ragazzino di dodici anni. Ho sempre pensato che King dia il meglio di sé quando racconta di bambini nelle sue storie. Mark è un ragazzino come ce ne sono tanti, ma dotato di un certo distacco, di un certo autocontrollo. Quando da bambino il suo cagnolino si ammalò e il veterinario disse di doverlo "addormentare", Mark gli rispose che sapeva benissimo che non lo avrebbe addormentato, ma che lo avrebbe ucciso. Tuttavia accettò la cosa, diede un bacio all'animale e se ne andò. E se sua madre pianse tre giorni e poi dimenticò il cane per sempre, Mark non versò una lacrima ma non dimenticò l'animale per il resto della sua vita.
Ottimo romanzo, veramente piacevole da leggere, e se penso che ha sulle spalle oltre trent’anni direi che se li porta veramente bene! Consigliato.