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Baudin
04-July-2012, 22:45
Favola popolare in tre tempi, un epilogo e un'appendice.

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Sinossi:

Un borgo toscano nelle paludi, vicino al mare. L'epopea di una famiglia di anarchici, ribelli per temperamento e tradizione: storia di tre generazioni di rivoluzionari dai nomi sintomatici di Garibaldo, Quarto, Volturno, personaggi che partono per viaggi avventurosi e guerre in Europa, Africa, le due Americhe trovando la morte nella lotta contro i padroni. Donne combattive e coraggiose che si affidano anche agli oroscopi e alle fattucchiere. Un mondo contadino, arcaico, ormai scomparso; una fiaba popolare con trovate fantasiose e insieme malinconiche, commosse e profonde, vivaci e gaie, pervasa dal senso della fragilità della vita.

Mio commento:

Il romanzo di esordio (scritto nel '73) di un autore che ama raccontare la storia a rovescio, attraverso piccoli episodi di gente semplice, abituata alla sofferenza, alle attese, alle piccole gioie ed alle grandi scelte, alla difficoltà di comprendere tutto ciò che esula dagli stenti della grama quotidianità. Caratterizzato da un andamento frammentato in cui non si fa in tempo ad approfondire un personaggio che ne compare un altro, altrettanto interessante. E’ un incedere tra episodi fantasiosi e terreni, caustici e teneri, che affondano le loro radici nella storia secolare di una famiglia. La realtà vissuta attraverso il filtro della memoria che diventa quasi un sogno. Un racconto che sembra una favola ma esprime una condizione di vita.
La fantasia al servizio della verità vista dalla parte degli umili, espressione di una necessità narrativa che è già ben presente e che ritornerà in altri romanzi successivi ed in cui, personalmente, mi perdo e mi ritrovo in un’altalena di emozioni che mi porta a condividere il dubbio esistenziale dell’autore:
“tutto torna o niente torna”.



Dal primo tempo "Rispettosi saluti"


“Bisogna amputare,”disse il pizzetto del medico.
La scheggia aveva sfracellato il piede che pendeva attaccato ai tendini, come un ex voto.
“Taglia pure questi filacci, “ disse Plinio.
Non fu un lavoro difficile, anche se fatto alla buona, tra il fumo e la confusione della breccia . Quando ebbe stagnato i vasi il medico prese la bacinella e fece per andarsene, ma Plinio lo fermò.
“Quello è mio e lo rivoglio, “ disse deciso.
Attraversò Roma in barella, col suo piede in mano sotto la coperta. Ai due compagni che lo trasportavano diceva “di qua, di là” quasi che conoscesse Roma come un romano. Invece andava a fiuto, come un bracco che ha trovato la pista. Arrivarono in vista della cupola che il sole ci tramontava dietro. Plinio aveva un sorriso di attesa sul viso di calcina. Volle essere portato, mentre i due davano ormai segni di impazienza , fin sotto le mura dei giardini vaticani. Allora tirò fuori il suo piede di sotto la coperta e con un gitto forte lo fece frullare al di là come un sasso. Poi si fece portare a un botteghino, comprò una veduta di San Pietro e la indirizzò alla sua Ester.
“Ho preso a calci Pio IX. Rispettosi saluti tuo Plinio”.
:)