PDA

Visualizza la versione completa : Il nome nella poesia



Estella
21-February-2018, 23:58
Sandra (Guido Catalano)

mi dicevi spesso: “non essere triste”
che cosa assurda, pensavo
dire a uno triste: “non essere triste”
che cosa assurda, inutile e carina
e assurdi erano
quei tuoi occhi di gatta verdi
e quel tuo viso di gatta solcato
da quella portentosa cicatrice
che ti faceva
definitivamente
bella
fumavi tanto
camminavi avvolta
in cumulonembi di fumo
davi l’idea di essere leggerissima
mi hai toccato una sola volta
io mai
chissà dove sei
che fai
chissà se credi ancora
che i cani abbiano sempre ragione
io no
ho smesso di credere tanto tempo fa
forse non ho mai creduto
ma mi piaceva il suono
fin da subito fu implicito
che avremmo mischiato i nostri dolori
e non
i nostri umori corporei
sei l’unica donna alla quale
io abbia regalato una bambola
e non ce ne sarà un’altra

Estella
22-February-2018, 00:03
A Silvia (Giacomo Leopardi)

Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.
Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.

Estella
23-February-2018, 23:07
Scrivo per te parole senza diminutivi
senza nappe né nastri, Chiara.
Resto un uomo di montagna,
aperto alle ferite,
mi piace quando l’azzurro e le pietre si tengono
il suono dei “sí” pronunciati senza condizione,
dei “no” senza margini di dubbio;
penso che le parole rincorrano il silenzio
e che nel tuo odore di stagione buona
nel tuo sguardo piú liscio dei sassi di fiume
esploda l’enigma del “sí” assordante che sei.
Scriverti è facile; e se potessi verserei
la conoscenza tutta intera delle nuvole
la punteggiatura del cosmo
la forza dei sette mari, i sette mari in te
nel bicchiere dei tuoi giorni incorrotti.
Ma non sono che un uomo, e quest’uomo
ti scrive da un tavolo ingombro
e piove, oggi, e anche la pioggia ha le sue beatitudini
sulla casa dalle grondaie rotte
quando quest’uomo ti pensa e fra tutte le parole da scegliere
non sa che l’inciampo nel dire come si resta
e come si preme
nel mistero del giorno nuovo in te
che prima non c’era
adesso c’è.

Pierluigi Cappello

Estella
23-February-2018, 23:12
Serenata a Gessica

I violini sotto i balconi del ghetto
acutamente ti chiamano, cuciono
ai tuoi piedi un damasco dogale:
tu da una fiaba mi lanci una rosa.
Gessica, ma le palme della sera
l’ingenua fronte bendarti
non senti ancora, e dai canali immensa
un’aquila di nuvole levarsi?
Addio, Gessica, addio, viso perduto:
già remota, con gesti di sonno
navighi un fiume d’aria
fra uno sterminio docile di fiori.

Gesualdo Bufalino

daniela
23-February-2018, 23:17
Martina ha fatto segno di sì con la testa
appena più pesante del dovuto sul collo
come un grosso fiore appesantisce lo stelo.
Ha fatto segno che aveva capito
e le sue mani amorose e incerte
si sono mosse per afferrare la matita.
Poi ha serrato gli occhi con violenza
ed è scoppiata in pianto.
Il buio è entrato nel candido paesaggio di neve
dove il venditore di scope emetteva il suo grido
attutito e immobile.
Martina ha strumenti diversi per afferrare il mondo
è stata la sola a capire
che quel venditore di scope
era la Morte.

Donatella Bisutti (Lezione di poesia - Classe con handicap)

Estella
23-February-2018, 23:18
Ed amai nuovamente; e fu di Lina
dal rosso scialle il piú della mia vita.
Quella che cresce accanto a noi, bambina
dagli occhi azzurri, è dal suo grembo uscita.
Trieste è la città, la donna è Lina,
per cui scrissi il mio libro di piú ardita
sincerità; né dalla sua fu fin’
ad oggi mai l’anima mia partita.
Ogni altro conobbi umano amore;
ma per Lina torrei di nuovo un’altra
vita, di nuovo vorrei cominciare.
Per l’altezze l’amai del suo dolore;
perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra,
e tutto seppe, e non se stessa, amare.

Umberto Saba

daniela
23-February-2018, 23:20
A Ettore

“Ieri sera era amore,
io e te nella vita
fuggitivi e fuggiaschi
con un bacio e una bocca
come in un quadro astratto:
io e te innamorati
stupendamente accanto.
Io ti ho gemmato e l’ho detto:
ma questa mia emozione
si è spenta nelle parole”.

Alda Merini (Ieri sera era amore)

daniela
23-February-2018, 23:26
Qui c'è anche il cognome, non solo il nome!

Ballata per Aung San Suu Kyi prigioniera

Ti hanno rinchiusa.
Non sapevano
di farti seme.
Ti hanno sepolta.
Ma dal buio il seme
ingravida la morte.
Il dolore è il tuo nocciolo duro.
Tu immobile
i rami abbracciano l'aria.
Tu senza canto
l'albero canta
alto sull'orizzonte.
Dalla chiusa corteccia germogliando
senza braccia né mani
senza gambe né piedi
così tu parli o silenziosa
così tu parli muta lingua
giorno per giorno
della morte
fai cibo.
Chi farà tacere il silenzio?
Chi fermerà ciò che non si muove?
Attraversare la morte
mutandola di segno.
Tu sei il seme murato.
Crescendo l'albero,
radici innervano il cemento.
Dallo schianto
gridano foglie.
Dal silenzio
fragore.
Il dolore è il tuo nocciolo duro.
Ti hanno rinchiusa .
Non sapevano
di farti seme.
Loro non sanno di piante.
Non sanno
di donne piantate nella terra.

Donatella Bisutti

5028

daniela
23-February-2018, 23:31
PER LE NOZZE DI MYRIAM E GIORGIO
(sei sei del novantasei)

"E se piove mamma?" Se piove
figlia se fili dal cielo
scenderanno se nuvole grigie
vi avvolgeranno fa niente
non ti ruberanno il bianco
vestito né l'anello dal dito
non ruberanno la sposa
allo sposo né lo sposo
alla sposa un furto
d'azzurro a una sposa
felice, che perdonabile cosa.

Vivian Lamarque

Estella
24-February-2018, 12:51
Euridice

Tu senti che vado lontano
in zone pericolose.
Potrei non fare ritorno –
restare sbalzata su quel fuoco
con veste incendiata rovinare
o perdermi nei deserti del cielo
sbandare sui ghiacci stesi
spericolarmi nei boschi e nelle radure
minacciose. Si è molto soli là
fra le alture e le fosse, nelle fermentazioni
nel pullulare appena di voci.
Slacciata da ciò che mi è noto
un po’ squilibrata nel vuoto.
Ci debbo ogni tanto tornare –
che qui c’è la parte migliore.
Di quella mi vesto ogni tanto
di rado. Ma tu non girarti a guardare.
Lasciami sola. Non farmi di sale.

Mariangela Gualtieri

Estella
24-February-2018, 23:45
Metamorfosi d'amore

Giuseppe era il mio nome di
cristiano, ora non ho più nome: sono
api e lucertole, pietre e mimose, il
mare: lei non mi potrà riconoscere.
Lei non mi potrà più dire: amore.
Potremo volare insieme all’alveare
del sole, vicini e sconosciuti, rovinare
in frane scoscese sulle spiagge
rocciose, essere due conchiglie nel silenzio
del fondale.

Giuseppe Conte

Estella
25-February-2018, 00:20
Barbara, creatura amata,
cos’è questa luce arata dal destino,
la trasparenza dove continuo a vederti,
che inchioda la mia anima al tuo viso?
Lo bacio nell’assenza, l’accarezzo
come nei sogni si sfiora il nostro desiderio,
quello che nella veglia si sottrae.
Se chiudo gli occhi
e vorrei soffocarmi nel cuscino
i tuoi si accampano nel sonno
e in questa specie di morte fanno il nido.
Al mio risveglio li ritrovo,
principio della luce.
Cosí, Barbara mia, i tuoi occhi
sono la notte e il giorno,
la mia fuga nei sogni e il mio ritorno.
Se non fossero lí, custodi del silenzio,
chi mai difenderebbe il labile confine
che sta tra il sonno e la mia fine?

Roberto Carifi

Enribello
25-February-2018, 10:37
LATTE NUOVO

Sara Anne veniva lungo il corso d’acqua
a prendere ogni sera il latte.
Stavo in attesa di lei, timido ma audace
quel tanto da attirarla in un prato.
Nell'erba tra le stoppie ci baciavamo
e toccavo i suoi capelli inverosimilmente gialli.
Mi prudevano le narici per l’odore
e la polvere del fieno. Tutto dell’estate
pareva raccogliersi intorno a quell’ora
in quel punto dove restavamo assieme accosti.
Ma quando arditamente giunsi
a distendere il mio corpo sopra il corpo di lei
urtai il fusto di quel latte dolce,
brevemente imbiancando lì la terra calda.

John Montague


(da Seconda infanzia, 2017 - Traduzione di Alessandro Gentili)

http://media.pinterest.com.s3.amazonaws.com/236x/0b/b0/ef/0bb0ef64ea88daec77fabc5dae5efa79.jpg

daniela
25-February-2018, 13:02
Il bacio nello sguardo

A primavera Stephen mi ha baciata
E Robin in autunno – Colin poi
semplicemente, mi ha solo guardata –
nemmeno il cenno d’un bacio da lui.

Ecco: il bacio di Stephen l’ho scordato,
quello di Robin pure in fumo è andato,
ma il terzo bacio, in quegli occhi di brace,
giorno e notte m’insidia, senza pace.


Sara Teasdale

Estella
13-March-2018, 22:46
Annabel Lee (1849)

Molti e molti anni or sono,
in un regno vicino al mare,
viveva una fanciulla che potete chiamare
col nome di Annabel Lee;
aveva quella fanciulla un solo pensiero:
amare ed essere amata da me.
Io fanciullo, e lei fanciulla,
in quel regno vicino al mare:
ma ci amavamo d’amore ch’era altro che amore,
io e la mia Annabel Lee;
di tanto amore i serafini alati del cielo
invidiavano lei e me.
E proprio per questo, molto molto tempo fa,
in quel regno vicino al mare,
uscì un gran vento da una nuvola e raggelò
la mia bella Annabel Lee;
e così giunsero i nobili suoi genitori
e la portarono lontano da me,
per chiuderla dentro una tomba
in quel regno vicino al mare.
Gli angeli, molto meno felici di noi, in cielo,
invidiavano lei e me:
e fu proprio per questo (come sanno tutti
in quel regno vicino al mare),
che, di notte, un gran vento uscì dalle nubi,
raggelò e uccise la mia Annabel Lee.
Ma il nostro amore era molto, molto più saldo
dell’amore dei più vecchi di noi
(e di molti di noi assai più saggi):
né gli angeli, in cielo, lassù,
né i demoni, là sotto, in fondo al mare
mai potranno separare la mia anima
dall’anima di Annabel Lee.
Mai, infatti, la luna risplende ch’io non sogni
la bella Annabel Lee:
né mai sorgono le stelle ch’io non veda
splendere gli occhi della bella Annabel Lee,
e così, per tutta la notte, giaccio a fianco
del mio amore: il mio amore, la mia vita,
la mia sposa, nella sua tomba, là vicino al mare,
nel suo sepolcro, sulla sponda del mare.

Edgar Allan Poe

Estella
13-March-2018, 22:57
A Elena (1831)

Elena, la tua bellezza è per me
come quei navigli nicei d'un tempo
che, mollemente, sull'odorato mare
riportavano il pellegrino stanco d'errare
alla sua sponda natia.
Da tempo avezzo a disperati mari,
la tua chioma di giacinto, il tuo classico volto,
la tua grazia di Naiade riportano me anche in patria,
a quella gloria che fu la Grecia,
a quella maestà che fu Roma.
Là, nel rilucente vano della finestra,
come statua eretta io ti vedo,
con in mano la tua lampada d'agata!
Ah, Psyche, qui venuta dalle regioni
che son Terra Santa.

Edgar Allan Poe

Estella
13-March-2018, 23:11
Eulalia (1843)

Dimorai solitario
in un mondo di pianto
e la mia anima era stagnante acqua,
finchè Eulalia gentile e bella divenne la mia sposa in rossore
finchè Eulalia dai capelli d'oro divenne la mia sposa in sorriso.
Ah, meno assai lucenti
le stelle notturne
che gli occhi della raggiante ragazza!
e mai un fiocco
che la bruma forma
con tinte porpuree e perlate di luna
possono col più negletto ricciolo della modesta Eulalia
possono col più umile e incondito ricciolo di Eulalia occhi lucenti aver paragone.
Or Dubbio or Pena
mai più ritornano,
perchè la sua anima mi rende sospiro per sospiro,
e lungo il giorno
splende luminosa e forte
Astarte in cielo,
mentre la cara Eulalia a lei volge e rivolge il suo occhio di matrona
mentre lei alla giovine Eulalia volge il suo occhio viola.

Edgar Allan Poe

Estella
13-March-2018, 23:24
A Elena (1848)

Ti vidi una volta, una sola volta –anni fa:
non voglio dir quanti – non molti,tuttavia.
Era notte, di Luglio; e dalla grande luna piena
che, come la tua anima, ricercava, elevandosi,
un suo erto sentiero per l’arco del cielo,
piovve un serico argenteo velo di luce,
con sé recando requie, grave afa e sopore,
sui sollevati visi d’almeno mille rose
che s’affollavano in un incantato giardino,
che nessun vento – se non in punta di piedi – osava agitare.
E cadde su quei visi di rose levati al cielo,
che in cambio restituirono, per l’amorosa luce,
le loro anime stesse odorose, in estatica morte.
Cadde su quei visi di rose levati al cielo,
che sorridendo morirono, in quel chiuso giardino,
da te incantati, da quella poesia che tu eri.
In bianca veste, sopra una sponda di viole,
ti vidi reclina, mentre che quella luce lunare
cadeva sui visi sollevati delle rose,
e sul tuo, sul tuo viso –ahimé, dolente!
Non fu il Destino che, in quella notte di Luglio,
non fu forse il Destino ( e Dolore è l’altro suo nome)
che m’arrestò, davanti a quel giardino,
a respirar l’incenso di quelle rose addormentate?
Non un passo nel silenzio: dormiva l’odiato mondo,
tranne io e te.M’arrestai, guardai
e ogni cosa in un attimo disparve
(Oh, ricorda ch’era un magico giardino!)
Si spense il perlaceo lume della luna:
non più vidi sponde muscose, tortuosi sentieri,
i lieti fiori e gli alberi gementi;
e moriva quel profumo stesso delle rose
tra le braccia dell’aria innamorata.
Tutto svaniva fuor che tu sola – una parte anzi di te:
fuor che quella divina luce nei tuoi occhi-
fuor che la tua anima nei tuoi occhi alzati al cielo.
Quelli io vedevo e non altro – l’intero mondo per me.
Quelli io vedevo e non altro – e così per molte ore-
quelli solo io vedevo – finché la luna non tramontò.
Quali selvagge storie del cuore erano inscritte
in quelle celestiali sfere di cristallo!
Quale fosco dolore! E sublime speranza!
Quale tacito e pacato mare d’orgoglio!
Quale audace ambizione! E che profonda-
insondabile capacità d’amore!
Ma disparve infine Diana alla mia vista,
velata in un giaciglio di scure nuvole a ponente;
e tu – uno spettro – tra i sepolcrali alberi
ti dileguasti.Solo i tuoi occhi rimasero.
Essi non vollero andar via – mai più disparvero.
Quella notte illuminando il mio solingo cammino,
non più mi lasciarono (come invece, ahimé,
le speranze!).Ovunque mi seguono, mi guidano
negli anni.Sono i miei ministri – ma io il loro schiavo.
Loro compito è d’illuminarmi, d’infiammarmi,
e mio dovere è d’esser salvato da quella luce,
in quel loro elettrico fuoco purificato,
in quel loro elisio fuoco santificato.
Mi colmano l’anima di beltà, di speranza –
su nel cielo – le stelle a cui mi prostro
nelle tristi, mute veglie delle mie notti;
e nel meridiano splendore el giorno
ancora io le vedo – due fulgenti e dolci
Veneri, che il sole non può oscurare.

Edgar Allan Poe

Estella
24-November-2018, 16:34
EURIDICE
I
Niente succede a caso, niente.
Che io ti abbia trovata, Euridice,
che tu sia apparsa a me – felice
di essere scoperta tra la gente –
un giorno non qualunque
di un non qualunque anno,
pronta a svelarmi inganno e disinganno;
per cui nel riconoscerti «Dunque
sei tu», nient’altro, e basta:
una stretta di mano, la mano
nella mia tiepida appena, casta,
e la voce che trema e non osa
dire quello che sa, ma piano
suggerisce altre cose, altra cosa.
II
E’ stata quindi una necessità
incontrarti, te tra millecento
che potevo, te pioggia sole vento
e subito me stesso, mia metà.
Più mia del mio sorriso e della pena,
più mia della parola, di ogni gesto.
Nome che chiamo, nome manifesto,
sangue che pulsa lento nella vena.
Perché sei tu e non altra, tu, Euridice,
compagna e sposa mia, sorella mia,
incisa nella pelle, cicatrice,
che mi riempi pensiero, bocca, sesso,
e non capisco ancora come sia
che perdo me nel ritrovarti, adesso.
III
Ascoltatemi, animali e voi piante,
tu cielo – monti torrenti scarpate –
voi cose sospese e interrate,
cose che mi girate intorno, tante.
Di certo non avrei mai creduto
di afferrare l’esistente con un dito:
se mi sento diventare infinito
e poi limite e fine, sordo e muto.
Euridice, continuo a nominare,
Euridice che canto e che invento,
Euridice, mio eterno pensare.
Siamo in due, siamo due e uno solo:
esserti fuori o dentro è tormento
in cui affondo. E poi volo.
IV
Può finire un amore, può cessare
di scorrere il sangue, così improvvisamente,
bloccarsi un corpo, tacere una mente,
e dicono non ci sia nulla da fare.
Io ti scuoto e ti scuoto, Euridice,
non è possibile che non mi rispondi
lì dove sei finita e ti nascondi,
tornata sottoterra, mia radice.
Ê uno scherzo, non può essere vero
che rimanga di te solo il dolore:
tutto intorno più nero del nero.
Per questo alzati, cara, non fingere
un silenzio adirato, accusatore.
Non restartene lì come una sfinge.
V
Andrò da maghi a vendermi il destino,
carte false farò con fattucchiere,
annegato nell’acqua di un bicchiere
perché non ci sei più, non ti ho vicino.
Maledetti gli dei; quell’uno solo
che ha deciso dall’alto del suo alto
– indifferente a tutto, ad ogni soprassalto
del cuore, trionfante nel suo ruolo –
di lasciarti morire, Euridice,
che non gli hai fatto niente,
mia figlia e sposa, amica mia, nutrice:
lo maledico con tutto me stesso,
dio colpevole e te innocente,
per quello che ha voluto, che ha permesso.
VI
Se provassi a pregare, se riuscissi
a convincerlo? Lui può fare
che sia quel che non è, può fermare
la terra, il sole, inventare un’eclissi.
Dio degli dei, dio dei viventi, dio,
non c’è un motivo vero, una ragione
per cui la vita mi diventi prigione,
e quello che era mio non sia più mio.
Ti scongiuro, signore dell’abisso,
ti imploro, lascia che ritorni
a fare uno di me che sono scisso.
Del tutto vero quello che si dice:
sono pronto a dannare i miei giorni
per riportarla a me, Euridice.
VII
Verrò a prenderti, cara, verrò
a liberarti, Euridice sprofondata
in un sonno ingannatore; mia malata,
rinuncerò a curarti, se vedrò
che ti avvolgi in un buio più profondo.
Cosa ti tiene, che cosa ti trattiene
laggiù, lontana dal mio bene:
hai paura di perderlo nel mondo?
Ma io scendo, comunque, a salvarti:
perché la vita vera è qui, è ora,
nel mio presente, nel mio sempre pensarti.
Non c’è assoluto che sia meglio
di noi, del mio volerti ancora.
Ed è un incubo il sonno in cui sto sveglio.
VIII
Sono pronto a fare una promessa,
barattando il mio sguardo col respiro
di te viva, il mio silenzio-capogiro
col tuo nome: Euridice principessa.
Giuro che non ti sfioro con gli occhi,
con le mani, che non mi avvicino
col mio corpo teso di bambino
incantato dal paese dei balocchi:
purché tu, semplicemente, sia
rimarrò muto, cieco e sospeso
vivendo viva e vera la magia
del tuo ritorno; impazienza
di averti, avendoti preteso,
mia ombra inconsistente, mia esistenza.
IX
Ecco, ti sento, ci sei e sei vicina.
Ma non ti guardo, taccio, sono bravo.
Ai tuoi occhi sarò padrone e schiavo,
Euridice, mia madre e bambina.
Come vorrei mi prendessi la mano,
toccarti un braccio, sfiorarti la bocca:
so che non devo, so cosa mi tocca
se non resisto a starti lontano.
Sei silenziosa e ferma al mio fianco,
oppure ti nascondi, resti indietro;
segui ubbidiente il mio passo stanco
e nel tuo passo leggero ti ascolto.
Tu, trasparente pensiero di vetro:
voglio appannarti. Ecco, mi volto.

Alida Airaghi

Estella
24-November-2018, 16:38
GEMMA DONATI
I
Mi dicono di lui che è un buon partito,
ma così serio sempre che un po’ temo
la mia vita futura, ed il marito
che sarà. A notte veglio a lungo, e tremo.
Però di giorno, nel sentir cantare
per le strade sull’aria di Casella
quella ballata sua che invita a amare,
allora mi consola la mia stella.
Un altro ci sarebbe che mi piace,
ma il mio pensiero non è mai costante.
So ciò che devo per avere pace,
e non farò quello che fanno tante.
Per questo il cuore si rassegna e tace;
gliel’ordino. Il mio promesso è Dante.

II
L’ho visto oggi, in allegra brigata,
per la via che il sestriere divide.
Non mi ha guardato, finché sono entrata
in chiesa: poi li ho sentiti ridere.
Si potrebbe pensare si vergogni
di portare così stampato in faccia
che non vuole privarsi dei suoi sogni.
Forse crede che questo mi dispiaccia.
Pare abbia scelto per le rime un nome
e se ne serva come di uno stemma:
nome di donna che riluce come
la stella diana; ed è uno stratagemma
facile da rimar per chi compone.
Lui scrive Beatrice e pensa Gemma.

III
Ho aspettato il mattino del mio giorno
pregando Dio e facendomi bella.
Mentre la gente si stringeva intorno
lui cercava coraggio in sua sorella.
Stava lì come chi si sente privo
di qualcosa o qualcuno, abbandonato.
Io piangendo troppa gioia mentivo.
Lui taceva, di me forse irritato.
Io sono una Donati, io; antica
e nobile famiglia, che a confronto
gli Alighieri scompaiono. Non dicano
che mi ha fatto un onore, è un affronto
che l’una all’altra gente fa nemica.
Io non voglio pagare nessun conto.

IV
Gli ho fatto un maschio. L’ha chiamato Pietro,
scegliendo un nome che di Cristo vive,
e senza uscire dal suo umore tetro
è tornato nella sua stanza a scrivere.
Fa così perché è un genio. L’ho capito
che le gioie di tutti non lo toccano.
Non posso domandare a un tal marito
di pendere da ciò che ho sulla bocca.
Mi sono messa a frugare le carte
con la speranza di trarne la prova
che a interessarlo non è solo l’arte,
che l’esistenza in famiglia gli giova,
e ne scrive. Chissà se almeno in parte
a me dedicherà la Vita nova.

V
Alcuni su Firenze ci si impinguano:
lui ama la città più di se stesso.
E’ questo che lo perde, e la sua lingua.
Io mi aspettavo ciò che fanno adesso.
I migliori non hanno mosso un dito
quando la casa ci è stata distrutta;
lui per fortuna era via, partito
per sempre. Ma io, Gemma, ero lì, tutta.
Come fanno da sempre i peregrini
che nelle corti sopportano il giogo,
scriverà, amerà, farà gli inchini.
Con se stesso, sta bene in ogni luogo.
Sarò sola per anni, coi bambini;
sono sposata a un condannato al rogo.

VI
So della donna di cui Dante dice
beato e beatifico il sorriso,
colei cui diede nome Beatrice
fingendo di seguirla in Paradiso.
Alcuni pensano esista davvero,
altri sia morta ormai da molti anni.
Guardate quanti stravolgono il vero
per vederlo vestito d’altri panni!
Si narra poi che gli vive lontana,
che in gioventù l’ha avvicinato a Dio:
ho sentito ripeter che è toscana
– di Firenze –, proprio del borgo mio.
Credano gli altri a una memoria vana.
Quella che l’ha ispirato, sono io.

Alida Airaghi