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Tregenda
24-November-2011, 21:33
Difficile scrivere di Ignazio Silone. L’argomento è talmente vasto da non essere in alcun modo sintetizzabile. Perché Silone non fu solo e semplicemente uno scrittore; fu anche e soprattutto uno degli uomini che contribuirono a fare la storia del nostro paese.
Personaggio scomodo per tanti su tanti fronti, “cristiano senza chiesa e socialista senza partito”, come lui stesso si definiva. Una vita al servizio di una patria che non ha smesso di rinnegarlo neanche dopo morto, una morte lontano dal suo caro Abruzzo.
Ma scrivere di Secondino Tranquilli, alias Ignazio Silone, mi risulta difficile anche per un’altra ragione.
Perché per me è come parlare di un parente stretto. Silone per me rappresenta un’italianità che non esiste più, un mondo di cui in qualche modo sono riuscita ad avere un vago sentore durante la mia infanzia in un paesino di provincia. Al di là di ogni distanza, temporale (quando lui è morto io non ero ancora nata) e geografica (tra Abruzzo ed Emilia).
Io non ho solo letto l’intera sua opera, l’ho studiata con maniacalità, assieme alla sua vita, alla sua vicenda umana. Come se dovessi scriverci una tesi di laurea.
Perciò non pretendo di esaurire l’argomento in un post, per parte mia lo farò un po’ alla volta.
E nel frattempo mi piacerebbe conoscere anche le riflessioni di chi sente di aver qualcosa da dire, qualsiasi cosa, su Silone e su quello che ha scritto.
Ma dovendo pur cominciare da qualcosa, io ho deciso di iniziare dalla fine. Quasi come atto catartico, per liberarmi subito della parte più dolorosa.
Quindi propongo il racconto dei suoi ultimi minuti di vita nella clinica ginevrina in cui era stato ricoverato per l’ennesima volta.
Da sempre soffriva di problemi ai polmoni, in seguito sono subentrati altri disturbi, ma il vero dramma finale è stata la lesione cerebrale che, a seguito di un ictus, ha fatto sì che nell’ultimo periodo fosse diventato agrafico. Il suo cervello continuava a pensare con la lucidità che l’aveva sempre contraddistinto, ma non era più in grado di trasmettere gli impulsi giusti alla sua mano, che così, convinta di trascrivere pensieri di senso compiuto, allineava invece sul foglio un’accozzaglia di parole in libertà senza capo né coda.
E lui non se ne rendeva conto. Una vera beffa del destino per uno scrittore.
Il suo desiderio, espresso in precedenza, era quello di essere cosciente quando fosse arrivata la morte. Voleva essere consapevole nell’ultimo istante, avere giusto il tempo di sapere che stava morendo.
E gli ultimi istanti di vita cosciente di Ignazio Silone nelle parole della moglie Darina ci raccontano che almeno in questo è stato accontentato:

“Ora, cambiato improvvisamente umore verso di me, disse: <<No, non posso mangiare, aspetto che portino anche la tua cena>>. Risposi che forse sarei stata l’ultima ad essere servita, qualcuno deve sempre essere ultimo, quindi che cominciasse. Cominciò, lentamente, svogliatamente, assaggiando appena il cibo, interrompendosi spesso per dire: <<Ma quando porteranno la tua cena?>>.
Gli ripetevo che non avevo fame, di non badare a me. Quando poi la mia cena arrivò, non me ne accorsi. Stava succedendo qualcosa.
Ad un certo momento, con gran cautela egli aveva allontanato da sé il tavolo, sollevandolo appena perché non urtasse il filo del televisore. Non capivo. <<Hai bisogno di qualcosa? Ti posso aiutare?>>.
Non disse nulla. Badando a non rovesciare niente, con grande concentrazione fece un giro di 90 gradi e tornò a sedersi, eretto, nella poltrona. Io stavo immobile a guardare. Era come se si compisse un rito solenne. Ad alta voce, molto chiaramente, scandendo le parole egli disse: <<Maintenant c’est fini. Tout est fini. Je meurs.>>. Poi accostò le mani alle tempie e gemette quattro volte <<Ohh – Ohh – Ohh – Ohh>>.
Quindi chiuse gli occhi e si afflosciò nella poltrona. Lo chiamai disperatamente ma non reagiva. Incredula, dovetti credere alle sue parole. Avrei voluto una parola per me, ma capii di averla già avuta: <<Ma quando porteranno la tua cena?>>.
Ignazio Silone era riuscito, con uno sforzo supremo, a realizzare il suo desiderio: morire con dignità e consapevolezza.
Che in punto di morte abbia parlato una lingua non sua fu un fenomeno, mi disse il medico, unico nella sua esperienza.”

Erano le 18 e 30 del 18 agosto 1978, Silone era entrato in coma profondo. Alle 4 e 15 del 22 agosto 1978 il cuore di Secondino Tranquilli smise di battere. Un mondo in meno.

Tregenda
08-December-2011, 21:39
"Se fosse in mio potere di cambiare le leggi mercantili della società letteraria, mi piacerebbe trascorrere l'esistenza a scrivere e riscrivere sempre la stessa storia, nella speranza che così finirei forse col capirla e farla capire, allo stesso modo come nel Medioevo vi erano monaci che passavano la vita a dipingere sempre daccapo il Volto santo, sempre lo stesso volto che poi non era mai lo stesso.
Io mi riconosco interamente nell'affermazione di Hugo von Hofmannstahl, secondo cui gli scrittori sono una categoria di uomini per i quali lo scrivere è più difficile che per gli altri. La causa di ciò mi diventa palese ogni volta che sono sul punto di finire un libro. Chiuderlo mi pare allora un atto arbitrario, penoso e contro natura, almeno contro la mia natura. Sentendomi dunque legato nel più intimo alla materia del libro, accade che io persista a pensarvi su e a fantasticare, e che in tal modo il libro continui a vivere e a crescere in me e a modificarsi, anche quando esso è già nelle vetrine dei librai.
Poichè un libro esprime la disposizione d'un autore verso la vita, questi dovrebbe, man mano che vive, di anno in anno, dare maggiore profondità, più sottili rifrazioni alla sua comprensione della vita. Non le pare giusto che egli cerchi di trasferire nel suo libro questo accrescimento?"

Intervista a Ignazio Silone

Baudin
11-December-2011, 01:54
Ho letto Silone tanto tempo fa. Fontamara, Il segreto di Luca e Vino e pane hanno contribuito alla mia educazione alla vita, quando trenta anni fa cercavo con affanno una strada di coerenza. Dopo tanti anni mi chiedo cosa ricordo di questi romanzi nel dettaglio e naturalmente la risposta è scontata, quasi niente. Ma è poi così importante? no, se restano comunque i capisaldi dell'insegnamento ricevuto. E per me fu molto importante sciogliere un nodo che mi creava confusione ed imbarazzo, l'essere di sinistra e l'essere credente. Non sono cambiato, ma forse è arrivato il momento di rileggerlo, sono curioso di riflettere a posteriori su temi così fondamentali per me.
:)

Tregenda
11-December-2011, 18:44
Baudin, il tuo intervento mi sorprende piacevolissimamente. Nel senso che non mi aspettavo un intervento così... fondamentale. Cioè che va proprio al cuore dell'essenza di Silone. La (solo apparente) contraddizione tra la sua fede politica e quella religiosa. Quando dici che non ricordi nulla dei dettagli dei romanzi ma non ha nessuna importanza, poi, mi trovi perfettamente d'accordo. E' esattamente così. Uno legge, col tempo i particolari sfumano, ma il libro ha fatto il suo dovere. E' stato metabolizzato, in un'altra forma è ancora lì dentro di noi, anche se non si riesce a distinguerlo nel marasma che abbiamo dentro. E' il segno che è diventato parte di noi.
Se posso, ti suggerisco di leggere (o ri-leggere) Uscita di sicurezza, perchè è un autoritratto in cui Silone riflette col senno di poi sulla sua esperienza nel PC, sulla situazione degli "ex" come li chiama, ossia i fuoriusciti dal partito come lui, sulla sua infanzia, sul suo incontro con Don Orione, sui cafoni e sul suo tentativo di risvegliare la loro coscienza politica, sulla società in generale.
Purtroppo attualmente non è in commercio, ma ho visto che tra i libri usati non è difficile da trovare.
E poi, sul tema della fede e dell'essere cristiano senza chiesa, c'è il bellissimo L'avventura d'un povero cristiano, ricostruzione della storia di Celestino V, che contiene anche alcuni saggi importanti, di una bellezza unica.

Rosy
11-December-2011, 19:27
Ho scoperto Silone forse anni ancora prima di Baudin...
Ricordo la lettura di FONTAMARA.
Doveva essere scolastica, perciò sopportata, invece si rivelò piacevole ed interessante..Poi Il segreto di Luca.
Dovrei anch'io rileggerlo. Come si può a distanza di decine e decine di anni esprimere un giudizio.. Ciao
Rosy

Baudin
12-December-2011, 00:12
Baudin, il tuo intervento mi sorprende piacevolissimamente. Nel senso che non mi aspettavo un intervento così... fondamentale. Cioè che va proprio al cuore dell'essenza di Silone.

Mi sono sintonizzato sulla tua lunghezza d'onda. Il tuo thread si apre con un atto catartico e mi è sembrato logico seguirti in questa impostazione, che poi è quella che preferisco perchè ci si mette un pò in gioco. Si può dare peso alle proprie argomentazioni in vari modi, una strada è la visceralità, un sistema diretto che offre agli interlocutori strumenti di conoscenza personale e crea, se "percepita" nel giusto verso, una immediatezza di intenti comuni.
Ti ringrazio per i consigli di lettura, li seguirò. :)

Tregenda
20-December-2011, 22:16
"Che mi rimane della lunga e triste avventura? Una segreta affezione per alcuni uomini che vi ho conosciuti, e il gusto di cenere di una gioventù sciupata. La colpa iniziale fu certamente mia, nel pretendere dall’azione politica qualcosa che essa non può dare. Anche la rivolta per impulso di libertà può dunque essere una trappola, mai peggiore però della rassegnazione.
Ogni volta che ripenso a queste disgrazie a mente serena sento risalire dal fondo dell’anima l’amarezza di un’infelicità a cui forse mi era impossibile sfuggire."

Uscita di sicurezza

Tregenda
26-December-2011, 22:41
In alcuni saggi pubblicati nel 1998-’99 sulla rivista Nuova storia contemporanea, Dario Biocca e Mario Canali, sulla base di un serie di documenti provenienti dall’Archivio Centrale dello Stato, accusarono Silone di aver svolto attività di informatore per conto di Guido Bellone, commissario della polizia politica fascista nel periodo 1920-1930.
Dopo essere stati anticipati sulla stampa, presentati ed enfatizzati con toni scandalistici più che scientifici, i loro lavori vennero raccolti in un volume dal quale traspare più volte un certo disprezzo per l’autore di Uscita di sicurezza, accusato di aver dato un’immagine <<leggendaria>> di sé, di aver acquisito <<una funzione pedagogica e rituale […] che non poteva ammettere alcun puntuale esame critico>>.
Ne nacque una violenta polemica. Gli innocentisti, guidati da Indro Montanelli, rifiutarono l’autenticità dei documenti e contestarono la strumentalità della ricerca.
Montanelli, in particolare, ebbe a dire: “Non ci crederei […] nemmeno se venisse Silone a confermarmelo".
Giuseppe Tamburrano smascherò inesattezze nell’attribuzione di testi non firmati, scoprendo per esempio che l’OVRA, in ambiente comunista, aveva molti collaboratori indicati col medesimo nome in codice - Silvestri - , con il quale si sarebbe firmato anche Silone.
Biocca e Canali tralasciano questo DETTAGLIO, lasciando così intendere che il Silvestri in questione potesse essere solo ed esclusivamente Ignazio Silone.

Il maldestro tentativo di diffamazione è comunque costruito su un fatto acclarato: il rapporto fiduciario tra Silone e il commissario Bellone.
La strumentalizzazione del fatto consiste nell’omissione della definizione della natura di tale rapporto.
Silone negli anni Venti aveva parte attiva nel servizio di controinformazione del Pcd’I.
Come sottolineato da Andrea Ermano, direttore dell’Avvenire dei lavoratori:
<<In realtà, sul versante “spionistico” l’unico fatto storico accertato è che l’accusato diresse la rete clandestina del Pcd’I durante gran parte degli anni Venti. In altre parole, lo specifico, quotidiano compito di Ignazio Silone fu per lungo tempo quello di depistare, tenere in scacco e neutralizzare la polizia di regime.
E, a giudicare dai risultati, svolse tale compito in modo efficace. Tant’è che ancora nel 1931 Alfred Kurella, già segretario generale dell’Internazionale giovanile comunista, solo di Silone si fidò e proprio a lui si rivolse per pianificare una lunga missione in Italia, dalla quale nacque un libro dal titolo Mussolini ohne Maske (Mussolini senza Maschera)>>.

Inoltre è da ricordare che nell’aprile del 1928 il fratello più giovane di Silone, l’unico rimastogli, fu incarcerato con l’accusa di appartenere al Partito comunista illegale e in particolare di essere il responsabile di un attentato avvenuto a Milano. Accusa infondata, ma costruita ad hoc per poterlo arrestare e in questo modo colpire sul vivo il fratello maggiore, fortemente inviso al regime.
Ed in effetti la mossa colpì nel segno. Silone non riusciva a darsi pace, si sentiva responsabile di quanto stava accadendo al fratello, che era più interessato allo sport che alla politica.
Perciò di tentò di aiutarlo, come riferito dagli stessi funzionari del partito fascista in un profilo personale dell’esule abruzzese redatto su richiesta dello stesso Mussolini:
<<Cercò di aiutarlo in tutti i modi, inviandogli sussidi e sovente anche dolciumi e leccornie. In tale periodo diede a vedere di essersi pentito del suo atteggiamento antifascista e tentò qualche riavvicinamento con le Autorità italiane, mandando disinteressatamente delle informazioni generiche circa l’attività dei fuoriusciti. Ciò fece nell’intento di giovare al fratello>>.
Informazioni generiche che non compromettevano nessuno.
Ma tutto questo fu invano: nel 1932, nel penitenziario di Procida, Romolo Tranquilli morì a causa delle lesioni interne procurategli dalle torture subite.

La ricercatrice giapponese Yukari Saito ha rilevato con un accurato lavoro filologico che Biocca e Canali, nella trascrizione della missiva più importante, quella di congedo di Silone a Bellone datata 13 aprile 1930, hanno compiuto numerosi errori di trascrizione, <<addirittura una dozzina di parole omesse o sostituite, nonché numerose inesattezze di punteggiatura e una totale assenza delle sottolineature che l’autore vi aveva messo non a caso>>.
Conclude la ricercatrice: <<La riproposta di tali errori, senza alcuna rettifica né precisazione da parte dello stesso aurore, rende meno facile considerarle come un semplice frutto dell’umana distrazione e compromette anche l’attendibilità di tutti gli altri materiali trascritti dallo stesso autore>>.

Come a dire: è allettante la prospettiva di infangare la memoria di un morto. E’ comodo: non si puo’ difendere.
Ma quando il morto in questione da vivo aveva la coerenza e il rigore morale che contraddistinguevano Secondino Tranquilli, le calunnie si sciolgono come neve al sole. Il sole della Verità.

Baudin
27-December-2011, 18:33
Sono troppo di parte e troppo poco in possesso di strumenti per giudicare se Canali e Biocca siano dei denigratori o degli storici revisionisti nello stile defeliciano neomodernista. E’ evidentemente un discorso pieno di ombre e personalmente mi ritrovo senza dubbio nel commento di Montanelli : non ci crederei nemmeno se venisse a dirmelo lo stesso Silone.

Comunque gli avvenimenti in oggetto sono tutti degli anni ’20, appartengono al periodo del Silone politico militante. Anni intensi di attività accanto ed insieme ai fondatori del partito comunista, con i quali presto cominciarono i dissidi, acuiti dalla evidenza di un partito troppo legato a Mosca ed in assenza di qualunque possibilità di dibattito ed interlocuzione. La sua visione diversa di un partito più libero lo portò ad allontanarsi, nonostante il ruolo importante svolto nell’organizzazione.
Dal ’30 in poi, dopo l’esilio in Svizzera comincia il periodo di Silone scrittore, quello che più mi interessa ed in cui trovo gli spunti di maggiore riflessione.

Tregenda
27-December-2011, 23:44
Anch’io sono assolutamente di parte, la parte in cui credo. Certo non ho conosciuto personalmente Silone (purtroppo), ma se me lo chiedessero sarei disposta a giocarmi entrambi gli occhi nel sottoscrivere la dichiarazione di Montanelli. Chissà, forse perché la storia di Silone in un qualche modo mi era già nota ancora prima che la conoscessi, perché sembra ricalcare quasi perfettamente quella di un mio parente stretto, che ho sentito raccontare fin da piccola.
Probabilmente questo è anche il motivo per cui sento un legame così profondo con Ignazio Silone.
E penso che senza la sua triste esperienza col PCI non sarebbe stato lo scrittore che è stato. In fondo anche in seguito, una volta conclusa la fase di militanza ufficiale, non ha mai smesso di raccontare la sua storia. Vino e pane, Il seme sotto la neve, Una manciata di more (in questo in particolare dà sfogo a tutta la sua ira funesta), e in realtà persino L’avventura d'un povero cristiano, non sono altro che tante versioni della stessa storia.
Quella di un uomo che ci credeva e non ha mai smesso di crederci, ma che si è reso conto che per quelli che avrebbero dovuto essere i suoi compagni non era la stessa cosa.
Forse la scrittura, oltre che uno strumento di denuncia, è stata per Silone anche un modo per esorcizzare una delusione che non ha mai smesso di consumarlo fino al suo ultimo giorno.

Tregenda
29-December-2011, 11:35
A questo proposito, ecco cosa scrisse in Uscita di sicurezza:

"Lo scrivere non è stato, e non poteva essere per me, salvo in qualche raro momento di grazia, un sereno godimento estetico, ma la penosa e solitaria continuazione di una lotta, dopo essermi separato da compagni assai cari. E le difficoltà con cui sono talvolta alle prese nell'esprimermi non provengono certo dall'inosservanza delle famose regole del bello scrivere, ma da una coscienza che stenta a rimarginare alcune nascoste ferite, forse inguaribili."

Baudin
29-December-2011, 18:53
Questa frase, nella sua parte finale, è stata strumentalizzata dai fautori della tesi collaborazionista.
In realtà, almeno all’inizio dell’esilio, i motivi di sofferenza non erano legati solo al suo progressivo allontanamento dai compagni di partito, ma anche alle difficoltà esistenziali in cui trascorse quel periodo. Solo, braccato, senza fondi, malato, aveva la tbc e i medici gli avevano dato poche speranze, “ ...credevo di non aver più molto da vivere e allora mi misi a scrivere un racconto al quale posi il nome di Fontamara. Mi fabbricai da me un villaggio, col materiale degli amari ricordi e dell'immaginazione, ed io stesso cominciai a viverci dentro. Ne risultò un racconto abbastanza semplice, anzi con delle pagine francamente rozze, ma per l'intensa nostalgia e amore che l'animava, commosse lettori di vari paesi in misura per me inattesa. “

Era il 1929 lavorava ancora nella organizzazione clandestina del partito, a volte rientrava in Italia di nascosto, rischiando grosso. In una occasione si salvò grazie all’intervento del suo amico Don Orione, che si era preso cura di lui fin dal 1915 quando rimase orfano per il terremoto in Marsica.

Quando nel ’30 fu espulso dal partito per le sue idee antitotalitarie, rinunciò a difendersi. Nel frattempo uscì Fontamara, la cui prima stesura provvisoria in italiano circolò nell’ambiente dei rifugiati. La prima stampa fu in tedesco, anche se l’avvento del nazismo in Germania ne frenò la diffusione. Ma la Svizzera era un crocevia di fuoriusciti e la bellezza del romanzo trovò subito eco all’estero, dove fu tradotto in molte lingue. In Italia, invece, arrivò dopo la guerra e sempre con difficoltà.

Giovanni Monte
30-December-2011, 12:24
ma sì. ma d'altra parte. che ci importa.
anche se sottosotto fosse stato NAZISTA
la sua opera avrebbe lo stesso valore.
Una cosa è l'uomo, altra cosa la sua arte.

Tregenda
30-December-2011, 17:40
Questione di punti di vista. Per me l'arte non è neutra. L'arte di un uomo è l'essenza di quell'uomo. Ha un colore, un odore, un sapore, una personalità, è di parte. Quella di cui parli tu è tecnica, non arte. Se venissi a sapere che tutto quello che ha scritto Silone è menzogna per me non varrebbe più niente.

Giovanni Monte
31-December-2011, 00:07
l'arte è un punto di (s)vista.
infinite possono essere le disquisizioni (e incomprensioni) sulla... tecnica... sull'arte...
certo, tu riesci spesso a lasciarmi a bocca aperta.
apprendo da te che l'eccelsa Arte Siloniana - se nascesse da un cuore dedito alla congiura e allo spionaggio, se PURE FOSSE SCRITTA ALLO STESSO MODO DALLA PRIMA ALL'ULTIMA PAGINA, CON LE STESSE IDENTICHE PAROLE -si disfacerebbe in uno scialbo esercizio...
cosa posso dire??
B O H !!
inutile prendere a testate la tua capoccia, che è più tosta del pugno di Don Camillo e della sberla di Peppone messi assieme.
d'altraparte,
mi pare di ricordare che i fugaci botta e risposta non sono permessi dal regolamento
mi riservo di malmenarti in un guerresco faccia a faccia appena mi sarà concessa l'occasione.
con te PICCHIARE i tasti del mio portatile
proprio non mi soddisfa.

Tregenda
31-December-2011, 12:23
Per essere brevi: SI', sarebbe uno scialbo esercizio di stile mistificatorio senza alcun valore al di là dell'efficacia della mistificazione.
Attenzione però: ci tengo a fare una precisazione perchè non vorrei essere fraintesa. Io non apprezzo solo l'arte di chi la pensa come me, anzi. Trovo molto interessante leggere anche punti di vista che ufficialmente sono diametralmente opposti al mio. Infatti ho a casa libri delle Edizioni di Ar (non metto il link, non sia mai che qualcuno mi accusi di propaganda neofascista, sarebbe il colmo!). Non sono libri che si trovano in libreria, bisogna ordinarli sul sito, sono a tiratura limitata perchè loro si autofinanziano.
Perchè anche la libertà di stampa in Italia è una mistificazione. Basti pensare a Bagattelle per un massacro di Céline. Quello che trovi in negozio non è l'originale, è censurato e manipolato, mentre quello delle Edizioni di Ar è tradotto dal manoscritto originale.
Silone, Céline. Così diversi ma così uguali nel creare arte: in quello che scrivevano ci credevano sul serio (e Céline NON era pazzo, come lo vogliono far passare).


mi riservo di malmenarti in un guerresco faccia a faccia appena mi sarà concessa l'occasione.
con te PICCHIARE i tasti del mio portatile
proprio non mi soddisfa.
Su questo invece siamo in piena sintonia. Il mio portatile è nuovo e molto carino, non mi ispira alcuna violenza. Mentre prendere a schiaffi il tuo muso sarà una vera soddisfazione.

Giovanni Monte
31-December-2011, 13:50
"SI', sarebbe uno scialbo esercizio di stile mistificatorio senza alcun valore al di là dell'efficacia della mistificazione."
... ...

forse non ho mai letto una cosa tanto folle. pazza. Coppardelirante e sgangherata. Il mio intestino diventa una serpe scivolosa e mi si attorciglia lentamente attorno al collo. Signori!!
signor Bauden,
e pure tu, Signor Censore!
che stai lì appostato dietro l'angolo e aspetti la mia parolaccia
niente parolacce, ma risate!
rido. ebbene sì, RIDO, mi sollazzo e mi scompiscio allegramente e dolorosamente dell'insania di questa pazza emiliana che mi fa bollire i neuroni come patate al forno.
avete mai sentito una sentenza più degenere? vi prego, qualcuno venga in mio aiuto.
dunque, tu, Tregenda sostieni che se tra un anno scoprissi che tutte le "falsità" sul conto di Silone siano verità... ebbene allora butteresti nella spazzatura tutta la sua opera, perché tanto non avrebbe più alcun valore. sarebbe meno importante cioè dell'opera di Moccia, perché meno vicina all'animo di chi l'ha concepita? dunque, non ti rendi conto, tu, vecchia sciagurata, che l'opera avrebbe ancora un valore di per sé - che nessuna scoperta al mondo potrebbe portargli via - che i personaggi creati continuerebbero a vivere di vita propria, che i cafoni di Fontamara continuerebbero a essere eterni come immortali poeti, non ti rendi conto di questo banale fatterello? oh Gesù-Giuseppe&Maria, ma se saltasse fuori che l'Alighieri era un ateo bestemmiatore la sua Divin Commedia si affloscerebbe agli occhi dei nostri contemporanei come neve marcia al sole? di mistificazione ciarleresti, oh Letterariamente Perversa Femmina di origine Polacche? immagino di sì, parleresti di atto mistificatorio, perché Dante mentì davanti allo specchio dell'animaccia sua. ma non lo capisci che invece fu VERO e PURO davanti all'umanità intiera... ...

quanto ai punti di vista... lasciamo perdere la politica, che m'interessa zero. quel che dici è contraddetto dai fatti. perché hai detestato Bandini? come mai ti ha irritato? perché era un uomo che hai trovato insopportabile. un burattino senza palle, o qualcosa del genere. non hai contestato cioè la resa artistica. hai letto quei due libri fino all'ultima pagina. dunque se quel Bandini ti ha irritato così tanto significa che l'autore è stato molto bravo a creare-descrivere-raccontare le vicende di un tipaccio così insignificante e triviale. l'intento letterario, dunque, è pienamente riuscito. cos'altro è la resa artistica se non la capacità di mettere la vita nei personaggi e rendere credibile tutto ciò che si racconta? le idee? ma le idee appartengono a tutti, non basta essere "siloniani" per essere artisti. certo, il narratore può esporre anche un'idea, chiaro. che sia Silone o Sciascia, che sia Celine, se la scrittura è buona - cioè se l'Arte c'é - va bene qualsiasi idea. però, oh, dunque, argh! a te Bandini fa schifo, perché la tipologia umana rappresentata è molto lontana da te. oh, è questo che non riesco a digerire. perché se semplicemente Fante non ti piacesse per questioni puramente letterarie io non protesterei mica.

azzzz, ho fatto un macello, arruffando concetti e messaggi così come arrivavano... spero solo che i miei cazzotti sul tuo stomaco siano arrivati tutti. il portatile te lo romperei direttamente su quella testaccia, tanto fa schifo e dovrò prima o poi sostituirlo...

Baudin
31-December-2011, 15:42
E' evidente che certi toni sono singolari, peccato, perchè oscurano l'eventuale validità di alcune argomentazioni avanzate, sulle quali si potrebbe discutere, se l'unico interesse dello scompisciato utente non fosse quello di rompere ad ogni costo qualcosa.
Nell'attesa che il suo "viscido intestino" porti a compimento l'opera intrapresa, mi fermo e mi siedo sulla riva del fiume.8-)

Giovanni Monte
31-December-2011, 18:25
il tono è gioioso frizzantino.
giocherellone.
non si capisce proprio?

Baudin
31-December-2011, 18:48
Certo che si capisce, apprendista giullare!
Solo che il frizzantino, a volte, può sciogliere la lingua un pò troppo.:roll:

Sir Galahad
31-December-2011, 19:59
Per piacere, che tutti moderino toni e termini. Si spera e si presume, infatti, che ogni forumista abbia abbastanza rispetto per l'altro senza dover per questo scivolare nel sarcasmo.
I toni "frizzantini" e scherzosi sono sempre ben accetti, purchè non degenerino. Dico questo perchè tutti siamo memori di alcune particolari "incursioni " fatte su altri Forum e tutti ricordiamo che hanno sortito, come unico effetto, quello di "avvelenare" il Forum.
Quindi, si accettino le norme di una buona e civile convivenza.

Buon lavoro a tutti

Giovanni Monte
31-December-2011, 20:56
suvvia, non degenerai!
voi fatemi incontrare questa Tregenda in un faccia a faccia e allora vedrete se non degenero sul serio...
d'altra parte mi ha invitato lei..
perché aveva voglia di un po' di box
ed è riuscita a farmi prudere le mani.
tirata d'orecchie anche a lei!!

Tregenda
31-December-2011, 22:10
Bah Monte, io non ho parole. Avevo semplicemente comunicato ad uno che conosco che mi ero iscritta a questo forum. Non avevo chiesto a nessun Monte di venire a scompisciarsi su quello che per me è l'arte. L'altra volta il tono era gioioso e frizzantino, ma stavolta confesso che sono perplessa. Se poi mi merito una tirata d'orecchie per qualcosa, che me le tirino pure, ma che non sia perchè ho provocato io questa ROBA che non capisco nemmeno cosa sia. Io stavo parlando di Silone e spero di poter continuare a farlo. Ciò che è al di fuori della mia comprensione non mi interessa.

Sir Galahad
31-December-2011, 22:25
L'argomento sull'opera di Silone era stato iniziato da Tregenda in modo impeccabile e, direi, psicologicamente acuto. Baudin ha poi posto in modo altrettanto impeccabile il personale punto di vista. Fino a questo punto l'analisi dell'uomo/scrittore/politico Silone aveva attirato l'attenzione dei Forumisti.
Direi che è buona cosa ripartire da questi argomenti e usando il registro fin qui adottato. Quindi, Tregenda, sei pregata di continuare il tuo discorso interrotto. Grazie.

Tregenda
31-December-2011, 22:36
Sono assolutamente d'accordo. Sul fatto di riprendere il discorso, dico. Per l'impeccabile invece ti ringrazio, Sir. :)
Baudin? Passo la palla a te. Rialzati dalla riva e continuiamo, ti prego. :) Dai dai dai, pendo dalle tue... dita. ;)

Tregenda
01-January-2012, 23:33
Ovvero: come fu che Secondino Tranquilli divenne Ignazio Silone.

Ancora una volta ce lo raccontano le parole della moglie Darina:

“Il 2 maggio 1900 suo padre, Paolo Tranquilli, andò al Comune del suo paese nativo per denunziare la nascita, avvenuta il giorno prima, del terzogenito. (C’erano già un fratello, che morì più tardi, all’età di quattordici anni, in seguito ad un incidente, ed una sorella che visse solo pochi mesi.)
Il padre, di sentimenti spiccatamente repubblicani, voleva dare a questo figlio il nome di Mameli o Cairoli, ma il sindaco gli obiettò che ciò non era possibile, Mameli e Cairoli non essendo nomi di santi. Paolo Tranquilli fu preso dalla collera e disse al sindaco (un suo amico): <<Se non posso chiamare mio figlio come voglio io, allora mettigli il nome tuo>>. Il nome del sindaco era Severino Musilli. Ma il segretario comunale, un tipo estroso che alcuni abitanti del paese ancora ricordano, si intromise esclamando: <<No, no, mettetegli il nome mio, mettetegli il nome mio!>>. E subito lo trascrisse nel registro delle nascite.
Il segretario si chiamava Secondino e questo fu il nome imposto al futuro Ignazio Silone.
(Più tardi, nel periodo della politica clandestina, dovette cambiare continuamente nome, e l’ultimo di questi pseudonimi gli rimase, legalizzato, come scrittore.)
Sarebbe stato poco importante il fatto un po’ ridicolo che non era il secondo figlio bensì il terzo; ma quando cominciò a crescere, andare a scuola, fare i primi passi nella politica, quale cruccio dev’essere stato per lui portare un nome (con il quale tutti lo chiamavano) che significava ‘guardia carceraria’, mentre se non fosse stato per il capriccio del segretario comunale il suo nome sarebbe invece stato quello molto più dignitoso di Severino.”

La scelta dello pseudonimo 'Silone' aveva dunque preceduto la sua attività letteraria. Se n’era servito la prima volta nel 1923, mentre si trovava nel carcere di Barcellona: con quel nome firmava gli articoli che gli riusciva di far pervenire al settimanale La batalla, ispirato da Andrés Nin (che nel 1936 doveva essere assassinato dagli staliniani).
Il nome Silone gli era stato suggerito da due motivi: esso ricordava il capo della resistenza dei Marsi, Poppedius Silo, nella guerra contro Roma, ed era quindi simbolo di autonomia; inoltre, per una illazione forse un po’ forzata, poteva significare simpatia per l’opposizione catalana contro Madrid, in armonia quindi con gli articoli che apparivano su La batalla.
Quando, nel 1933, quello pseudonimo venne riesumato per uso letterario, fu accompagnato col nome Ignazio, come lo stesso Silone ha spiegato, “al fine di battezzare il cognome pagano”.

Baudin
02-January-2012, 23:52
Il periodo tra il ’29 e il ’30 risulta, a mio avviso, fondamentale per Silone. La depressione per la solitudine e la malattia, insieme alla frustrazione per l’impossibilità di aiutare il fratello in carcere, fanno maturare la nascita di Fontamara. Un paesino che non esiste nella realtà, ma vero nella meticolosa descrizione dei luoghi e delle persone. La fantasia di Silone va a vivere là, diventa il luogo della espiazione e della salvazione, il modo di esorcizzare, come dice Tregenda, il suo fallimento. Il romanzo viene scritto in pochi mesi, segno di un parto abbastanza rapido, ma preceduto da un più lungo e tormentato travaglio che ha dato frutti inaspettati.
Se la scrittura per Silone è sofferenza, non può che essere rapida. Arrivare alla fine significa sopire il tormento.
:)

Tregenda
03-January-2012, 21:47
Ecco esattamente quanto espresso da Baudin a proposito di Fontamara nelle parole dello stesso Silone, più l'ammissione del fatto che i protagonisti di tutti i suoi romanzi sono in realtà sempre la stessa persona (ovvero lui stesso):

"Com’è indicato in calce all’introduzione, io scrissi questo libro nel 1930, trovandomi rifugiato in Svizzera, a Davos, una piccola località celebre in tutto il mondo per i suoi sanatori e le sue piste per sciatori.
Poiché mi trovavo lì, solo, sconosciuto e con falso nome per sfuggire alle ricerche della polizia fascista, scrivere divenne per me l’unico mezzo di difesa contro la tristezza dell’abbandono; e poiché il tempo probabile che mi restava secondo l’opinione dei medici non pareva lungo, scrivevo in fretta, con indicibile affanno e ansia, per fabbricarmi alla meglio quel villaggio, in cui mettevo la quintessenza di me e della mia contrada nativa, in modo da finire almeno fra i miei.
In seguito, bene o male, la vita ebbe il sopravvento, e tra le sue impreviste stranezze vi fu che quel disperato rifugio dello scrivere divenne il mio soggiorno per il resto del lungo esilio. Sarebbe infatti un errore credere, seguendo alcuni critici, che tra quel mio libro e i successivi vi sia stato un salto o una rottura.
La storia di Pietro Spina in Vino e pane, quella di Rocco in Una manciata di more e quella di Andrea nel Segreto di Luca sono un’evidente filiazione dello Sconosciuto che appare già nell’epilogo di Fontamara."

Baudin
04-January-2012, 01:37
Sintesi biografica

IGNAZIO SILONE (1900 - 1978)
http://www.silone.it/foto/silonea.jpg

Pseudonimo di Secondino Tranquilli nasce a Pescina dei Marsi (L'Aquila) il 1 maggio, figlio di un piccolo proprietario terriero e di una tessitrice. Frequenta il ginnasio nel seminario della diocesi. A quindici anni rimasto senza genitori e senza casa a causa del terremoto, prosegue il liceo presso un istituto religioso di Reggio Calabria.

Non continua gli studi, e tra i 17 e i 18 anni si trasferisce a Roma,ove s'immerge del tutto nella lotta politica. Tra il 1919 e il 1921 diviene membro della segreteria dell'Unione socialista romana, della redazione dell'Avanti! e dirige L'Avanguardia, il settimanale dei giovani socialisti. Nel 1921 partecipa alla fondazione del Partito Comunista d'Italia come rappresentante della Gioventù Socialista; diviene quindi dirigente dell'Organizzazione giovanile comunista e poi del Partito. Nel 1922 si trasferisce a Trieste come redattore del quotidiano II Lavoratore. Membro della direzione del Partito Comunista, tra il 1921 e il 1927, compie diverse missioni sia in Russia che in altri paesi europei.

Nel maggio del 1927 si reca insieme con Togliatti a Mosca per partecipare alle riunioni del Komintern che portano alla condanna e all'espulsione di Trotsky e Zinov'ev. Silone si oppone all'espulsione dei due e lascia il Partito Comunista d'Italia nel 1930.

Esule si stabilisce in Svizzera dove rimane fino all'autunno del 1944 e per dieci anni non si occupa più di politica attiva dedicandosi all'attività letteraria. Dal 1932 al 1934 fonda e dirige la rivista in lingua tedesca Information e fonda nel 1936 Le Nuove Edizioni di Capolago.

http://www.silone.it/foto/ignazios.jpg

Agli inizi degli anni '40, Silone torna all'attività politica dirigendo in Svizzera il Centro Estero del Partito Socialista. Dirige il quindicinale socialista L'avvenire dei Lavoratori.

Le autorità elvetiche, per non complicare i rapporti con il governo italiano, lo fanno rinchiudere prima nel carcere di Zurigo, poi nei campi d'internamento a Baden e a Davos. Nel 1944 rientra in Italia e si stabilisce a Roma dove sposa l'irlandese Darina Elisabeth Laracy conosciuta qualche anno prima in Svizzera. Dal 1945 al 1946 dirige l'Avanti!. Nello stesso anno 1946 viene eletto all'Assemblea Costituente per il PSIUP in Abruzzo. Nel 1947 fonda Europa Socialista che dirige fino al 1949. Nel 1951 anima l'Associazione Italiana per la Libertà della Cultura.
Abbandonata del tutto l'attività politica nel 1956 fonda e dirige, con Nicola Chiaromonte, la rivista Tempo Presente.
Il 22 Agosto 1978, dopo una lunga serie di malattie, Silone muore in una clinica a Ginevra.

Sir Galahad
05-January-2012, 20:12
Sapete? Sto imparando molto, ora, su Silone. Grazie, Alice e Baudin. E' evidente anche qui, come in tutti gli autori, la necessità di conoscere i dati biografici e l'evoluzione del pensiero. Non dico niente di nuovo.

Tregenda
05-January-2012, 20:34
Grazie a te, Carlo. Per quanto mi riguarda è un'eccezione il fatto che tu possa imparare qualcosa da me, perchè sono io che quotidianamente imparo qualcosa di nuovo, sui più disparati argomenti, dai tuoi messaggi (odio il termine "post", non so con quale altro sostituirlo). Sul serio, lo dico senza piaggeria.
Su Silone ho un sacco di cose in testa da scrivere, ma mi manca il tempo per organizzarle in modo decente. E poi c'è che mi piacerebbe fare una specie di recensione per ogni libro, ma non essendo fresca di lettura mi è rimasta solo l'essenza di ciascuno. Perciò così non riesco a scrivere niente che meriti. E' ora che cominci a ri-leggere come saggiamente fai tu. Senza la rilettura si perdono tante, troppe cose per la strada, e ci sono opere che non ci possiamo permettere di ricordare solo approssimativamente.
In questo caso, ad esempio, una particolarmente brillante e ironica di Silone è La scuola dei dittatori. Vedrò di impegnarmi per riesumarne i ricordi. ;)

Baudin
05-January-2012, 21:26
Anch’io ringrazio Sir per l’incoraggiamento e ringrazio Alice per il pungolo che mi ha dato di riscoprire vecchie passioni.
Non è facile parlare di Silone, era un uomo di parte che scriveva in modo partigiano ma onesto. E’ esattamente il mio punto di vista e mi pongo di fronte ai suoi libri con l’umiltà di coglierne la ragione e le passioni, ma anche di ricavarne una mia personale interpretazione, che è poi quella che cerco di riportare.
Ho appena riletto Fontamara. Quante cose da dire…
:)

Tregenda
06-January-2012, 22:09
In questo splendido stralcio di una prefazione scritta per una mai realizzata edizione americana in lingua italiana di Fontamara, datata 25 giugno 1936, Silone parla della ”universalità del cafone” e dell’inesistente villaggio di Fontamara.
Si potrebbe dire che questo villaggio non esiste proprio perché è ovunque, in ogni angolo del pianeta.
Il romanzo, già nel 1936, era apparso in una impressionante quantità di lingue: tedesco, francese, spagnolo, portoghese, russo, polacco, americano, ebraico, cecoslovacco, ungherese, rumeno, croato, danese, olandese, svedese, norvegese, fiammingo, sloveno, yiddish, e si preparava la traduzione in bengali.

“Il segreto del successo di Fontamara mi si è rivelato solo quando ho appreso che certe traduzioni incontravano grandi difficoltà da parte della censura di vari paesi. In Polonia e in Jugoslavia, per citare due esempi, le autorità non volevano credere che si trattasse di una traduzione dall’italiano e pretendevano che si trattasse di un trucco per raccontare in barba alla censura la storia di un villaggio polacco o jugoslavo.
Gli editori dovettero provare con documenti alla mano che si trattava veramente di una traduzione dall’italiano. Per molti lettori di quelle traduzioni però, mi è stato detto, il sospetto di una finzione è rimasto. Molti han riconosciuto in Fontamara la storia del proprio villaggio galiziano o croato. Questo vuol dire che Fontamara, questo villaggio abruzzese inventato e che non esiste neppure in Abruzzo, è una realtà di ogni paese. Quando uscirà in traduzione bengali la censura inglese lo lascerà circolare?
<<Tutto quello che lei racconta in Fontamara – ho appreso dal traduttore indiano – succede proprio qui, da noi, ogni giorno.>>
Se Fontamara ha un merito, è quello dunque di aver rivelato questa universalità del cafone. La sofferenza del contadino povero è la stessa in tutti i paesi. Sotto gli stracci del folklore c’è dappertutto la stessa creatura umana che suda sangue in un lavoro bestiale, è oppressa, ingannata, sfruttata, derisa, tenuta nell’ignoranza da una classe dominante sempre più rapace e parassitaria.
Come vorrei che ogni lavoratore italiano emigrato in America pensasse a questo fatto, dopo aver finito la lettura di Fontamara. Io so che essi sono tenacemente attaccati alla loro regione d’origine più ancora che alla loro patria. Essi hanno fortissimo il senso della terra. Questo loro atavismo è sfruttato dalla prominentaglia di tutti i colori. Ma se ogni lavoratore emigrato vuol essere veramente fedele alla sua terra e scava questo suo sentimento fino alle estreme profondità, al di sotto del folklore, al di sotto del comune dialetto, della comune cucina, delle comuni festicciuole, troverà una comunità più grande che è quella dei lavoratori di tutta la terra.
In altre parole, egli realizzerà la propria umanità nella misura in cui saprà andare a fondo della pena atroce che i ricordi della terra natìa han depositato nella sua anima. Quella pena, che è come una ferita profonda e sanguinante nel cuore di ognuno di noi italiano meridionale all’estero, non è qualche cosa d’individuale e particolare, ma è una grande pena universale.
Essa ci affratella ai negri, agl’indiani, ai rumeni, ai polacchi, ai portoghesi, agli sloveni, agli ebrei, e a tutti gli altri. Quando, vincendo il nativo pudore, a noi riesce di raccontare con semplicità e verità quello che ci succede e ci è sempre successo, agli altri sembra che stiamo raccontando la loro stessa storia.
Compagni, questo è il messaggio di Fontamara. Quest’è la sua verità segreta. Voi sarete veramente e fedelmente degli abruzzesi, dei pugliesi, dei calabresi, dei siciliani, solo se sarete coraggiosamente ribelli e internazionalisti. “


Come non ripensare alla sorte, del tutto simile, toccata a 1984, celeberrimo romanzo del "fratello inglese" di Ignazio Silone, George Orwell (mio più antico dio letterario)?
Lo scrittore polacco Gustaw Herling, amico sia di Orwell che di Silone, racconta con quale stupore i suoi connazionali leggessero 1984: “<<Ma questa è la mia vita>>, dicevano, <<come fa a conoscerla così bene? Come può un inglese sapere queste cose? Sarà forse un russo?>>”.
Orwell e Silone si conobbero a Londra ed entrambi, come ebbero occasione di dire spesso, erano consapevoli del profondo legame che li univa, accomunati com’erano dalla medesima sorte. Socialisti senza partito, invisi a tutte le fazioni politiche in patria, letti e stimati in tutto il mondo.
Nei momenti difficili George Orwell fu sempre tra quelli che non mancarono mai di dichiarare pubblicamente la propria solidarietà a Ignazio Silone.

Baudin
07-January-2012, 01:44
578Copertina dell'edizione del 1979. Disegno di Renato Guttuso "Rocco pescatore".


La trama in breve.
<<Ambientato in un paesino abruzzese, Fontamara appunto, racconta l'eterno conflitto tra "cafoni" e "cittadini", reso ancora più drammatico dall'avvento del fascismo. I contadini e i braccianti, rassegnati ormai e quasi assuefatti a subire senza reagire catastrofi e soprusi di ogni genere, abbrutiti dalla miseria e dalla lotta per la sopravvivenza, trovano la forza di ribellarsi quando si rendono conto dell'ultima, ennesima truffa ordita sulla loro pelle, che, per una coincidenza non casuale, corrisponde temporalmente all'entrata in scena del regime fascista. Figura centrale del romanzo è Berardo Viola, che rappresenta l'esigenza di riscattare una vita di silenzio e passività, esigenza che diverrà essenziale e imprescindibile anche per gli altri "cafoni" fontamaresi.>>


Scritto in uno stile insuperabile, originale nella sua semplicità, rende con immediatezza le sensazioni che l’autore ci propone. “La maniera di raccontare è nostra. E’ un’arte fontamarese. E’ quella stessa appresa da ragazzo, seduto sulla soglia di casa, o vicino al camino, nelle lunghe notti di veglia , o accanto al telaio, seguendo il ritmo del pedale, ascoltando le antiche storie. Non c’è alcuna differenza tra questa arte del raccontare, tra questa arte di mettere una parola dopo l’altra, una riga dopo l’altra, una frase dopo l’altra, una figura dopo l’altra, di spiegare una cosa per volta, senza allusioni, chiamando pane il pane e vino il vino, e l’antica arte di tessere, l’antica arte di mettere un filo dopo l’altro, un colore dopo l’altro, pulitamente, ordinatamente, insistentemente, chiaramente. Prima si vede il gambo della rosa, poi il calice della rosa, poi la corolla; ma, fin da principio, ognuno capisce che si tratta di una rosa.”

E’ una strana sensazione, si mescolano ricordi tardoveristi e neorealisti ad una venatura ironica che dà un sapore quasi favolistico al romanzo. Forse ho vissuto e viste tante ingiustizie, che è cambiata la tara dei miei giudizi. E’ talmente paradossale, con gli occhi di oggi, la vicenda raccontata che è necessario resettare la mente e tornare indietro, ai racconti dei nostri nonni e compenetrarsi in essi per riuscire ad immaginare come veri avvenimenti simili. E’ difficile immaginare, per esempio, che nel 1929, anno in cui si svolge la vicenda, nessuno a Fontamara avesse capito che in Italia c’era da anni il fascismo, tanta era l’ignoranza che sapevano semplicemente quello che il parroco aveva detto in una predica e cioè che il nuovo governo aveva fatto la pace con il papa.
Poveri contadini che sapevano una sola cosa, che prima veniva la semina, poi l’insolfatura, poi la mietitura, poi la vendemmia.Ogni anno sempre e solo questo. Erano così ingenui che da sempre era semplicissimo raggirarli da parte delle autorità. Autorità che Silone stigmatizza già nei nomi, il vecchio sindaco don Circostanza, il nuovo podestà l’Impresario, il parroco don Abbacchio, il vecchio latifondista don Carlo Magna. Tutto serve a rendere più profondo il solco che divide la disonestà e l’arroganza dei ricchi dalla semplicità dei poveri cafoni. E nel tempo le ingiustizie sono state tante, al punto da essere sopportate come si sopporta la miseria, sono entrate nell’ordine naturale delle cose, come la nascita, l’amore, il dolore, la morte. A Fontamara, così fuori dalle vie del traffico, arroccata sul fianco della montagna , il tempo si era fermato.

E’ il romanzo della povera gente, dell’ignoranza, del sopruso e dell’ingiustizia. Tutte cose sempre esistite sotto varie sembianze. Il suo merito sta nell’essere la cruda testimonianza, che diventa denuncia, di un sistema sociale e di una condizione di vita. I contadini poveri sono una razza a sé, tra loro si capiscono a volo in qualunque parte del mondo, perché la miseria non ha molti modi di manifestarsi se non con la fame e il desiderio individuale di sopravvivenza. Quello che succede a Fontamara è universale, ma il suo sviluppo è singolare, perché la graduale presa di coscienza degli individui, pur nel loro egoismo, alla fine coinvolge la collettività. Essere ignoranti non impedisce la perspicacia delle menti, essere poveri ed esserlo tutti diventa un grimaldello per le coscienze.

Entrerò gradualmente nei dettagli della trama, piena di spunti di riflessione sui quali si potrà tornare singolarmente. Per iniziare mi preme ricordare la figura di Berardo Viola, che racchiude in sé i vari aspetti evolutivi e morali del romanzo. All’inizio, nel tranquillo immobilismo del tempo, le sue bravate, le lunghe discussioni all’osteria e nelle strade, costituiscono un elemento di disturbo per la collettività. Nella progressione degli avvenimenti prima alcuni giovani e poi altri, adulti e anziani, hanno cominciato ad aderire alle sue idee di giustizia. Nel momento in cui il sopruso contro la povera gente raggiunge livelli insostenibili, tutti la pensano come lui ma nessuno sa come reagire, di fronte alla realtà schiacciante del potere, ognuno pensa per sé.
Solo Berardo prende coscienza che ci si può sacrificare per gli altri, che quella è la vittoria, il seme che darà i suoi migliori frutti.
Il “che fare?” dei fontamaresi, alla fine, non è più l’espressione di un dubbio, ma il segnale di una maturazione.
Il “che fare?” che segue la denuncia di una ingiustizia, porta insito in sé la risposta, è la ribellione delle coscienze.
:)

Baudin
11-January-2012, 21:34
Il sogno di Zompa
“Si tratta di un sogno che feci nell’inverno passato. Raccontai il sogno al curato. Ma il curato mi comandò di non divulgarlo”… Ci mettemmo a sedere attorno al tavolino e Zompa proseguì:
“Dopo la pace tra il papa e il Governo, come ricordate, il curato ci spiegò dall’altare che cominciava anche per i cafoni una nuova epoca. Il papa avrebbe ottenuto da Cristo molte grazie di cui i cafoni hanno bisogno. Ecco quella notte io vidi in sogno il papa discutere col Crocifisso.
<<Il Crocifisso diceva:” Per festeggiare questa pace sarebbe bene distribuire la terra del Fucino ai cafoni che la coltivano e anche ai poveri cafoni di Fontamara che sono sulla montagna senza terra”. Il papa rispondeva:” Signore, il principe non vorrà mica. E il principe è un buon cristiano”. Il Crocifisso diceva:” Per festeggiare questa pace sarebbe bene dispensare almeno i cafoni dal pagare le tasse”. Il papa rispondeva:” Signore, il Governo non vorrà. E i governanti sono anch’essi buoni cristiani”. Il Crocifisso diceva:” Per festeggiare questa pace, quest’anno manderemo un raccolto abbondante soprattutto ai cafoni e ai piccoli proprietari”. Il papa rispondeva:” Signore, se il raccolto dei cafoni sarà abbondante, i prezzi ribasseranno, e sarà la rovina di molti grandi commercianti. Anch’essi meritano riguardo, essendo buoni cristiani”. Il Crocifisso molto si rammaricava di non poter far nulla per i cafoni, senza far del male ad altri buoni cristiani. Allora il papa gli propose:” Signore, andiamo sul posto. Forse sarà possibile fare qualcosa per i cafoni che non dispiaccia né al principe di Torlonia, né al Governo, né ai ricchi. Così la notte della Conciliazione, Cristo e il papa vennero attorno al Fucino, su tutti i villaggi della Marsica. Cristo andava avanti con una grande bisaccia sulle spalle; dietro gli andava il papa, che aveva il permesso di prendere dalla bisaccia qualunque cosa che potesse giovare ai cafoni. I due Viaggiatori Celesti videro in tutti i villaggi la stessa cosa, e che altro potevano vedere? I cafoni si lamentavano, bestemmiavano, litigavano, si angustiavano, non sapevano che cosa mangiare né vestire. Allora il papa si sentì afflitto nel più profondo del cuore, prese dalla bisaccia una nuvola di pidocchi di una nuova specie e li lanciò sulle case dei poveri, dicendo:” Prendete, o figli amatissimi, prendete e grattatevi. Così nei momenti di ozio, qualche cosa vi distrarrà dai pensieri del peccato”.>>

La fede dei fontamaresi è semplice. Don Abbacchio <<non era un uomo malvagio, ma fiacco, timoroso e, nelle questioni serie, da non fidarsi. Non era certamente un pastore capace di rischiare la vita per difendere le sue pecore contro i lupi, ma era abbastanza istruito nella sua religione per spiegare come, dal momento che Dio ha creato i lupi, abbia riconosciuto a essi anche il diritto di divorare di tanto in tanto qualche pecora. Noi ricorrevamo a lui per i sacramenti; ma sapevamo, per esperienza, di non poter ricevere da lui nessun aiuto e consiglio nelle disgrazie che ci venivano dalla cattiveria dei ricchi e delle autorità. Come si dice?”Bada a quello che il prete predica e non a quello che il prete fa.” Neppure di lui dunque potevamo fidarci.>>

Tregenda
11-January-2012, 22:30
Grazie Baudin/Carlo, mi stai rinfrescando la memoria su Fontamara. Il fatto di non poter conservare ricordi vividi dei dettagli dei libri importanti è una cosa che mi fa imbestialire. :evil: Bisognerebbe proprio annotare tutto.
Questo è un brano che avevo annotato mentre leggevo Il seme sotto la neve, il romanzo di Silone che più amo, e forse il mio romanzo del cuore, quello che sceglierei di salvare se mi imponessero di rinunciare a tutti i miei libri tranne uno.

Contro il muro ingiallito della bottega la fiamma dei trucioli crea un’aria austera d’amicizia, un’aria di famiglia, tra la grande croce verniciata di nero e il vecchio mastro Eutimio nel suo ruvido vestito di panno turchino.
<<Oh, mastro Eutimio>> gli grida don Severino da metà strada additando col suo bastoncino la croce <<chi vuoi inchiodare su codesto spaventoso patibolo?>>.
Il falegname saluta levando il cappelluccio, sorride arrossisce.
<<Se dipendesse da me, don Severino, diciamo pure francamente, se dipendesse da noi, se Ponzio Pilato tornasse, ci convocasse al municipio e ci domandasse, a nome del governo, chi sia da crocifiggere, be’, è certo che quella canaglia di Barabba una buona volta non se la farebbe franca.>>
<<Non ne sono affatto certo, scusami>> osserva don Severino improvvisamente grave.
<<No, non capirmi male, non voglio offenderti, ma, francamente, ho i miei dubbi. Credi che i tuoi compaesani saprebbero facilmente riconoscere Cristo da Barabba?>>
Don Severino ha l’aspetto la voce i gesti di un febbricitante.
<<Ah, don Severino, so bene che a te piace scherzare>> dice mastro Eutimio <<so che per intimorirci ti piace spesso dipingere il diavolo sul muro, ma stavolta l’hai detta grossa. Hai detto seriamente? Ma è come se tu dicessi che non sappiamo distinguere il pane dalle pietre. In fin dei conti, è vero che siamo povera gente e abbiamo poca istruzione, ma anche noi siamo creature battezzate, per così dire, anche noi abbiamo ricevuto il discernimento dalla mano del sacerdote che ci segnò la fronte col sale benedetto. Non parlo delle tre chiese che esistono a Colle, non parlo della parrocchia che esiste da secoli, non parlo dei martiri che vi sono sepolti; ma, qui, le bestie l’aria l’acqua la terra il vino la cenere l’olio la polvere delle strade, tutto è, per così dire, cristiano. Ah, vedo che ridi, e capisco che volevi scherzare.>>
<<No, non volevo scherzare>> dice don Severino <<e scusami se la tua risposta non m’ha del tutto convinto. Credi tu, mastro Eutimio, che la scelta dei collesi sarebbe a favore di Gesù e contro Barabba, anche se Barabba si presentasse qui a cavallo, in grande uniforme, col petto ricoperto di decorazioni, alla testa d’una legione d’uomini armati, acclamato da una turba di servi in livrea, di scribi di corifei d’oratori di sacerdoti, e se Gesù invece vi fosse mostrato tra due sbirri, come un povero cristo qualsiasi, come un profugo un fuorilegge un senza-patria, un senza-carte qualsiasi? E’ una semplice domanda, una domanda che rivolgo anche a me stesso, ma ora sarei curioso di udire la tua risposta.>>
Il fuoco di trucioli si è spento, di esso non resta che un mucchietto di cenere e le ombre della sera hanno già avvolto la bottega del falegname. Mastro Eutimio si gratta il mento, guarda per terra e resta pensieroso, mentre don Severino l’osserva sorridendo.
<<Veramente>> confessa infine mastro Eutimio <<la tua domanda è già una risposta, la più umiliante delle risposte. Scusami, posso accompagnarti per un pezzo di strada? Non devi lasciarmi così.>>

Baudin
26-January-2012, 21:41
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"Pietro Spina, militante politico di buona famiglia, rientra clandestinamente nel proprio paese malato e braccato dalla polizia. Aiutato, con una certa diffidenza, da un antico compagno di studi divenuto medico trova riparo in una stalla. Per confondere le sue tracce si traveste da prete e cambia il suo nome in quello di Paolo Spada. Sotto queste spoglie si rifugia a Pietrasecca…."

Vino e pane, il secondo romanzo scritto da Silone in esilio nel ’35-36, è il libro che lo confermò scrittore. Poiché Fontamara poteva anche essere un’opera unica, di rottura e di presa di coscienza, fu Vino e pane a rivelare l’ampiezza e profondità della sua visione della crisi contemporanea e il suo dono creativo.
Il protagonista , Pietro Spina, è un tipo di rivoluzionario ormai inconfondibile nella letteratura contemporanea. La differenza essenziale tra lui e gli altri ribelli immaginati da autori della medesima epoca (Malraux, Hemingway) risiede nel fatto che quelli sono abitualmente descritti nell’esecuzione di atti temerari, mentre Spina, a causa della delazione e della malattia, è costretto all’inattività. La rivolta di Spina è un fatto interiore e non sussiste alcun dubbio della sua inconciliabilità morale con i poteri tirannici. Nell’interno del movimento rivoluzionario Vino e pane fu un coraggioso atto di auto-contestazione; ma è importante aggiungere che contestati erano gli schemi, non i valori; esso fu un atto di più vera fedeltà e non di diserzione.
A rileggere adesso questo romanzo si è sorpresi di trovarvi alcuni giudizi sulla società e sulla Chiesa divenuti nel frattempo luoghi comuni . Don Paolo Spada e don Benedetto si esprimono sulla guerra, sul Concordato, sui poveri, sulle gerarchie negli stessi termini dei gruppi del dissenso post-conciliare. La critica di Silone, anche la più spregiudicata, non investe mai la fede ma solo il costume e il comportamento politico della Chiesa.
Mi pare molto attuale quello che dice Barzini “Perché mio figlio dovrebbe leggere oggi Vino e pane? E perché mio nipote lo leggerà senza dubbio domani?” e risponde “Il suo messaggio è ancora intatto. L’apparente mancanza d’arte della storia, la qualità semplice della scrittura, fanno di esso non un libro di ieri o di oggi, ma un libro di tutte le generazioni. Esso è un poema dell’eterna lotta dell’Uomo contro l’Organizzazione, dell’Uomo che cerca di liberare se stesso”.

Dalla prefazione della IX ristampa Mondadori 1979

Baudin
27-January-2012, 00:45
Nella prima metà del romanzo Pietro Spina deve nascondersi per sfuggire all’arresto, sotto le mentite spoglie di un prete cerca anche di guarire dai suoi problemi di salute. Trascorre lunghe giornate a riposare e leggere, ma l’inattività lo mina nel morale.
“Se potessi addormentarmi qui e domani mattina svegliarmi, mettere il basto all’asino e andare alla vigna. Se potessi addormentarmi e svegliarmi, non soltanto con i polmoni sani, ma anche con la testa di un uomo normale, col cervello liberato da tutte le astrazioni. Se potessi rientrare nella vita reale e normale. Zappare, arare, seminare, raccogliere, guadagnarmi da vivere e la domenica parlare con gli altri uomini. Adempiere la Legge che dice “tu ti guadagnerai la vita col sudore della fronte”. A rifletterci bene, forse l’origine delle mie angosce è in questa infrazione all’antica Legge, nella mia abitudine a vivere tra i caffè, le biblioteche e gli alberghi, nell’aver rotto la catena che per secoli aveva legato i miei antenati alla terra. Forse mi sento un uomo fuori legge, non tanto perché contravvengo ai decreti arbitrari del partito al potere quanto perché sono fuori di quella più vecchia Legge che aveva stabilito “tu ti guadagnerai da vivere col sudore della tua fronte”. Non sono più un contadino , ma neppure sono diventato un politico; mi è impossibile tornare alla terra, ma ancora più difficile tornare nel mondo immaginario in cui ho vissuto finora.”

Baudin
08-February-2012, 20:35
Pietro Spina, il protagonista di “Vino e pane” è un rivoluzionario che vive in clandestinità, per oltre metà del romanzo è don Paolo Spada, si nasconde sotto la tonaca ma non ne abusa, la rispetta e non fa nulla che la offenda agli occhi degli altri. La sua attenzione è rivolta ai giovani della sua terra, ai loro ideali, al loro essere nella fase della poesia. “Arriva sempre un’età in cui i giovani trovano insipido il pane e il vino della propria casa. Essi cercano altrove il loro nutrimento. Il pane e il vino delle osterie che si trovano nei crocicchi delle grandi strade, possono solo calmare la loro fame e la loro sete. Ma l’uomo non può vivere tutta la sua vita nelle osterie.”

E’ il motivo per cui torna a Roma, per organizzare i gruppi clandestini in vista della nuova rivoluzione. Ma si scontra con la realtà di un partito ottuso e chiuso al dialogo, che non comprende le ragioni della libertà di pensiero. In un dialogo con alcuni compagni disincantati capisce che la lotta contro il totalitarismo fascista viene attuata in nome di un altro totalitarismo, il comunista, che non porterà al compimento del suo sogno.
I suoi superiori vogliono che lui si impegni nel sensibilizzare i contadini del Fucino e lui risponde che non è semplice, che in essi non è presente il concetto di meridionalismo, che sono poco sensibili alle idee di Gramsci e più propensi a recepire la semplicità del pensiero di Gioacchino da Fiore.
La grandezza della figura di Pietro Spina è in queste considerazioni, la purezza e la libertà del pensiero Gioacchimita non in contraddizione con le idee del suo socialismo ideale e utopistico.
Torneremo in seguito, circostanze permettendo, sull’importanza di Gioacchino da Fiore nelle opere di Silone degli anni che seguiranno alla guerra. Qui vorrei sottolineare alcune considerazioni ancora in fase embrionale, quando Silone fa dire a Spina che lui immagina un Dio diverso dal pensiero paludato dei vertici ecclesiastici, non un Dio seduto in poltrona che dal cielo osserva gli uomini, ma un Dio giovane e inquieto, che vaga continuamente per il mondo. Un Dio dispensatore di spiritualità, perché questa, come dice Gioacchino da Fiore, è l’età dello Spirito.