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dolores
01-November-2011, 18:08
Questo thread è un furto: l'ho rubato al mio amico aNobiiano Chomsky. Naturalmente gli ho chiesto il permesso di farlo, perché quello che posterò è tutta farina del suo sacco. Io mi sono limitata a trovarlo interessante, e quindi ho pensato di riproporlo qua. ;) L'unica cosa che farò sarà quella di cercare qualche fotografia per integrare il testo e movimentarlo un po'.
Quindi inizio ringraziando Chomsky per la sua disponibilità, per la sua passione e per il suo lavoro. :D

dolores
01-November-2011, 18:13
Il romanzo giallo nasce a Parigi nel 1841, dopo l'efferato omicidio di un'anziana signora e di sua figlia. Il caso, dopo le infruttuose indagini della polizia viene risolto dal geniale acume del signor Dupin vero archetipo dell'investigatore deduttivo che tanta fortuna avrà nell'epigono Sherlock Holmes. Nel romanzo di Edgar Allan Poe (vero inventore della formula magica della dectection) "Gli assassinii della Via Morgue" Auguste Dupin risolve il mistero partendo da un ragionamento per cercare le prove che lo sostanzino.

http://t1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRcpS3C4ls5m1Y_WDVAB5ZDkEpRLzPjD PHlSAUZmefUiEZ2HsNDjAKjFKLd


Dopo questo exploit Dupin è protagonista del perfetto racconto "La lettera rubata" in cui scopre il nascondiglio della lettera cercato invano da tanti segugi guardando nel posto più logico e perciò meno probabile. Alla fine del 1842 nel "Mistero di Maria Roget", ispirato da un caso realmente accaduto, Dupin risolve il mistero della scomparsa di una graziosa ragazza senza muoversi da casa e basandosi solo sugli articoli del giornale. In una nota aggiunta all'edizione in volume dei suoi "racconti" Poe ha annotato di "aver effettivamente risolto il caso reale" con notevole anticipo rispetto alla polizia anche se recenti studi hanno dimostrato che il caso non è mai stato chiarito sino in fondo. Un altro racconto assimilabile al giallo è "Lo scarabeo d'oro" in cui si narra della scoperta di un tesoro grazie alla decrittazione di una vecchia mappa cifrata.

http://img3.libreriauniversitaria.it/BIT/476/9788879264761g.jpg


Il grande John Dickson Carr rese Poe protagonista di un suo racconto - "Il gentiluomo di Parigi" - in cui lo scrittore americano risolve da par suo un caso di omicidio.

dolores
01-November-2011, 18:48
Nel 1928 durante la cosiddetta "epoca d'oro" del romanzo giallo si sentì la necessità di stabilire un codice che fissasse le regole per creare un buon poliziesco. Fu il critico d'arte Willard Huntington Wright, meglio conosciuto come S. S. Van Dine, nel suo articolo "Venti regole per scrivere romanzi polizieschi" a dettare questi standard che generalmente sono stati seguiti sino ad oggi.

http://www.kultunderground.org/kimg/kart/1004_19.jpg

1. Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti.
2. Non devono essere esercitati sul lettore altri sotterfugi e inganni oltre quelli che legittimamente il criminale mette in opera contro lo stesso investigatore.
3. Non ci deve essere una storia d'amore troppo interessante. Lo scopo è di condurre un criminale davanti alla Giustizia, non due innamorati all'altare.
4. Né l'investigatore né alcun altro dei poliziotti ufficiali deve mai risultare colpevole. Questo non è un buon gioco: è come offrire a qualcuno un soldone lucido per un marengo; è una falsa testimonianza.
5. Il colpevole deve essere scoperto attraverso logiche deduzioni: non per caso, o coincidenza, o non motivata confessione. Risolvere un problema criminale a codesto modo è come spedire determinatamente il lettore sopra una falsa traccia per dirgli poi che tenevate nascosto voi in una manica l'oggetto delle ricerche. Un autore che si comporti così è un semplice burlone di cattivo gusto.
6. In un romanzo poliziesco ci deve essere un poliziotto, e un poliziotto non è tale se non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso nel capitolo I. Se il poliziotto non raggiunge il suo scopo attraverso un simile lavorio non ha risolto veramente il problema, come non lo ha risolto lo scolaro che va a copiare nel testo di matematica il risultato finale del problema.
7. Ci deve essere almeno un morto in un romanzo poliziesco e più il morto è morto, meglio è. Nessun delitto minore dell'assassinio è sufficiente. Trecento pagine sono troppe per una colpa minore. Il dispendio di energie del lettore dev'essere remunerato!
8. Il problema del delitto deve essere risolto con metodi strettamente naturalistici. Apprendere la verità per mezzo di scritture medianiche, sedute spiritiche, la lettura del pensiero, suggestione e magie, è assolutamente proibito. Un lettore può gareggiare con un poliziotto che ricorre a metodi razionali: se deve competere anche con il mondo degli spiriti e con la metafisica, è battuto "ab initio".
9. Ci deve essere nel romanzo un poliziotto, un solo "deduttore", un solo "deus ex machina. Mettere in scena tre, quattro, o addirittura una banda di segugi per risolvere il problema significa non soltanto disperdere l'interesse, spezzare il filo della logica, ma anche attribuirsi un antipatico vantaggio sul lettore. Se c'è più di un poliziotto, il lettore non sa più con chi sta gareggiando: sarebbe come farlo partecipare da solo a una corsa contro una staffetta.
10. Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno importante nella storia, una persona cioè, che sia divenuta familiare al lettore, e lo abbia interessato.
11. I servitori non devono essere, in genere, scelti come colpevoli: si prestano a soluzioni troppo facili. Il colpevole deve essere decisamente una persona di fiducia, uno di cui non si dovrebbe mai sospettare.
12. Nel romanzo deve esserci un solo colpevole, al di là del numero degli assassinii. Ovviamente che il colpevole può essersi servito di complici, ma la colpa e l'indignazione del lettore devono ricadere su un solo cattivo.
13. Società segrete, associazioni a delinquere "et similia" non trovano posto in un vero romanzo poliziesco. Un delitto interessante è irrimediabilmente sciupato da una colpa collegiale. Certo anche al colpevole deve essere concessa una "chance": ma accordargli addirittura una società segreta è troppo. Nessun delinquente di classe accetterebbe.
14. I metodi del delinquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e scientifici. Vanno cioè senz'altro escluse la pseudo-scienza e le astuzie puramente fantastiche, alla maniera di Jules Verne. Quando un autore ricorre a simili metodi può considerarsi evaso, dai limiti del romanzo poliziesco, negli incontrollati domini del romanzo d'avventura.
15. La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito. Se il lettore, dopo aver raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin dall'inizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole e che, se fosse stato acuto come il poliziotto, avrebbe potuto risolvere il mistero da sé, senza leggere il libro sino alla fine. Il che - inutile dirlo - capita spesso al lettore ricco d'istruzione.
16. Un romanzo poliziesco non deve contenere descrizioni troppo diffuse, pezzi di bravura letteraria, analisi psicologiche troppo insistenti, presentazioni di "atmosfera": tutte cose che non hanno vitale importanza in un romanzo di indagine poliziesca. Esse rallentano l'azione, distraggono dallo scopo principale che è: porre un problema, analizzarlo, condurlo a una conclusione positiva. Si capisce che ci deve essere quel tanto di descrizione e di studio di carattere che è necessario per dare verosimiglianza alla narrazione.
17. Un delinquente di professione non deve mai essere preso come colpevole in un romanzo poliziesco. I delitti dei banditi riguardano la polizia, non gli scrittori e i brillanti investigatori dilettanti. Un delitto veramente affascinante non può essere commesso che da un personaggio molto pio, o da una zitellona nota per le sue opere di beneficenza.
18. Il delitto, in un romanzo poliziesco, non deve mai essere avvenuto per accidente: né deve scoprirsi che si tratta di suicidio. Terminare una odissea di indagini con una soluzione così irrisoria significa truffare bellamente il fiducioso e gentile lettore.
19. I delitti nei romanzi polizieschi devono essere provocati da motivi puramente personali. Congiure internazionali ecc. appartengono a un altro genere narrativo. Una storia poliziesca deve riflettere le esperienze quotidiane del lettore, costituisce una valvola di sicurezza delle sue stesse emozioni.
20. Ed ecco infine, per concludere degnamente questo "credo", una serie di espedienti che nessuno scrittore poliziesco che si rispetti vorrà più impiegare; perché già troppo usati e ormai familiari a ogni amatore di libri polizieschi. Valersene ancora è come confessare inettitudine e mancanza di originalità:
a) scoprire il colpevole grazie al confronto di un mozzicone di sigaretta lasciata sul luogo del delitto con le sigarette fumate da uno dei sospettati;
b) il trucco della seduta spiritica contraffatta che atterrisca il colpevole e lo induca a tradirsi;
c) impronte digitali falsificate;
d) alibi creato grazie a un fantoccio;
e) cane che non abbaia e quindi rivela il fatto che il colpevole è uno della famiglia;
f) il colpevole è un gemello, oppure un parente sosia di una persona sospetta, ma innocente;
g) siringhe ipodermiche e bevande soporifere;
h) delitto commesso in una stanza chiusa, dopo che la polizia vi ha già fatto il suo ingresso;
i) associazioni di parole che rivelano la colpa;
j) alfabeti convenzionali che il poliziotto decifra.

http://www.pickwicki.com/img/BookImg/default/rlkwfnvu.jpg

Naturalmente seguire pedissequamente queste regole avrebbe tolto al giallo l'emozione e gli avrebbe tolto quel realismo a cui molti giallisti tendevano. Infatti Raymond Chandler nel suo famoso saggio "La semplice arte del delitto" scritto nel 1944 polemizza duramente con il romanzo poliziesco classico "riservato alle vecchie signore", perchè "il romanzo poliziesco deve essere realistico per quanto riguarda personaggi, ambiente e atmosfera. Deve trattare di persone vere in un mondo vero". Nel suo saggio Chandler loda Dashiell Hammett per per aver strappato il delitto al giardino di rose del vicario, dove lo tenevano ostaggio Agatha Christie e Dorothy Sayers, e averlo restituito ai vicoli, in "un mondo in cui i gangster possono dominare le nazioni e poco manca che governino le città".

dolores
02-November-2011, 12:58
La paternità del poliziesco vede una lunga disamina che trova contrapposti Poe e Gaboriau. Una "guerra" tra America e Francia, irrisolta e credo irrisolvibile; di fatto però il contributo (anche semplicemente di "definizione" delle regole del genere) fu essenziale almeno quanto l'intuizione che portò E. A. Poe a inventare l'antesignano di Sherlock Holmes. Tributo che, purtroppo, raramente viene versato al francese.

http://www.audiocite.net/illustrationlivres/gaboriau2large.jpg

Emile Gaboriau portò a maturazione quell'innovazione che Poe aveva avuto. Non c'è da stupirsi che il testimone passò ad un francese in quanto fu Charles Baudelaire con le sue traduzioni dell'opera di Poe che fece conoscere il genio dello scrittore americano in tutta Europa. Inoltre Gaboriau nel suo personaggio principale Monsieur Lecocq, già nel nome rende omaggio ad uno degli avventurieri più straordinari del suo tempo, Eugène-François Vidocq che fu disertore, falsario, ladro, galeotto, spia per poi diventare il primo capo della Sûreté , la prima grande polizia moderna (a cui appartiene anche il signor Lecocq).

http://t0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRyc-hMHVhKhb_016c6U5_7o_ngbsMpcHFJpoOz8eLY6ZsCXn3C

Emile Gaboriau fonde nei suoi romanzi, tra i quali ricordo "L'affare Lerouge" del 1863, "Il dramma d'Orcival" del 1867 e "Il signor Lecocq" del 1869, la narrativa popolare di cui il tipico esponente é Eugene Sue autore de "I misteri di Parigi" e la narrativa poliziesca ispiratagli da Poe. Monsieur Lecocq a differenza di Auguste Dupin, non si isola nell'astrazione perchè per lui l'indagine non è un gioco intellettuale ma un percorso di identificazione con il criminale e in questo prefigura il commissario Maigret. Lecocq infine ispirò direttamente Conan Doyle per il personaggio di Sherlock Holmes. "Ho letto "Lecocq il poliziotto" di Gaboriau, annotò nel marzo del 1886 lo scrittore inglese, e un racconto che parla dell'assassinio di una vecchia di cui non ricordo il nome. Tutti ottimi. Ricordano Wilkie Collins ma in meglio." Il seme era stato gettato e l'anno successivo sul Beeton's Christmas Annual fu pubblicato "Uno studio in rosso".

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTA5SudeVU0HG2PaV-mMB9MR0ysx0jeoBQCOXalaeRa3ecJMm-chg

Baudin
02-November-2011, 16:09
Naturalmente seguire pedissequamente queste regole avrebbe tolto al giallo l'emozione e gli avrebbe tolto quel realismo a cui molti giallisti tendevano. Infatti Raymond Chandler nel suo famoso saggio "La semplice arte del delitto" scritto nel 1944 polemizza duramente con il romanzo poliziesco classico "riservato alle vecchie signore", perchè "il romanzo poliziesco deve essere realistico per quanto riguarda personaggi, ambiente e atmosfera. Deve trattare di persone vere in un mondo vero". Nel suo saggio Chandler loda Dashiell Hammett per per aver strappato il delitto al giardino di rose del vicario, dove lo tenevano ostaggio Agatha Christie e Dorothy Sayers, e averlo restituito ai vicoli, in "un mondo in cui i gangster possono dominare le nazioni e poco manca che governino le città".

Bellissimo thread, Dolores.
Ti seguo subito e pongo l'attenzione, con il mio quote, sul come si sentì la necessità, da parte di alcuni scrittori, di adeguarsi all'evoluzione della società ed al bisogno di descriverla in termini realistici.
Aggiungo che una società non più accettata aprioristicamente, genera malessere nei protagonisti, che viene puntualmente descritto nei nuovi, all'epoca, romanzi noir della hard boiled school.

Ciao :)

dolores
03-November-2011, 09:16
Naturalmente seguire pedissequamente queste regole avrebbe tolto al giallo l'emozione e gli avrebbe tolto quel realismo a cui molti giallisti tendevano. Infatti Raymond Chandler nel suo famoso saggio "La semplice arte del delitto" scritto nel 1944 polemizza duramente con il romanzo poliziesco classico "riservato alle vecchie signore", perchè "il romanzo poliziesco deve essere realistico per quanto riguarda personaggi, ambiente e atmosfera. Deve trattare di persone vere in un mondo vero". Nel suo saggio Chandler loda Dashiell Hammett per per aver strappato il delitto al giardino di rose del vicario, dove lo tenevano ostaggio Agatha Christie e Dorothy Sayers, e averlo restituito ai vicoli, in "un mondo in cui i gangster possono dominare le nazioni e poco manca che governino le città".

Bellissimo thread, Dolores.
Ti seguo subito e pongo l'attenzione, con il mio quote, sul come si sentì la necessità, da parte di alcuni scrittori, di adeguarsi all'evoluzione della società ed al bisogno di descriverla in termini realistici.
Aggiungo che una società non più accettata aprioristicamente, genera malessere nei protagonisti, che viene puntualmente descritto nei nuovi, all'epoca, romanzi noir della hard boiled school.
Ciao :)

Grazie Baudin :D
Sono d'accordo con te. Anzi, sono molto d'accordo con te :mrgreen:
Preciso subito che io sono una appassionata lettrice dei romanzi di Agatha Christie (li posseggo quasi tutti e li rileggo sempre con grande piacere) e adoro i delitti perpetrati nei giardini di rose dei vicariati, tuttavia - per gusto personale - prediligo i romanzi noir, credo per affinità con la fragilità umana in essi descritta e per identificazione con un disagio che, se pur non sfociando in situazioni così tragiche, tocca chi - come dici giustamente tu - non accetta aprioristicamente le regole che governano il nostro vivere sociale.

Ciao! ;)

dolores
03-November-2011, 09:18
Oltre ad Emile Gaboriau un altro francese, Gaston Leroux, contribuì a dare al romanzo giallo la struttura formale che lo caratterizza e che lo rende così popolare. Leroux, autore anche del celebre "Il fantasma dell'opera", thriller del quale sono state tratte numerose versioni cinematografiche, nel 1908 con "Il mistero della camera gialla" introduce sia un personaggio che diventerà famoso, il giovane giornalista Rouletabille, sia un "topos" che da allora ogni autore di gialli che si rispetti dovrà affrontare: il mistero della camera chiusa ermeticamente.

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSVLyohRY3ATCXp9ikw2Jp4Bqp4lepXB 366NRhKpPSycaK7F9bZ

Uno dei maggiori esperti di "camere chiuse" è stato senza dubbio John Dickson Carr, che nel suo mirabile "Le tre bare" fa tenere al suo personaggio più famoso, Gideon Fell, addirittura una conferenza sul tema, in cui sviscera a fondo ogni variazione sul genere. Proprio durante la sua colta disquisizione Gideon Fell giudica "Il mistero della camera gialla": "il migliore racconto poliziesco che sia mai stato scritto".

http://t1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRP-fOk2XOM6cbebf-sPkdXHRujOwANy7b4pgAY7EHx6_NrinA7NQ

dolores
03-November-2011, 10:42
Il delitto nella camera chiusa è diventato col tempo un genere a se stante che coniuga il piacere di scoprire chi è stato (da cui viene la definizione popolare "whodunit" con la quale viene chiamato il giallo classico all'inglese) e la curiosità di sapere come l'assassino è riuscito a fuggire dal luogo del delitto.

http://t0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSDuJC34Ks6T5v5nuFu3sWhrt-seD0lYUH_Znnp_gX4DF5uGWLHyg

Oltre John Dickson Carr, l'indiscusso maestro nel campo, si sono cimentati in questo genere tutti i più grandi giallisti come Edgar Wallace, in "L'enigma della candela ritorta", S.S. Van Dine in "La strana morte del signor Benson" e in "Tragedia in casa Coe", per citarne solo due, Agatha Christie anche nel racconto "Morte di un arlecchino", Ellery Queen in "Il delitto alla rovescia" e "Una stanza per morirci" e Clayton Rawson, che in "Morte dal cappello a cilindro" tiene una vera e propria lezione sul tema.

http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSOQvwSec6naw3Vrjnqy_HUMMfBqaw2u KVCNlNA1lvQHISgeio


Ultimamente Paul Halter, giallista francese che dichiara apertamente di ispiarsi a Dickson Carr, ha rinverdito i fasti di questa particolare categoria con romanzi come "La quarta porta", "A 139 passi dalla morte", "Nebbia rossa" dove rievoca i delitti di Jack lo squartatore, "La morte dietro la tenda rossa" e "La camera del pazzo".

http://t0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQazmyn8xb57eL1uxP9xAU_fYjGvRCLI-HvJtsb8nEy51S_5mF9mw

dolores
03-November-2011, 23:06
Il termine "detective story" ormai entrato nel gergo comune per indicare il romanzo poliziesco o "giallo" venne coniato dalla scrittrice statunitense Anna Katharine Green (1846-1935) come sottotitolo al suo primo libro "Il mistero delle due cugine" ("The Leavenworth case") del 1878.

http://www.romanzopoliziesco.it/images/p013_1_00.jpg

La Green, prima donna a scrive un importante poliziesco, oltre a Ebenezer Gryce detective della polizia di New York, protagonista del caso delle due cugine, creò anche la prima figura di donna investigatrice Violet Strange.

http://a2.mzstatic.com/us/r1000/057/Purple/69/17/8b/mzl.nozuahbn.320x480-75.jpg

sydbar
04-November-2011, 15:34
Mi piace...
Colgo l'occasione per salutare tutti i miei Amici del Qforum. ;)

dolores
04-November-2011, 15:37
Mi piace...
Colgo l'occasione per salutare tutti i miei Amici del Qforum. ;)

Grazie Sydbar! Un grosso saluto anche a te :D

dolores
04-November-2011, 15:41
Benché fosse medico e sia stato in parte ispirato per il suo immortale personaggio di Sherlock Holmes dal suo professore di medicina Joseph Bell, non fu Sir Arthur Conan Doyle a creare il primo investigatore scientifico della storia del giallo. Il primo investigatore scientifico fu il dottor Thorndyke, protagonista dei romanzi di Richard Austin Freeman.

http://1.bp.blogspot.com/_PTyixG6R1Ws/TBMHsGbnkPI/AAAAAAAADSo/yRg2BMEtF2s/s320/RTM_prima_ed_italiana_1935.bmp

Nel 1907 Freeman pubblica "L'impronta scarlatta" la prima avventura del medico legale John Thorndyke a cui faranno seguito altri dieci romanzi e quarantadue racconti. Spinto da una cultura scientifica enciclopedica e da una logica stringente Thorndyke risolve i suoi casi portando al culmine il razionalismo ottocentesco già preannunciato da Poe e dallo stesso Conan Doyle.

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQlRtuH13s3aEKA2QF0IRzwtFWpTqj3v bNoWtNgIvc4vtOttIG_Vg

Secondo Raymond Chandler i romanzi di Freeman (tra cui segnalo "Il testimone muto" "L'affare D'Arblay" e L'occhio di Osiride") affascinano anche per il "caldo charme che hanno gli amori vittoriani e le meravigliose passeggiate attraverso Londra".

dolores
04-November-2011, 16:04
Anche se il suo nome è legato indissolubilmente a quello di Sherlock Holmes, Sir Arthur Conan Doyle non amò mai particolarmente il suo personaggio più famoso e arrivò al punto di farlo morire cadendo nelle cascate svizzere di Reichenbach nel racconto “Il problema finale” del 1886. In seguito dovette far resuscitare a furor di popolo quel detective diventato tanto ingombrante, nato “per gioco” e per passare le lunghe serate in attesa dei clienti nel suo studio di giovane medico.
I suoi interessi erano rivolti principalmente ai romanzi storici di cui si ricordano le saghe di Sir Nigel e del brigadiere Gerard. Fu anche uno dei precursori della fantascienza con il ciclo del professor Challenger di cui il romanzo più famoso è certamente “Il mondo perduto” che ha influenzato il libro di Michael Crichton “Jurassic park”.

http://www.fantascienza.com/catalogo/imgbank/cover/VM014.jpg

Nell’ultima fase della sua vita Conan Doyle si dedicò attivamente allo studio dello spiritismo e delle fate, come documenta Charles Hingam nella sua documentatissima biografia “The adventures of Conan Doyle”. Il suo interesse per l’occultismo contrasta con l’esaltazione della logica e del Positivismo incarnato in Sherlock Holmes ma Conan Doyle era un tipico uomo dell’Ottocento sempre in bilico tra Realismo e Romanticismo.

http://images.betterworldbooks.com/039/The-Adventures-of-Conan-Doyle-Higham-Charles-9780393331103.jpg

Infine fu anche coinvolto in una vicenda che sembra tratta da uno dei suoi libri. Viene infatti sospettato di essere l’autore della “Beffa dell’uomo di Piltdown”. Nel 1912 in una miniera vicina a Piltdown nel Sussex furono ritrovato alcuni frammenti del teschio di quello che sembrava un ominide sconosciuto, ritenuto l’anello di congiunzione tra l’uomo e la scimmia. Solo quarant’anni dopo si scoprì che i reperti consistevano nella mandibola di un orango e in un pezzo di cranio di uomo moderno.

http://www.cinematografo.it/cinematografo_new/allegati/15455/pietri_08.jpg

Una curiosità su Conan Doyle è data dalla sua partecipazione come giornalista alle Olimpiadi di Londra del 1908. Molti ritengono sia lui il megafonista che sorregge Dorando Pietri durante gli ultimi strazianti metri della maratona olimpica. E' certo invece che si prodigò per far avere al valoroso atleta carpigiano una sostanziosa colletta e che perorò - invano - la sua causa.

dolores
05-November-2011, 14:51
Come la Settimana Enigmistica anche Sherlock Holmes vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Molti scrittori si sono cimentati con questo mito letterario. Il grande Mark Twain in un racconto del 1912 (A double-barrelled Detective Story) racconta un insuccesso dell'investigatore.

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Lo stesso figlio di Sir Arthur, Adrian, assieme a John Dickson Carr ha pubblicato due raccolte di novelle "Le imprese di Sherlock Holmes" e "Nuove imprese di Sherlock Holmes". Anche Maurice Leblanc ha fatto incontrare il suo eroe Arsène Lupin con Herlock Sholmes.

http://image.anobii.com/anobi/image_book.php?type=3&item_id=01cdc600454c53e9c6&time=1270982045

Oltre ai gialli Holmes è diventato persino personaggio di racconti di fantascienza ma il romanzo "fuori canone" più significativo è senza dubbio "La soluzione sette per cento" di Nicholas Meyer in cui il detective è un drogato che si reca a Vienna per curarsi da un "dottorino" di cui si dice un gran bene, Sigmund Freud. Il padre della psicanalisi non solo disintossica Holmes, che si inietta cocaina in una soluzione al sette per cento, ma riesce anche a svelare le ragioni di questo suo vizio: il padre dell'investigatore aveva ucciso la moglie e il suo amante.

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Anche Ellery Queen in "Uno studio in nero" ne fa rivivere l'epopea mettendolo addirittura sulle tracce di Jack lo Squartatore.

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSCt4ycl80Qps-5pQn0ai4WwUiyb8X137fW-BmBfvoACpwWAFQCtA

dolores
05-November-2011, 15:22
Una prova dell'enorme popolarità del personaggio creato da Sir Arthur Conan Doyle, diventato vero e proprio archetipo dell'investigatore, è data dalla bizzarra teoria che ha preso piede tra gli appassionati di gialli e anche tra qualche scrittore che l'ha romanzata. Secondo queste voci Nero Wolfe, il corpulento e brillante detective di origine montenegrina, sarebbe figlio di Sherlock Holmes e di Irene Adler, l'affascinante avventuriera protagonista del racconto "Uno scandalo in Boemia".

http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTGMofE7VbjSi7SXTwgoO7l6OqPdQH60 8enNgseG28VFC0TwMY3

Strano destino quello di Irene, che compare solo in questa avventura (anche se viene citata in altri racconti) ma che è diventata il più conosciuto e più importante personaggio del fantastico mondo holmesiano. Cantante d'opera, avventuriera e forse anche spia, unica donna che Sherlock Holmes ammira incondizionatamente, Irene Adler è anche protagonista dei romanzi gialli di Carole Nelson Douglas dove compare anche il grande investigatore.

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTlFnNXUhs1BjZZUi2oprWsY4kKJAdjr wGq6tbMxSLIqulWIFn4

Chomsky
05-November-2011, 16:26
Ciao a tutti, ringrazio Dolores per il cortese invito a partecipare a questo interessantissimo forum e le faccio i complimenti per il superbo lavoro che ha migliorato molto gli appunti sul giallo che ho inserito su aNobii.

Cecilia (Teresa)
05-November-2011, 16:54
Ciao Chomsky, benvenuto! Se ti va, su presentazioni ci puoi raccontare di te :D

Chomsky
05-November-2011, 18:18
Grazie Cecilia (Teresa) vado subito a presentarmi :-)

dolores
06-November-2011, 11:36
Tra i precursori del giallo si può indubbiamente annoverare anche la baronessa di origini ungheresi Emmuska Orczy, famosa anche per il personaggio della "Primula rossa", nome che da allora per antonomasia definisce un personaggio inafferrabile.

http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRMCMjqznST5ab36z7wV9362kQtDitiR IKw3B4FJkONK3KhyUb5

Nel 1901 la baronessa pubblica sul Royal Magazine alcuni racconti che hanno come protagonista "Il vecchio nell'angolo", primo armchair detective (detective in poltrona), un curioso personaggio che risolve gli enigmi seduto in un caffè. Nel 1909 questi racconti verranno raccolti in un volume "The Old Man in the Corner".

http://t0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSkK6y0P4NpEx_ou9TlR3Wtasgm9QNIY g10w72UtOokbS3UVrv1

L'anno successivo fu pubblicato "Lady Molly of Scotland Yard" raccolta di dodici racconti che hanno come protagonista Molly Robertson-Kirk più nota come Lady Molly di Scotland Yard, che anticipa di dieci anni la reale presenza femminile nel prestigioso corpo di polizia.

http://i43.tower.com/images/mm113198287/lady-molly-scotland-yard-emmuska-orczy-paperback-cover-art.jpg

dolores
06-November-2011, 18:01
http://t1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSVEjWbzJ6F3th1Z-fwYtTMbbDJlxaD3nK8brHsxHyMm6MemLmw

I rapporti tra letteratura “alta” e letteratura poliziesca sono sempre stati contraddittori e ambigui. Da un lato gli intellettuali hanno da subito considerato il giallo un genere secondario di letteratura, poco impegnativa, scritta sciattamente, un passatempo usa e getta destinato ad un pubblico rozzo e quasi analfabeta, malgrado scrittori affermati come Wilkie Collins con “La pietra di Luna” e Charles Dickens con “Il mistero di Erwin Drood” (romanzo rimasto incompiuto a causa della morte dello scrittore) si fossero dedicati con successo alla detection story. (Sul romanzo di Dickens, Fruttero e Lucentini hanno costruito un divertente caleidoscopio di indagini guidate addirittura da Hercules Poirot nel divertissement giallo “La verità sul caso D.”)

http://t0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQ6uDYWZE-LahALPL1DxpuP0zcihFZFCXhchd3xK5uhJtVygVgc

Per tutelare i valori del romanzo giallo Gilbert Keith Chesterton creatore del prete detective Padre Brown, scrisse nel 1901 un’accorata e celebre “Difesa dei racconti polizieschi”, in cui sosteneva che “Il primo valore essenziale del giallo risiede nel fatto che è la prima e unica forma di letteratura popolare in cui si esprime in qualche modo la poesia della vita moderna.” Inoltre Chesterton sosteneva che “non è vero che il lettore comune preferisca la letteratura scadente a quella buona, e che il romanzo poliziesco risponda alle sue attese in quanto bassa letteratura. […] il romanzo poliziesco non è soltanto una forma d’arte del tutto legittima, ma, interpretando il gusto popolare, possiede anche alcuni vantaggi ben definiti reali come strumento di benessere pubblico.[…] Il romanzo delle forze di polizia presenta quindi l’intero romanzo del genere umano.

http://www.papaluciani.it/titoli/chesterton.jpg

Quasi a sostanziare questa nobilitazione del genere giunse alcuni anni dopo Dorothy L.Sayers, una delle prima donne laureate a Oxford. La Sayers famosa anche per la traduzione in inglese della “Divina Commedia” di Dante, si dedicò attivamente alla produzione di romanzi polizieschi creando il personaggio di Lord Wimsey, destinato a diventare uno degli investigatori più raffinati e originali della storia del giallo. Molti critici sono concordi nell’affermare che la Sayers è riuscita a creare un nuovo tipo di romanzo poliziesco, forse anche perché gli ambienti e i personaggi che compaiono nelle sue opere non sono frutto di pura invenzione ma sono il frutto di vicende vissute. Tra i suoi romanzi più noti sono da ricordare “Bellona Club”, ”Lord Peter e l’altro” e “Il gatto dagli occhi verdi”.

http://libri.atuttonet.it/wp-content/uploads/2011/06/lord-peter.jpg

zio fred
06-November-2011, 18:42
Prima che esca il prossimo capitolo di questa bella "enciclopedia " a puntate del giallo, mi sia permesso un inserto speciale dedicato all'impareggiabile Lord Peter Wimsey nei bellissimi romanzi di Dorothy Sayers. Mi autocensuro dal citarli tutti (sono poi solo 12 romanzi più uno mai tradotto in italiano chissà perchè, e due racconti oltre anche qui ad un terzo non tradotto) ma questi che ho scelto vanno letti assolutamente, vero dolores?


http://s7.postimage.org/zaqvub3aj/sayers.png (http://www.postimage.org/)
hosting images (http://www.postimage.org/)

dolores
06-November-2011, 19:10
Grazie zio Fred per il tuo intervento. Mi sarei molto preoccupata se al nome di "Dorothy L. Sayers" tu non avessi detto niente :shock:
Naturalmente sono d'accordo. Io per ora sono in possesso di "Il segreto delle campane" e di "Lord Peter e l'altro"... Il periodo natalizio invoglia al classico. Prometto di leggerne almeno uno. Da quale inizio? :?:

Wentworth
06-November-2011, 19:36
Ma pensa...pensavo di aver letto quasi tutto della Sayers ma scopro che non è vero, tra questi quattro citati da Zio Fred ne ho letto solo uno.
Ottimo thread, grazie Dolores (e a Chomsky ovviamente) per tutte queste preziose info!

dolores
08-November-2011, 12:52
Ma pensa...pensavo di aver letto quasi tutto della Sayers ma scopro che non è vero, tra questi quattro citati da Zio Fred ne ho letto solo uno.
Ottimo thread, grazie Dolores (e a Chomsky ovviamente) per tutte queste preziose info!

Grazie a te, Wentworth. Allora in attesa della risposta di zio Fred io continuo. ;)

dolores
08-November-2011, 13:20
Benché ai “Piani alti” della cultura si considerasse il giallo con malcelato disprezzo come un sottogenere da non frequentare, piano piano si fece strada la consapevolezza che il romanzo poliziesco costituisse un potente strumento per capire e svelare i meccanismi che regolano il nostro mondo.

http://pics.librarything.com/picsizes/4d/5a/4d5aac8f391f55c593455755467434d414f4541.jpg

Già un fine intellettuale come Antonio Gramsci, nel suo saggio “Letteratura e vita nazionale”, scritto in carcere negli anni Trenta, dedica molta attenzione al romanzo poliziesco che vede come scontro quasi titanico tra delinquenza e apparato giudiziario o il suo surrogato (il detective). Per lui infatti “il romanzo poliziesco è nato ai margini della letteratura sulle “cause celebri”. […] Il passaggio da tale tipo di romanzo a quelli di pura avventura è segnato da un processo di schematizzazione del puro intrigo, depurato da ogni elemento di ideologia democratica e piccolo borghese: non più la lotta tra il popolo buono, semplice e generoso e le forze oscure della tirannide […] ma solo la lotta tra la delinquenza professionale o specializzata e le forze dell’ordine legale, private o pubbliche, sulla base della legge scritta".

http://csicsada.freeblog.hu/files/2011/06/auden 1907-1973.jpg

Alcuni anni più tardi il grande poeta inglese Wystan Hugh Auden nel suo saggio critico “La parrocchia del delitto” (che significativamente ha come sottotitolo “Considerazioni di un drogato del giallo”) ammette che “per me come per tanti altri la lettura dei gialli è una droga al pari del tabacco e dell’alcol”. In questo suo lavoro Auden sviscera con acume gli elementi principali del romanzo giallo che per lui sono l'ambiente, la vittima, l'assassino, i sospettati e il detective più un elemento determinate, il lettore, che per la prima volta interagisce con il testo e che non ha un atteggiamento passivo rispetto al giallo, anzi è cornice imprescindibile del romanzo.

http://www.thefamouspeople.com/profiles/images/c-day-lewis-1.jpg

Se Auden si limita ad analizzare dall’esterno questo genere letterario, il suo amico Cecil Day-Lewis, poeta laureato di corte (prestigiosa carica che fu anche di Geoffrey Chaucer, Edmund Spenser e Alfred Tennyson, per citane solo alcuni), si "sporcò le mani" in prima persona e passando dalla teoria alla pratica scrisse sotto lo pseudonimo di Nicholas Blake una ventina di romanzi gialli di notevole spessore, incentrati sul personaggio di Nigel Strangeways. Strangeways compare per la prima volta in “Questione di prove” del 1935. E’ un uomo colto, (si è laureato a Oxford) ed è proprio grazie alla sua vasta cultura che riesce a risolvere i casi che gli si presentano.
Oltre al titolo d’esordio, la produzione migliore di Cecil Day-Lewis (padre dell’attore Daniel Day-Lewis) è rappresentata da “Quando l‘amore uccide“ del 1936, “La belva deve morire” del 1938, “ Misteri sotto la neve” del 1941 e “La mia morte per la tua” del 1958.

http://www.polilloeditore.it/images/categories/ba7.jpg

zio fred
08-November-2011, 21:35
in attesa della risposta di zio Fred io continuo. ;)

oh, mille scuse ma in tutta questa confusione mi era sfuggita la tua domanda.
Direi senz'altro di leggere in periodo natalizio "Il segreto delle campane" (1934) che inizia con l'auto di Lord Peter e Bunter che si rompe nella campagna inglese innevata e proprio alla vigilia di capodanno.
Così si incamminano a piedi verso una Chiesa vicina e lì scoprono che si stanno preparando ad un evento probabilmente consueto in quei tempi e quei posti ma meno noti almeno a me: il concerto di campane.
Questa antica arte ormai quasi dimenticata, in inglese bell ringing o change ringing ( e rimando ad un sito dove si può sentire un pezzetto di concerto in una chiesa che parrebbe quella del libro, a parte che manca la neve, http://www.bellringing.org/watch/, mentre in http://www.inspirewebdesign.com/home/mpaw/soundindex.asp si può sentire una serie di pezzetti di concerti ) è veramente suggestiva e mi è poi capitato di sentire in Liguria un concerto di campane scoprendo che ancora vi sono campanari che la praticano.

Naturalmente Lord Peter da ragazzo aveva suonato le campane e quindi arriva opportuno il guasto all'auto, perchè si era proprio fatto male uno degli otto campanari e così ecco il nostro che si rimbocca le maniche e via

din, don, din, don, dindidin,
dindon, dindidndinddindidndindindidn ( suspence...)
donnnn...

Insomma un romanzo affascinante, forse uno dei più originali della Sayers e sapessi come ti invidio visto che avrai il piacere di leggerlo per la prima volta.

C'è pure la piantina della Chiesa, come massima goduria.

21

dolores
08-November-2011, 22:57
E allora, zio Fred, se c'è la neve vada per "Il segreto delle campane". ;)

"Quand sona i campan"... Conosci questa vecchia canzone milanese?


http://www.youtube.com/watch?v=AdAmfL7eh-o

dolores
09-November-2011, 11:01
Le grandi potenzialità del giallo interessarono anche un scrittore attratto dalle tematiche metafisiche e fantastiche come Jorge Luis Borges, che ispirò Umberto Eco per il personaggio di Jorge da Burgos per il suo bestseller “Il nome della Rosa” (ma di questo parleremo in seguito).

http://www.southerncrossreview.org/47/jlb.jpg

Borges nel suo saggio “Il romanzo poliziesco” indaga sull’intreccio di questo genere letterario, ma si sofferma specialmente sul ruolo del lettore di gialli: “C’è un tipo di lettore attuale, che è il lettore di romanzi polizieschi. Questo lettore - lo si trova in tutti i paesi del mondo e lo si conta a milioni- è stato generato da Edgar Allan Poe. […] questo lettore è già pieno di sospetti, perché il lettore di romanzi polizieschi è un lettore che legge con incredulità, con sospetti, con sospetti particolari”. Lo scrittore argentino considera il poliziesco “Un’avventura intellettuale” e come tale degna del massimo rispetto, riferendosi naturalmente al giallo classico inglese e sottovalutando l’Hard Boiled americano che riteneva decaduto in quanto “realista, di violenza, un genere di violenze sessuali anche”. Quello che interessava Borges era la funzione consolatoria del giallo: “Cosa si può dire come apologia del genere poliziesco? C’è una constatazione evidente da fare: la nostra letteratura tende al caotico. […]. In questa epoca così caotica, c’è una cosa che, umilmente ha conservato le virtù classiche: il romanzo poliziesco […] che sta salvando l’ordine in un’epoca di disordine”.

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTT7_Y7HrnM-70-VrzwG_inQoOl1RdbMPzO-7ydESdVwvPZ7pwF

Con Adolfo Bioy Casares, Borges scrisse alcuni racconti gialli riuniti nel volume “Sei problemi per Don Isidro Parodi” firmati da un fantomatico Honorio Bustos Domecq. Don Isidro è un barbiere che, accusato ingiustamente viene condannato e dal carcere risolve i casi che gli vengono sottoposti. Nonostante questi racconti mantengano molte suggestioni borgesiane, non convinsero particolarmente Borges che scrisse di non esserne troppo orgoglioso in quanto “l’ho portato su un terreno simbolico, non so se funziona”.

dolores
10-November-2011, 18:15
“Requiem per il romanzo giallo” è l’impegnativo sottotitolo del romanzo “La promessa” dello scrittore e drammaturgo svizzero Friedrich Durrenmatt. Con questo libro Durrenmatt scrive l’epitaffio funebre alla pretesa di dominare con la logica i comportamenti umani mentre sostiene che è il caso a giocare un ruolo decisivo nelle nostre vite e quella che sovente viene chiamata abilità è soltanto fortuna, anche se non viene percepita come tale perché nel suo universo letterario il mistero non si lascia più penetrare dalla fredda razionalità.
“Le nostre leggi si fondano soltanto sulla probabilità, sulla statistica, non sulla causalità, si realizzano soltanto in generale, non in particolare. Il caso singolo resta fuori dal conto […] Ma voi scrittori di questo non vi preoccupate. Non cercate di penetrare in una realtà che torna ogni volta a sfuggirci di mano, ma costruire un universo da dominare. Questo universo può essere perfetto, possibile, ma è una menzogna” - scrive infatti il romanziere - perché “un fatto non può 'tornare' come torna un conto, perché noi non conosciamo mai tutti i fattori necessari, ma soltanto pochi elementi per lo più secondari”.


http://photos-h.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-ash4/315852_246399148730526_168679393169169_634196_1694 316961_a.jpg


La vicenda è abbastanza lineare nel suo svolgimento ma sono le circostanze casuali a sconvolgere tutte le teorie. Il protagonista del libro è il geniale commissario Matthai che indaga sull’assassinio di una bambina bionda vestita di rosso. Del delitto viene accusato un ambulante che dopo poco confessa e si suicida. Matthai non crede a questa confessione e si butta a corpo morto in un'indagine impossibile, e per riuscirci non esita a mettere in pericolo un’altra bambina bionda vestita di rosso. Le sue teorie sono giuste ma non riuscirà nel suo intento e finirà i suoi giorni alcolizzato sperando ancora di arrestare il mostro.
Così dopo Heisenberg con il suo principio di indeterminazione, che nega la possibilità di conoscere sino in fondo il mondo fisico, e dopo Kurt Godel che con il teorema di incompletezza ci mostra i limiti intrinseci della matematica, Friedrich Durrenmatt con “La promessa” ci toglie ogni illusione di arrivare alla verità attraverso l’indagine logica.
Da questo notevolissimo romanzo è stato tratto il film omonimo di Sean Penn e soprattutto uno splendido sceneggiato con Rossano Brazzi nel ruolo del commissario Matthai.

P.S. A chi fosse interessato ad approfondire il tema del ruolo che gioca il destino nella nostra vita segnalo due saggi molto intelligenti (che non riguardano il giallo) di Nassim Nicholas Taleb, “Giocati dal caso” e “Il cigno nero”.

http://im.wk.io/images/p/59c84/robustezza-e-fragilita-che-farec-il-cigno-nero-tre-anni-dopo-un-libro-di-n-n-taleb.jpg

zio fred
10-November-2011, 18:42
Adolfo Bioy Casares

Mi fai rispolverare, nel vero senso, un libro letto alcuni anni fa ma che mi ricordo ancora per l'ambientazione molto particolare in una spiaggia ai confini del mondo, strano giallo, atipico quasi onirico, da film in bianco e nero e d'altronde è stato scritto nel 1946 e quindi invio la recensione scrivendo a macchina.
Si tratta di CHI AMA,ODIA di Bioy Casares, Silvina Ocampo, Garzanti 1988 dalla cui controcopertina :

Gli elementi fondamentali del poliziesco classico ricorrono puntualmente in questo libro: un luogo inaccessibile e isolato ove avviene un delitto, come nella migliore tradizione inglese; un investigatore/narratore, forse un po' tronfio come suoi colleghi, e non sempre all'altezza della situazione; la contrapposizione tra il detective e la polizia, ufficialmente incaricata di risolvere il caso; e, pure, il voler sottolineare che la vicenda di cui si narra è, in realtà, soprattutto la registrazione fedele d'un brano di vita vissuta, come Agatha Christie insegna.
Nella fattispecie di Chi ama, odia il luogo è un'isolata stazione balneare della costa argentina, battuta dai venti dell'oceano, dove muore, avvelenata, una giovane traduttrice - guarda caso - di romanzi gialli; l'occasionale investigatore è un medico omeopatico, narratore dallo stile a volte fin troppo forbito; e non mancano poi i classici gioielli rubati...[...]

dolores
11-November-2011, 08:52
Grazie, zio Fred :)
I tuoi commenti li apprezzo sempre moltissimo, lo sai, anche (forse soprattutto) quelli fatti con la macchina da scrivere.;)
Please, rispolvera, rispolvera, rispolvera... :mrgreen:

zio fred
12-November-2011, 09:32
La Enciclopedia dolores del giallo è giunta dai padri fondatori alla evoluzione hard boiled e se vi fa piacere inserisco una riflessione prendendo spunto da PSICOANALISI IN GIALLO, Cortina ed.

Innanzi tutto ricordiamo che il giallo nasce con Poe in un periodo appena precedente i lavori di Freud. Da subito ha trattato della violenza delle passioni di cui ciascuno è potenzialmente vittima ed ha influenzato autori non propriamente gialli (Gadda, Sciascia, Durrenmatt) ma c’è chi rileva elementi gialli in Edipo re, Amleto, Delitto e castigo per non parlare dell’episodio di Susanna ed i vecchioni della Bibbia.
Inizialmente comunque il romanzo enigma si costruisce intorno al nucleo delitto-indagine-soluzione, con l’eroe detective che svela la verità. Le storie si basano su moventi di passioni, potere, denaro e l’investigatore è presentato come essere superiore intellettivamente, dal sapere ampio (si pensi a Holmes). Durante l’indagine corre pochi rischi, si muove poco, è spesso solo, si descrivono alcune bizzarrie per renderlo più umano, ha pochi rapporti coi criminali e non li stima. La soluzione è soprattutto cognitiva pur con qualche elemento di intuizione ma solo a corollario delle doti razionali.
La figura dell’investigatore di questo tipo può essere avvicinata alla figura dell’analista in epoca freudiana, un osservatore esterno che ricostruisce la storia con atteggiamento critico rispetto all’evidenza, fondando il suo sapere su un sistema interpretativo forte.
Ma come si sa Freud lavorando sui sogni identificò processi inconsci e come all’analista spetta l’interpretazione rendendo conscio l’inconscio così il nostro investigatore, pur razionalissimo come Poirot, deve mettere allo scoperto il peso di verità a volte intollerabili, la disperazione, lo stupore per l’emergere di lati oscuri in ogni persona. Le passioni dunque ci sono ma il detective/analista le padroneggia, le osserva con la lente ma lui ne è esente. Ammiriamo Poirot ma il thè lo andiamo a prendere da miss Marple, e comunque anche con questa amabile vecchietta mi terrei abbottonato sui fatti miei.

Poi la svolta.
“l’investigatore non vuole essere un erudito solutore di indovinelli alla Sherlock Holmes ma un tipo duro e scaltro, capace di tirar fuori il meglio da chi incontra, criminale, testimone innocente o cliente che sia” (Chandler, 1944). Come dice Eco questa affermazione sottolinea l’evoluzione verso il romanzo hard boiled dove si passa da un mondo in cui il paradigma era una relazione causa-effetti ad un paradigma in cui il detective più che risalire alle cause, provoca lui stesso effetti.
L’investigatore alla Marlowe non si limita a ricostruire le cause, anzi a volte non ricostruisce un bel niente, ma è immerso negli stessi luoghi, attorniato dagli stessi personaggi del delitto e sarà la sua presenza ad evidenziare elementi che resterebbe altrimenti segreti.
Nel romanzo hard boiled la violenza, l’azione, le passioni sono protagonisti, i personaggi sono numerosi e possono evolvere nel corso della storia. Nell’ambito della geometria del mistero ad una concezione metrica, euclidea ed ortogonale nel giallo classico a “scacchiera”, si oppone nel poliziesco hard boiled una concezione topologica e in una parola labirintica (Giovannoli, 2007).
Come dirà Wittgestein, il romanzo giallo hard boiled è pieno di calorie e vitamine mentali.

Quando l’enciclopedolores giungerà ai giorni nostri, potremo vedere l’introduzione di una terza via.

dolores
12-November-2011, 14:14
http://img2.libreriauniversitaria.it/BIT/002/9788804410027g.jpg

Un anfitrione misterioso, dieci persone convocate in modo enigmatico in una dimora isolata tutte destinate a morire perché tra loro si nasconde un assassino spietato. Questa è la trama di un romanzo celeberrimo “…e poi non rimase nessuno” di Agatha Christie, che con 110 milioni di copie è il giallo più venduto in assoluto e l’undicesimo libro nella classifica mondiale dei bestseller.
L’idea base è però stata completamente copiata dal misconosciuto “L’ospite invisibile” dei coniugi americani Gwen Bristow e Bruce Manning che scrissero il loro romanzo nel 1930 ben nove anni prima che uscisse il libro della Christie.

http://www6.dvd.it/locandine/media/l-ospite-invisibile-122026.jpg

La struttura di base e l’intreccio sono identici a parte la filastrocca del titolo originale che era “Dieci piccoli negri” (“Ten little niggers”), che si ricollega anche a Nigger Island al largo del Devon dove si svolge la storia, che poi fu cambiato in “Dieci piccoli indiani” (“Ten little indians”) e infine in “… e poi non rimase nessuno” (“And There Where None”), con il quale è ancora pubblicato negli USA, per non offendere la popolazione di colore.
“L’ospite invisibile” ha il torto di essere molto scarno e troppo schematico per suscitare davvero interesse, in quanto è rimasto solo a livello di bozza, di soggetto, mentre la Regina del giallo, sfruttando l’idea di base, riesce a dare sostanza e suspense alla vicenda.
Il successo di "Dieci piccoli indiani" fu amplificato anche dalla splendida prima versione cinematografica girata nel 1945 dal grande René Clair.

http://t1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQhu94yTvnBmrD_Kkn98vYpn_heGdTNQ QhzBoLQFSQ8d5oUKxpTOIxu0MdL

Chomsky
12-November-2011, 16:16
Ottimo spunto zio fred, che mi fornisce l'occasione di anticipare qualche appunto del diario di famiglia del romanzo giallo. Prima però vorrei soffermarmi sulla figura del detective, questo demiurgo che riesce a portare la luce dove sono le tenebre, il raziocinio dove regna la confusione totale, l'intelligenza dove ogni domanda resta senza risposta. La capacità mitopoietica del giallo è infinita perché, come scrisse Mircea Eliade "I miti del romanzo poliziesco soddisfano le nostalgie segrete dell'uomo moderno che, sapendosi decaduto e limitato, sogna di rivelarsi un giorno un personaggio eccezionale, un eroe..." .
Questo eroe viene analizzato da H.W.Auden ne "La parrocchia del delitto" in questo modo:
"I detective del tutto soddisfacenti sono rari. Di fatto ne conosco solo tre: Sherlock Holmes (Conan Doyle), l'Ispettore French (Freeman Wills Croft) e padre Brown (Chesterton).
Compito del detective è ristabilire quello stato di grazia di quando l'estetica e l'etica non erano in contrapposizione. Come l'individuo che ha causato la scissione tra queste due sfere è esteticamente provocante, il suo avversario -il detective- dovrà essere o il rappresentante ufficiale dell'etica, oppure un individuo d'eecezione lui stesso in stato di grazia. Nel primo caso è un professionista, nel secondo un dilettante. In entrambi i casi, comunque, dev'essere un personaggio estraneo alla vicenda e che non potrebbe essere assolutamente implicato nell'omicidio. Ciò esclude la polizia locale e, a mio parere, dovrebbe anche escludere ogni detective amico di qualche indiziato. [...]
I detective dilettanti dal canto loro ci deludono. Personaggi come Lord Wimsey o Philo Vance sono superuomini presuontuosi, motivati solo dal loro personale capriccio, oppure come i detective dei romanzi hard boiled, sono mossi dalal cupidigia o dall'ambizione, per cui potrebbero benissimo essere loro stessi dei delinquenti. [...]
Holmes e French possono essere d'aiuto all'assassino solo in veste di maestri; gli insegnano cioè che il delitto verrà scoperto e non paga. Non possono fare di più perché nessuno dei due sa cosa sia la tentazione del crimine. Holmes perché è troppo dotato e French troppo ligio alla virtù. Padre Brown invece va oltre e fornisce all'assassino l'esempio di un uomo che ha conosciuto la tentazione del delitto ma che, grazie alla fede, è riuscito a resistere."

Chomsky
12-November-2011, 16:22
I rapporti tra romanzo giallo e psicoanalisi sono molto più forti e complessi di quanto generalmente si pensi. Sia il detective che lo psiocanalista sono figure fondamentali di un secolo, l'Ottocento e di una corrente culturale, il Positivismo che ebbero come stella polare il raziocino, l'adorazione per la logica e l'esaltazione della ricerca scientifica. Nato ufficialmente nel 1841 con un racconto di Edgar Allan Poe il genere poliziesco o di detection si caratterizza immediatamente per la contrapposizione tra l'oscuro e il violento delitto che scuote la quotidianità e il rigido, geometrico metodo scientifico che risolve il caso e riporta la pace sociale e, se vogliamo vedere in controluce questi fattori, constatiamo lo scontro tra Romanticismo e Positivismo, le correnti culturali prevalenti del secolo.
Poe ci offre pochissime notizie del suo investigatore. Dice solo che “Era, questo giovane gentiluomo, di buona anzi illustre famiglia” che per una serie di disgrazie si era ridotto in povertà, il cui unico lusso erano i libri. In tal modo tutta l'attenzione viene rivolta alle sue capacità analitiche e deduttive che mette subito in luce con una spettacolare comprensione dei meccanismi mentali del suo sbalordito compagno d'avventura e che, in un certo senso, preparano la strada a Sigmund Freud e alla psicoanalisi. Per il critico John C. Cawelti “La grande differenza sta nel fatto che, mentre la soluzione del detective proietta sempre su un personaggio esterno, il metodo freudiano mette a nudo i conflitti della nostra mente.” (Adventure, mystery and romance. 1976).
Non a caso, per sottolineare questa stretta discendenza, nel romanzo “La soluzione sette per cento” scritto nel 1974 da Nicholas Meyer, Sherlock Holmes si confronta proprio con il padre della psiocanalisi.
Come scrive sempre Cawelti “Il detective interviene e dimostra che il sospetto generale è ingiustificato. Egli dimostra che l'ordine sociale non è responsabile del crimine, che è invece responsabilità di un singolo e dei suoi privati moventi” (op. cit)
In tale prospettiva siamo di fronte al lieto fine che riporta la pace in un universo che pareva posto sottosopra dal delitto. Possiamo così affermare che il detective assume una funzione demiurgica, sacrale e stabilizzatrice in un mondo alla deriva.
“Gli assassinii della Via Morgue” è sicuramente il racconto di Poe più analizzato, lo hanno psicanalizzato Freud e Marie Bonaparte, singolare figura di psicoanalista, amica di Freud, diretta discendente di Napoleone e principessa di Grecia e di Danimarca, autrice anche di una biografia dello scrittore americano in cui conclude che forse il giovanissimo Poe vide la madre con un amante che anni dopo trasferì nel “ feroce scimmione quegli istinti aggressivi e bestiali, che nell'ottica primitiva del bambino dominano il suo concetto sempre sadico dell'atto sessuale”. La biografia del grande scrittore americano scritta da Marie Bonaparte si intitola "Edgar Allan Poe: studio psicoanalitico" e si suddivide in due parti:
1: La vita e l'opera poetica. I racconti: il ciclo della madre morta-vivente e il ciclo della madre paesaggio e
2: La confessione dell'impotente; il ciclo della madre assassinata; il ciclo della rivolta contro il padre; il conflitto con la coscienza; il ciclo della passività verso il padre; Poe e l'anima umana.
Nel 1955 Jacques Lacan gli ha dedicato un celebre seminario che è alla base della sua scuola di psicanalisi che è contenuto in "Scritti" pubblicato da Einaudi nel 1995 , e Jacques Derrida ha scritto un saggio per criticare le interpretazioni di Lacan. A capire meglio cosa lega i due ambienti così distanti ci aiuta la psicoanalista Silvia Vegetti Finzi nel sua splendida “Storia della psicoanalisi” pubblicata da Mondadori nel 1986.
“In questa prima fase, Freud non disdegna di interrogare i “fatti”, di interrogare i testimoni, di confrontare i ricordi del soggetto con quelli dei familiari. Ma se tale è il procedere della ricostruzione (che non sarà mai abbandonato) ben diverso è quello della costruzione, che compare in un saggio straordinario “Costruzioni in analisi” del 1937 al culmine di una intensa rielaborazione teorica. Si tratta, in primo luogo, di “ricercare le tracce”, di un metodo poliziesco dunque che ci evoca immediatamente il personaggio letterario di Sherlock Holmes, il detective inglese creato da Arthur Conan Doyle, famoso per la sua abilità nello scoprire l'autore del delitto sulla base di indizi (orme, tracce, segni) impercettibili ai più. Sappiamo poi che conosceva i lavori di un critico d'arte italiano, un certo Morelli, che proprio negli anni della “gestazione analitica” , proponeva un metodo per l'attribuzione delle opere iconografiche, distinguendo con sicurezza le imitazioni dall'originale. “Egli era giunto a questo risultato, scrive lo stesso Freud, prescindendo dall'impressione generale e dai tratti fondamentali del dipinto, sottolineando l'importanza caratteristica dei dettagli secondari, di particolari secondari come la conformazione delle unghie, dei lobi auricolari, dell'aureola e di altri elementi che passano di solito inosservati...”. In tutti e tre i casi, dell'analista, del poliziotto e del critico d'arte, tracce magari infinitesimali consentono di cogliere una realtà profonda, altrimenti intangibile. Si tratta di sintomi, nel caso di Sigmund Freud, di indizi in quello di Sherlock Holmes e di segni (pittorici) per Morelli. Le caratteristiche di queste discipline indiziarie sembrano:
1) l'essere basate sulla decifrazione dei segni; 2) avere per oggetto casi, situazioni documenti individuali, “in quanto individuali; 3) raggiungere una conoscenza implicante un margine ineliminabile di aleatorietà, di congettura.”
Ecco dunque il tratto unificante e predominante dei due campi di indagine, la semiologia, la conoscenza e l'interpretazione dei segni e la semeiotica, la disciplina che studia i sintomi clinici. Con questo bagaglio di conoscenze specifiche, il cavaliere Auguste Dupin, protagonista del racconto di Poe, stupisce il narratore ripercorrendo a ritroso i suoi pensieri, aiutato solo dai movimenti corporali e dagli sguardi alla luna del suo amico durante una passeggiata notturna. Allo stesso modo Sherlock Holmes capisce ciò che pensa il suo aiutante Watson dalle espressioni facciali e dai suoi mormorii e similmente l'analista penetra la psiche del paziente studiando i tic, le dimenticanze e gli errori come nel celebre saggio di Freud “Psicopatologia della vita quotidiana”, pubblicato nel 1901.
Tutte queste suggestioni culturali e scientifiche fanno da sfondo al giallo di Caleb Carr “L'alienista” che ha come protagonista Laszlo Kreizler, un famoso alienista che ricorda il grande psicoanalista ungherese Sándor Ferenczi. Fino al ventesimo secolo coloro che soffrivano di disturbi mentali erano definiti alienati e gli esperti che studiavano le patologie mentali erano dunque noti con il nome di alienisti.
Ambientato a New York nel 1896 il romanzo narra delle indagini sui raccapriccianti omicidi che scuotono i bassifondi più loschi della metropoli americana. Chiamato dal commissario della polizia distrettuale e futuro presidente americano Theodore Roosevelt a risolvere il caso, il dottor Kreizler si avvale delle più particolari e avveniristiche tecniche di indagini, come le impronte digitali e, appunto, la psicoanalisi. Per riuscire nell'ardua impresa, “l'alienista” dovrà superare gli ostacoli creati dalla malavita e dall'ostilità per la novità dell'inchiesta e per catturare l'assassino dovrà riuscire a sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda della sua mente perversa.
Il merito più grande di Carr è quello di aver inserito un plot poliziesco originale in un contesto splendidamente caratterizzato e rispondente ad ogni dettaglio storico.
A questo splendido giallo ha fatto seguito “L'angelo delle tenebre” in cui Kreizler indaga sul rapimento della figlia di un diplomatico spagnolo all'uscita del Metropolitan Museum. Sullo sfondo di questo crimine si scoprono oscuri interessi politici influenzati dalle tensioni tra Spagna e Stati Uniti che porteranno alla guerra di Cuba.
Il fascino della New York di fine Ottocento cesellato con maestria da Caleb Carr non ha proprio niente da invidiare alla nebbiosa Londra, terreno di caccia preferito da Sherlock Holmes.

Chomsky
12-November-2011, 16:23
Che la scienza medica e il giallo abbiano profondi legami è attestato anche dal fatto che il modello su cui Arthur Conan Doyle sviluppò l'immortale personaggio di Sherlock Holmes fu il suo professore di Medicina all'Università di Edimburgo Joseph Bell. L'occhio clinico che permetteva al medico di capire istantaneamente di quale malattia soffrisse il paziente fu trasfusa nel metodo deduttivo caratteristico del segugio londinese.
Riguardo a Edgar Allan Poe, nel suo primo capolavoro giallo "Gli assassinii della via Morgue" Auguste Dupin primo investigatore della storia del Giallo, passeggia con il narratore ed ad un certo punto dopo diversi minuti di silenzio parla seguendo esattamente i pensieri dell'amico decifrando ogni suo sguardo e ogni sua smorfia, delineando la traiettoria delle sue riflessioni:
"Non si deve pensare, da quanto ho detto, che io stia rivelando un mistero o costruendo un romanzo. Quello che ho descritto in questo francese era soltanto il risultato, l'effetto di un'intelligenza eccitata e forse ammalata. Ma un esempio varrà meglio di ogni altra cosa ad illustrarvi la natura delle sue osservazioni nei momenti ai quali ho accennato.
Passeggiavamo una notte per una lunga strada sudicia nelle vicinanze del Palais Royal. Immersi entrambi nei nostri pensieri, non avevamo profferito sillaba da almeno un quarto d'ora.
All'improvviso Dupin ruppe il silenzio con queste parole:
"E' davvero molto piccolo, e sarebbe più adatto per il Théâtre des Variétés".
"Non c'è dubbio," risposi meccanicamente, non rendendomi conto al primo momento (tanto ero preso dalle mie riflessioni) della straordinaria esattezza con cui il mio interlocutore si era riagganciato al filo delle mie meditazioni. Me ne sovvenni un istante dopo, e il mio sbalordimento fu profondo.
"Dupin," dissi, gravemente, "questo è più di quanto riesca a capire. Devo ammettere che mi avete sbalordito, e sono quasi tentato di non credere ai miei sensi. Come avete potuto indovinare che stavo pensando a...?" E qui m'interruppi, per accertarmi definitivamente se sapesse davvero a chi stavo pensando.
"... a Chantilly," finì Dupin, "ma perché v'interrompete? Stavate rilevando fra di voi che la sua bassa statura lo rende inadatto a recitare tragedie".
E questo era stato per l'appunto l'oggetto delle mie riflessioni.
Chantilly era un ex-ciabattino della Rue St.-Denis, il quale, pazzo per il teatro, si era cimentato nel ' rôle ' di Serse, nell'omonima tragedia di Crébillon, e i suoi sforzi erano stati oggetto di scherno generale.
"Ditemi, per amor del cielo," esclamai, "quale metodo - se pure metodo c'è - vi ha permesso di scandagliare il mio pensiero su questo argomento".
Effettivamente ero anche più sorpreso di quanto fossi disposto ad ammettere.
"E' stato il fruttivendolo," rispose il mio amico, "a portarvi alla conclusione che quel rappezza-suole non aveva statura sufficiente per Serse et id genus omne".
"Il fruttivendolo!... Mi stupite... Non conosco nessun fruttivendolo".
"L'uomo che vi ha urtato quando abbiamo imboccato questa strada...
sarà circa un quarto d'ora fa".
Mi ricordai infatti che un fruttivendolo, che reggeva sul capo un enorme cesto di mele, mi aveva quasi buttato per terra, per sbaglio, mentre passavamo dalla Rue C... nella via dove adesso ci trovavamo; ma che cosa avesse a che vedere questo con Chantilly proprio non mi riusciva di capire. Non c'era un briciolo di ' charlatanerie ' in Dupin.
"Ora vi spiegherò," mi disse, "e perché possiate capire ogni cosa con chiarezza, cominceremo col riesaminare l'ordine di successione dei vostri pensieri dal momento in cui vi ho parlato fino a quello della ' rencontre ' col fruttivendolo in questione. Gli anelli principali di questa catena si saldano in questa successione:
Chantilly, Orion, Dottor Nichols, Epicuro, la stereotomia, il selciato, il fruttivendolo".
Sono poche le persone che non si siano divertite, in qualche periodo della loro vita, a ripercorrere i passi compiuti dalla loro mente per arrivare a certe determinate conclusioni. E' un'occupazione che ha in sé molti motivi di interesse; e colui che l'esperimenta per la prima volta si stupisce dell'incoerenza e della distanza, apparentemente incolmabile, che corre tra il punto di partenza e quello d'arrivo. Quale non fu dunque la mia meraviglia quando mi sentii dire dal francese quel che vi ho riportato e quando fui costretto a riconoscere che le sue parole corrispondevano a verità. Dupin continuò:
"Avevamo parlato di cavalli, se ben ricordo, prima di lasciare la Rue C... Fu questo il nostro ultimo argomento. Mentre attraversavamo la strada per imboccare questa via, un fruttivendolo con una grande cesta in bilico sul capo, superandoci di gran fretta, vi spinse sopra un mucchio di pietre da pavimentazione accatastate in un punto in cui il marciapiede è in riparazione. Siete inciampato in una delle pietre sparse all'intorno, siete scivolato storcendovi leggermente la caviglia, avete assunto un'aria seccata o perlomeno rannuvolata, avete borbottato qualche parola, vi siete voltato indietro a guardare il mucchio di sassi e poi avete ripreso a camminare in silenzio. Non prestavo soverchia attenzione a quanto facevate; ma ultimamente l'osservazione è diventata per me una specie di mania.
"Avete tenuto abbassati gli occhi per terra, lanciando sguardi indispettiti alle buche e ai solchi del marciapiede (per cui conclusi che stavate ancora pensando alle pietre), finché giungemmo al vicoletto Lamartine, che è stato lastricato in via sperimentale con dei blocchi saldati e sovrapposti. Qui notai che il vostro viso si rasserenava e da un movimento delle vostre labbra mi convinsi che stavate mormorando la parola 'stereotomia' termine che si applica con una certa affettazione a questo tipo di lastricato. Sapevo che non avreste potuto pronunciare tra voi il vocabolo 'stereotomia' senza essere portato a pensare agli atomi e di conseguenza alla teoria di Epicuro; e poiché quando discutemmo questo argomento non molto tempo fa vi accennai al fatto davvero singolare, anche se praticamente ignorato, che le vaghe ipotesi di questo illustre greco fossero state confermate dalla più recente cosmogonia nebulare, mi parve che non avreste potuto fare a meno di alzare gli occhi verso la grande nebulosa d'Orione e mi apprestai con una certa sicurezza a vedervelo fare. Voi guardaste in alto; e fui allora certo di aver seguito esattamente il corso del vostro pensiero. Ma in quella spietata ' tirade ' contro Chantilly, pubblicata ieri sul ' Musée ' l'articolista, alludendo ironico e malevolo al cambiamento di nome del calzolaio all'atto di calzare il coturno, citò un verso latino sul quale abbiamo sovente discusso. Mi riferisco a quel verso che dice:
Perdidit antiquum litera prima sonum.
"Vi avevo spiegato che questo si riferiva a Orione, che in passato si scriveva Urione; e per certe particolarità pungenti connesse alla spiegazione ero certo che non l'avreste dimenticato. Era evidente perciò che non avreste mancato di riaccostare le due idee di Orione e Chantilly. E che effettivamente le associaste lo capii dalla natura del sorriso che vi aleggiò sulle labbra. Pensavate al sacrificio del povero ciabattino. Fino allora avevate camminato tutto ricurvo ma ora notai che vi erigevate in tutta la vostra statura. Fui certo a questo punto che stavate riflettendo sull'altezza di Chantilly. Fu allora che interruppi il corso dei vostri pensieri per osservare che era proprio un omino, quel Chantilly, e che avrebbe figurato meglio al Théâtre des Variétés".
http://digilander.libero.it/davis2/lezioni/letteratura/ (http://digilander.libero.it/davis2/lezioni/letteratura/moderna/I delitti della rue morgue.htm)

Chomsky
12-November-2011, 16:24
Ecco qui invece un esempio del ragionamento di Sigmund Freud sulla dimenticanza di un nome che ricalca alla perfezione il flusso logico illustrato dal Cavaliere Auguste Dupin:
"Inserisco qui ancora un esempio di dimenticanza di un nome
di città, che forse non è cosi semplice come quelli precedenti [vedi
sopra i NN. 1 e 3] ma che apparirà plausibile e prezioso a chiunque
abbia dimestichezza con questo genere di ricerche. Si tratta del nome
di una città italiana, che si sottrae alla memoria a motivo della sua
forte somiglianza fonetica con un nome femminile di persona al
quale si ricollegano numerosi ricordi affettivi, non certo esaurientemente
descritti nella comunicazione. Sàndor Ferenczi di Budapest,
che osservò questo caso di dimenticanza su sé stesso, lo trattò cosi
come si analizza un sogno 0 un'idea nevrotica, e sicuramente con
ragione.
"Oggi mi trovavo presso una famiglia amica; si venne a parlare delle
città dell'Alta Italia. Qualcuno dice che in queste città ancora si riconosce l'influsso austriaco.
Se ne citano alcune; anch'io ne voglio
nominare una ma il suo nome non mi viene in mente anche se so
di avervi trascorso due giorni molto gradevoli, il che non si accorda
bene con la teoria di Freud sulla dimenticanza. Invece del nome di
città cercato mi si affacciano le seguenti associazioni: Capua, Brescia,
II leone di Brescia.
"Mi vedo davanti questo 'leone' realisticamente come statua di
marmo, ma mi accorgo subito che assomiglia non tanto al leone
del monumento alla liberazione, che si trova a Brescia e che ho visto
soltanto in immagine, quanto piuttosto a quell'altro leone marmoreo
da me veduto nel monumento in memoria delle guardie
svizzere cadute alle Tuileries che si trova a Lucerna, e di cui ho una
riproduzione in miniatura sullo scaffale dei miei libri. Infine riesco
a ricordare il nome cercato: è Verona.
"So anche immediatamente chi porta colpa di questa amnesia. Non
è altri che un'ex cameriera della famiglia presso la quale mi trovo in
visita. Si chiamava Veronica, in ungherese Verona, e mi era antipaticissima
a causa della sua fisionomia ripugnante, la sua voce roca
e stridula e la sua urtante confidenzialità (alla quale si riteneva autorizzata
in virtù dei suoi molti anni di servizio presso la famiglia).
Anche il modo dispotico con cui a suo tempo trattava i bambini di
casa mi era insopportabile. Ed ora sapevo anche che cosa significassero
le parole sostitutive.
"Con Capua associo immediatamente caput mortuum; molto
spesso paragonavo la testa di Veronica a un teschio. La parola ungherese
kapzsi (avido di danaro) forniva certamente un'altra determinazione
per lo spostamento. Naturalmente trovo anche le vie associative
più dirette che collegano fra di loro Capua e Verona in quanto
concetti geografici e parole italiane di uguale cadenza.1
"Lo stesso vale per Brescia; ma anche qui si trovano intricate vie
secondarie del nesso ideativo.
"La mia antipatia era a suo tempo cosi violenta da farmi apparire Veronica addirittura rivoltante,
ed espressi più volte la mia sorpresa
che essa potesse tuttavia avere una sua vita erotica e potesse
essere amata. 'Baciarla — dicevo — deve muovere il vomito.'2
Ciò non toglie che essa era certamente da lungo tempo in connessione
con l'idea delle guardie svizzere cadute.
"Almeno qui da noi in Ungheria si usa nominare spesso Brescia
non in connessione con il leone ma con un altro animale feroce. Il
nome più odiato in questo paese come anche in Alta Italia è quello
del generale Haynau, chiamato la 'iena di Brescia'. Dall'odiato despota
Haynau vi è quindi un filo conduttore che, attraverso Brescia,
conduce alla città di Verona; un altro filo conduttore, attraverso
l'idea dell'animale dalla voce roca che s'aggira attorno alla tombe
(che concorre a far affiorare il monumento in memoria dei morti),
va al teschio e alle spiacevoli corde vocali di Veronica, dal mio inconscio
insultata cosi gravemente e che a suo tempo infieriva in
questa casa in modo quasi altrettanto dispotico del generale austriaco
nelle lotte per la libertà degli ungheresi e degli italiani.
"A Lucerna si riconnette il pensiero di quell'estate che Veronica
passò coi suoi padroni al Lago dei Quattro Cantoni, nelle vicinanze
di Lucerna; alle guardie svizzere, il ricordo di quando essa riusciva a
tiranneggiare non solo i bambini ma anche i membri adulti della
famiglia, compiacendosi di fare la parte della Garde-Dame [vecchia
governante].
"Noto espressamente che la mia antipatia — conscia — per Veronica
fa parte delle cose da gran tempo superate. Veronica nel frattempo
è cambiata molto vantaggiosamente tanto nell'aspetto quanto
nelle maniere e, nelle rare occasioni che ho, posso incontrarmi con
lei con sincera affabilità. Il mio inconscio, come al solito, conserva
le impressioni con maggiore tenacia; è 'retrospettivo' e 'vendicativo'.
"Le Tuileries sono un'allusione a una seconda persona, una signora
francese piuttosto anziana che effettivamente faceva da guardia in
molte occasioni alle donne di casa e che dai piccoli e dai grandi
veniva stimata e, un pochino, anche temuta. Fui suo élève [allievo]
di conversazione francese per un certo tempo. A proposito della
parola élève, mi viene ancora in mente che quando fui in visita
presso il cognato del mio odierno anfitrione, nella Boemia settentrionale,
trovai molto divertente che la popolazione rurale del luogo
chiamasse Lòwen [leoni]3 gli allievi della locale Accademia forestale.
Può darsi che anche questo ricordo comico sia intervenuto nello spostamento
dalla iena al leone."
1 [Nella pronuncia ungherese.]
2 [In tedesco vomito = Brechreiz; confronta la prima sillaba con la prima sillaba di
Brescia.]
3 [La prima sillaba pronunciata approssimativamente in dialetto come la seconda sillaba di élèves.]
Da "Psicopatologia della vita quotidiana"(1901)
http://digidownload.libero.it/m_de_pasquale/Freud_Psico… (http://digidownload.libero.it/m_de_pasquale/Freud_Psicopatologia_vita_quotidiana.pdf)

zio fred
12-November-2011, 16:50
soccia! come direbbero a Bologna, che magnifico contributo!
speriamo solo di non far scappare tutti con questa botta di psico.....

dolores
12-November-2011, 21:08
Come ogni genere letterario di successo anche il giallo è stato analizzato e sviscerato in ogni suo aspetto per carpirne i suoi più segreti meccanismi interni.
Una delle disamine più serie e interessanti è sicuramente quella fatta dall’Oulipopo (acronimo di Ouvroir de littérature policière potentielle, che potremmo tradurre con “Laboratorio di letteratura poliziesca potenziale”) nato da una costola dell’Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle), gruppo di scrittori e letterati francesi volti a cercare uno sbocco diverso e particolare alla letteratura, ritenuta stagnante e non più interessante.
Tra i membri dell’Oulipo, che si definivano “topi che si costruiscono da sé il labirinto da cui tentano di uscire”, sono da annoverare Raymond Queneau che fu uno dei fondatori, Georges Perec, Marcel Duchamp e, unico tra gli italiani, Italo Calvino.
L’Oulipopo invece si propone di studiare le situazioni e i meccanismi del romanzo poliziesco e i modi usati per combinarli (Oulipopo analitico) e tutte le matrici potenzialmente utilizzabili ma ritenuti inservibili (Oulipopo sintetico). Il lavoro più stimolante pubblicato da questo particolarissimo opificio è senza dubbio l’indagine sulla struttura interna del giallo enigma classico che è stato identificata nella sequenza:
Preludio-> enigma-> inchiesta-> soluzione.

Secondo gli studi del francese Jean-Pierre Colin, l’universo narrativo poliziesco si fonda in genere su tre costanti: esiste un equilibrio sociale che ad un certo punto subisce una brusca cesura (il delitto, D). L’equilibrio interrotto viene ristabilito [R] grazie ad un’inchiesta, un’indagine intellettuale (I) e/o un’indagine materiale (M) che in genere è l’inseguimento del colpevole. La prima forma di indagine è tipica del giallo classico all’inglese o “Whodonit” mentre la seconda è caratteristica del romanzo nero americano l’”hard boiled”.
Lo schema tipico di questa forma di narrativa è di solito il seguente:
D------I-----------M---------R


http://3.bp.blogspot.com/_PTyixG6R1Ws/TTF2zeZOp2I/AAAAAAAAEJk/8E1fRMeSDFk/s1600/I_Bassotti_A.jpg


Nel giallo classico l’indagine intellettuale ha una parte preponderante, a volte addirittura esclusiva, spesso l’indagine materiale non esiste proprio, è uguale a zero, come in molti romanzi di Agatha Christie, Van Dine e Ellery Queen, per cui lo schema risulta il seguente:
D--------------I-------------------R. (M=0)
(Nei romanzi di Rex Stout invece c’è un sapiente dosaggio di queste due variabili dove l’indagine intellettuale (I) viene svolta da Nero Wolfe, auto-recluso in casa, mentre il compito di raccogliere prove e l’indagine materiale (M) è di stretta pertinenza di Archie Goodwin o di altri detective ingaggiati all’occorrenza come Saul Panzer).


http://stliq.com/c/ls/2/27/10821426_nuova-collana-polillo-editore-mastini-0.BMP


Nell’hard boiled succede il contrario, quasi non esiste indagine intellettuale, (I = 0) e tutto il romanzo si basa sull’inseguimento (M). In alcuni romanzi la rottura rappresentata dal delitto non avviene all’avvio della storia, ma è preceduta da un preludio, da un periodo d’attesa (A) che serve a creare nel lettore uno stato d’inquietudine crescente, di instillargli l’angosciosa premonizione che qualcosa di drammatico sta per accadere. Questo preludio è un’attesa principalmente psicologica che precede l’attesa logica rappresentata dall’indagine intellettuale o materiale del detective che inizia non appena il delitto viene scoperto. Lo schema di questi romanzi risulta quindi leggermente più complicato:
A-------D---------I-------M-------R dove I o M possono non esserci.

Un’altra differenza fondamentale tra giallo classico e hard boiled è costituita dal fatto che nel primo caso la soluzione dell’enigma ristabilisce gli equilibri preesistenti e una volta arrestato o individuato il reprobo la pace sociale viene restaurata e il lettore viene confortato nella sua percezione che il mondo è giusto e sano e che il misfatto è solo opera di uno scellerato.
Nell’hard boiled invece anche quando il malvagio viene catturato o ucciso, l’equilibrio sociale non viene ristabilito, il lettore non viene rasserenato e diventa consapevole che il mondo è marcio.
Quindi da una parte c’è la funzione consolatoria del giallo contrapposta alla problematicità verista del romanzo noir.

zio fred
13-November-2011, 20:46
ma dolores,
eri arrivata ad Agatha ed io avevo offerto una riflessione tra investigatore classico e la prima apparizione del detective hard boiled, anni ’40.
Poi vado un attimo a prendere le sigarette, torno e vedo che siamo arrivati di colpo all’ultima evoluzione del giallo moderno.
Ecco, i soliti giovani frettolosi! Stavo appena raccogliendo materiale per una mia seconda puntata che già è superata!

dolores
13-November-2011, 21:57
ma dolores,
eri arrivata ad Agatha ed io avevo offerto una riflessione tra investigatore classico e la prima apparizione del detective hard boiled, anni ’40.
Poi vado un attimo a prendere le sigarette, torno e vedo che siamo arrivati di colpo all’ultima evoluzione del giallo moderno.
Ecco, i soliti giovani frettolosi! Stavo appena raccogliendo materiale per una mia seconda puntata che già è superata!


Il bello è che si può tornare indietro... :lol:
Aspetto l'elaborazione del materiale che hai raccolto.
Però non sono una giovane frettolosa... sono una frettolosa di mezza età :mrgreen:

dolores
15-November-2011, 23:21
ma dolores,
eri arrivata ad Agatha ed io avevo offerto una riflessione tra investigatore classico e la prima apparizione del detective hard boiled, anni ’40.
Poi vado un attimo a prendere le sigarette, torno e vedo che siamo arrivati di colpo all’ultima evoluzione del giallo moderno.
Ecco, i soliti giovani frettolosi! Stavo appena raccogliendo materiale per una mia seconda puntata che già è superata!


zio fred, io sarò anche frettolosa, ma sono passati due giorni e di te non ci sono notizie... Le tue osservazioni sono così acute e interessanti che in qualsiasi punto tu voglia farle saranno sicuramente gradite :D
Io intanto proseguo.


L’ultima frontiera del romanzo giallo è quella indicata da Umberto Eco nelle sue “Postille al Nome della rosa”: “Sembra che il gruppo parigino dell’Oulipo abbia costruito di recente una matrice di tutte le possibili situazioni “gialle”, scoprendo che dev’essere ancora scritto un libro in cui l’assassino è il lettore”.

http://i.ebayimg.com/03/!Bkug,C!!Wk~$(KGrHqQOKkYEsmmLlje4BLYwNpFCrQ~~_35.J PG


Eco si riferisce al saggio “Qui est le colpable?” (“Chi è il colpevole?”), redatto da François Le Lionnais nel 1969 in cui vengono analizzati i vari possibili responsabili dei delitti dei gialli a partire dal primo (uno scimmione), al narratore (come in un celebre romanzo di Agatha Christie), all’editore del libro (come in una non specificata novella di Wodehouse). Alla fine del suo lavoro Le Lionnais lanciò la sua provocazione dicendo di aver trovato una soluzione razionale (senza trucchi o mezzi soprannaturali) per rendere colpevole il lettore.
La sfida fu raccolta per primo dal giallista inglese Peter Lovesey che nel suo racconto “Youdunnit” (che è diventato anche il marchio di fabbrica di questo particolarissimo genere) riesce nell’impossibile compito. Un anno dopo Jean-Louis Bally nel suo “La dispersion des cendres” trova un originale intreccio per assolvere l’assunto, immaginando un autore che, scrivendo un giallo destina tutti i diritti d’autore ad un fondo segreto che una volta raggiunta una certa cifra paga un killer per assassinare lo scrittore. Max Dorra nel 1999 scrisse lo “youdunnit” “Vous permettez que vous dise tue?” pubblicato anche in inglese con il titolo “You Shalt Kill”. Questo fatto stimolò ancora Peter Lovesey che ingelosito dal successo del francese scrisse “Assassinando Max” in cui per la prima volta un giallista ne uccide un altro. Questo gustosissimo racconto è presente nella raccolta “Lo strangolatore di Sedgemoor” pubblicato nel 2003 nella collana Supergiallo Mondadori.
Alla serie di autori “youdunnit” si deve aggiungere anche l’italiano Raoul Montanari, che nel romanzo “Sei tu l’assassino” del 1997 (che cita nel titolo un racconto di Poe) sottotitolato “l’ultimo giallo possibile” immagina che un redattore di una casa editrice venga ucciso dalla scarica elettrica partita da un computer. Le indagini portano alla scoperta che la vittima lavorava al progetto di un libro interattivo e, per chiudere il cerchio, che la casa editrice è la “Marcos y Marcos”, la stessa che pubblica nella realtà il romanzo. Alla fine il lettore scopre che il meccanismo omicida parte proprio dalla sua mano.

zio fred
15-November-2011, 23:47
[QUOTE=dolores;2453]zio fred sono passati due giorni e di te non ci sono notizie...

notizie? se ti riferisci al seguito che avevo in mente mi permetterai di ritenerlo ormai superato.
Procedi pure tranquillamente, ti seguo con interesse nel tuo raccontare e quando avrò da dire qualcosa lo farò con piacere.
Ma il forum offre ormai molti spunti interessanti ( es. quello sul teatro) e quindi svolazzo qua e là come una libellula, peraltro spesso notturna.

dolores
16-November-2011, 00:42
La voglia di cercare nuove strutture narrative per il romanzo poliziesco non è tipica solo dei surrealisti, dei cultori della patafisica, degli sperimentatori o degli autori postmoderni contemporanei ma anche i protagonisti dell’epoca d’oro si divertirono a creare un canovaccio che uscisse dagli schemi soliti del canone giallo. Uno di questi tentativi è “L’ammiraglio alla deriva” scritto da alcuni membri del Detection Club nel 1930.
Il Detection Club è un’associazione di scrittori di romanzi polizieschi fondata a Londra nel 1931 e da allora ha riunito i più grandi esponenti della letteratura gialla a partire dal primo presidente G.K. Chesterton. Tra gli altri presidenti di questo prestigioso club ci sono state grandi personalità come Dorothy L. Sayers e Agatha Christie che lo guidò per 20 anni, dal 1956 al 1976.
“L’ammiraglio alla deriva” è il primo esperimento di giallo collettivo, scritto a più mani dai maggiori giallisti dell’epoca tra i quali oltre ai citati figurano anche Henry Wade, Anthony Berkeley, John Rhode e Freeman Wills Croft.


http://t1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcS7yBtm56aIWgZhuwclppiSO1ToQmp0o WO5Dx4lncD4RheL-4BPTDeK4l9Z5A


Il romanzo è stato pianificato facendo scrivere un capitolo ad ogni autore tenendo conto di due regole base. Ogni scrittore doveva scrivere avendo in mente la sua soluzione definitiva e doveva spiegare ogni indizio comparso nella narrazione. Alla fine del libro compaiono le diverse soluzioni prospettate dagli autori per avere chiare le linee guida dell’intreccio.
Nato come un gioco, “L’ammiraglio alla deriva” non riesce a prendere quota e annoia per l’estremo groviglio di indizi fuorvianti ma l’idea di base resta suggestiva e nel complesso è un giallo che non sfigura nei confronti dei più interessanti dell’epoca.

dolores
16-November-2011, 10:38
Il “giallo italiano” nasce in ritardo rispetto alle altre letterature che tra la seconda parte dell’Ottocento e i primi del Novecento alimentano i voraci lettori del genere con tantissimi romanzi polizieschi di qualità e di successo molto vari.
Rimane isolata la lezione di Emilio De Marchi (1851-1901), membro della Scapigliatura milanese e autore di romanzi come "Demetrio Pianelli", "Arabella" e "Giacomo l’idealista".

http://t1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcT4VzD6vNSL6-hO-5F4-f9szgLA1cQ5kUY-WazAjJp967AC2dCPX7M3X8Lv

Nel suo romanzo “Il cappello del prete” (1888), uno dei primissimi, se non il primo vero “giallo” italiano, che uno dei maggiori esperti italiani - Raffaele Crovi - ha definito “il proto-thriller italiano”, De Marchi utilizza la tecnica verista della simbiosi lingua-dialetto e mette in primo piano una serrata inchiesta di coscienza che avviene nel colpevole, che lo porta alla fine a costituirsi alla giustizia: il barone napoletano Coriolano di Santafusca, ridotto all’indigenza da una vita sregolata e dispendiosa, dedita in particolare al gioco d’azzardo, trovatosi a dover pagare una scadenza finanziaria e non potendo tollerare l’idea della miseria e del disonore ricorre al delitto uccidendo un facoltoso prete per impossessarsi del suo patrimonio. Il delitto, preparato a freddo, sembrerebbe perfetto ma il cappello del prete dimenticato sul luogo del delitto mette in moto due inchieste, una giudiziaria, che non porterebbe a nessun risultato se nell’animo del barone non si scatenasse un processo ossessivo e tenace che lo costringerà alla confessione del misfatto. Di questo romanzo nel 1970 fu tratta una pregevole versione televisiva diretta da Sandro Bolchi, con Luigi Vannucchi nei panni del barone Coriolano di Santafusca.

Tra le principali cause di una mancata scuola italiana del giallo molti critici pensano ci sia la mancanza di validi scrittori “professionisti” disposti a diventare validi “artigiani” del romanzo, come successe in tante altre nazioni. Neanche la nascita nel 1929 dei “Gialli Mondadori”, che diedero anche il nome con cui sono riconosciuti i libri polizieschi, riuscì a creare un gruppo di autori di un certo spessore.
Una spinta involontaria alla creazione di una scuola italiana venne da una disposizione del Regime Fascista. Il Ministero della Cultura Popolare, noto anche come Minculpop, impose infatti una quota di autori italiani per ogni collana pubblicata e ciò costrinse gli editori a cercare e quasi a “creare” una ventina di giallisti italiani.

http://l_oeil_de_lucien.blog.tiscali.it/files/2010/06/Mail0027varaldo1.JPG

Il primo ad essere pubblicato nei “Gialli Mondadori” fu nel 1931 il saggista e drammaturgo Alessandro Varaldo con “Il sette bello”. Varaldo tra il 1931 e il 1938 scrisse altri sette romanzi polizieschi tra cui ricordiamo “Le scarpette rosse”, “La gatta persiana” e “Il tesoro dei Borboni”, che hanno come protagonista il commissario romano Ascanio Bonichi che affronta situazioni che ricordano le atmofere create da Edgar Wallace, ricche di colpi di scena e di episodi misteriosi. Sulla scia di Attilio Varaldo si cimentano con il romanzo poliziesco anche altri scrittori di valore come Alessandro De Stefani, Ezio d’Errico e Tito A. Spagnol, personaggio singolarissimo, che fu giornalista prima di trasferirsi ad Hollywood dove collaborò anche con Frank Capra. Di Tito A. Spagnol che debuttò con “L’unghia del leone”, vale la pena di citare anche “La bambola insanguinata”.

http://www.romanzopoliziesco.it/images/p081_1_01.png

Tra i tantissimi romanzi pubblicati da Mondadori ci fu anche “L’anonima Roylott” di Guglielmo Giannini, drammaturgo, giornalista e uomo politico che nell’immediato dopoguerra fondò il partito “Fronte dell’Uomo Qualunque”, che ebbe una fortuna tanto travolgente quanto effimera.

sydbar
17-November-2011, 09:13
La Enciclopedia dolores del giallo è giunta dai padri fondatori alla evoluzione hard boiled e se vi fa piacere inserisco una riflessione prendendo spunto da PSICOANALISI IN GIALLO, Cortina ed.

Innanzi tutto ricordiamo che il giallo nasce con Poe in un periodo appena precedente i lavori di Freud. Da subito ha trattato della violenza delle passioni di cui ciascuno è potenzialmente vittima ed ha influenzato autori non propriamente gialli (Gadda, Sciascia, Durrenmatt) ma c’è chi rileva elementi gialli in Edipo re, Amleto, Delitto e castigo per non parlare dell’episodio di Susanna ed i vecchioni della Bibbia.
Inizialmente comunque il romanzo enigma si costruisce intorno al nucleo delitto-indagine-soluzione, con l’eroe detective che svela la verità. Le storie si basano su moventi di passioni, potere, denaro e l’investigatore è presentato come essere superiore intellettivamente, dal sapere ampio (si pensi a Holmes). Durante l’indagine corre pochi rischi, si muove poco, è spesso solo, si descrivono alcune bizzarrie per renderlo più umano, ha pochi rapporti coi criminali e non li stima. La soluzione è soprattutto cognitiva pur con qualche elemento di intuizione ma solo a corollario delle doti razionali.
La figura dell’investigatore di questo tipo può essere avvicinata alla figura dell’analista in epoca freudiana, un osservatore esterno che ricostruisce la storia con atteggiamento critico rispetto all’evidenza, fondando il suo sapere su un sistema interpretativo forte.
Ma come si sa Freud lavorando sui sogni identificò processi inconsci e come all’analista spetta l’interpretazione rendendo conscio l’inconscio così il nostro investigatore, pur razionalissimo come Poirot, deve mettere allo scoperto il peso di verità a volte intollerabili, la disperazione, lo stupore per l’emergere di lati oscuri in ogni persona. Le passioni dunque ci sono ma il detective/analista le padroneggia, le osserva con la lente ma lui ne è esente. Ammiriamo Poirot ma il thè lo andiamo a prendere da miss Marple, e comunque anche con questa amabile vecchietta mi terrei abbottonato sui fatti miei.

Poi la svolta.
“l’investigatore non vuole essere un erudito solutore di indovinelli alla Sherlock Holmes ma un tipo duro e scaltro, capace di tirar fuori il meglio da chi incontra, criminale, testimone innocente o cliente che sia” (Chandler, 1944). Come dice Eco questa affermazione sottolinea l’evoluzione verso il romanzo hard boiled dove si passa da un mondo in cui il paradigma era una relazione causa-effetti ad un paradigma in cui il detective più che risalire alle cause, provoca lui stesso effetti.
L’investigatore alla Marlowe non si limita a ricostruire le cause, anzi a volte non ricostruisce un bel niente, ma è immerso negli stessi luoghi, attorniato dagli stessi personaggi del delitto e sarà la sua presenza ad evidenziare elementi che resterebbe altrimenti segreti.
Nel romanzo hard boiled la violenza, l’azione, le passioni sono protagonisti, i personaggi sono numerosi e possono evolvere nel corso della storia. Nell’ambito della geometria del mistero ad una concezione metrica, euclidea ed ortogonale nel giallo classico a “scacchiera”, si oppone nel poliziesco hard boiled una concezione topologica e in una parola labirintica (Giovannoli, 2007).
Come dirà Wittgestein, il romanzo giallo hard boiled è pieno di calorie e vitamine mentali.

Quando l’enciclopedolores giungerà ai giorni nostri, potremo vedere l’introduzione di una terza via.


Zio Fred in tutta onestà, non ho mai letto nulla di così tanto interessante.
Sono davvero ammirato da quanto hai riportato estraendo da un'opera direi semplicemente grandiosa.
Ti quoto alla grande.
Con stima, Syd

zio fred
17-November-2011, 13:13
Zio Fred in tutta onestà, non ho mai letto nulla di così tanto interessante.
Sono davvero ammirato da quanto hai riportato estraendo da un'opera direi semplicemente grandiosa.
Ti quoto alla grande.
Con stima, Syd

grazie, mi sto gonfiando come la Rana di La Fontaine!
(però non dovevamo far sapere così a tutti che son tuo zio....)

dolores
18-November-2011, 10:17
Il panorama della letteratura poliziesca italiana del primo dopoguerra, a parte alcuni comprimari come Giorgio Spini con “La bottega delle meraviglie”, Renato Umbriani con “Il teschio d’argento” e Franco Vailati con “Il mistero dell’idrovolante” è dominato dalla figura di Augusto De Angelis nato a Roma nel 1888 e morto a Como nel 1944 in seguito ad un pestaggio da parte dei fascisti, affermava che “Il romanzo poliziesco è il frutto rosso di sangue della nostra epoca. E’ il frutto, il fiore, la pianta che il terreno poteva dare. Nulla è più vivo e aggressivo della morte oggi. Nel romanzo poliziesco tutto partecipa al movimento, al dinamismo contemporaneo”.

http://img3.webster.it/BIT/783/9788838917837g.jpg

De Angelis volle, come scrisse esplicitamente, fare un “romanzo poliziesco italiano perché da noi manca tutto, nella vita reale, per poter congegnare un romanzo poliziesco del tipo inglese o americano. E voleva scrivere dei libri polizieschi in cui le persone vivessero naturalmente, «in cui la vittima, il colpevole e il detective abbiamo muscoli, sangue, cuore e anima». Dei libri, allora, in sintonia con la vita e i lettori del tempo, i quali lettori, «afferrati dall’ingranaggio turbinoso di un’esistenza di lotta continua, immersi in una atmosfera di palpitazioni elettriche, di brividi meccanici, di rumori metallici», non sanno e non possono abbandonarsi a un’arte puramente contemplativa.

http://t1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSlpZ0WP7rIFZo-YPeOVevvhWzRUAqRx2BP5STyf_obj1863yciSQ

Il protagonista dei romanzi di De Angelis è il commissario De Vincenzi, un uomo molto bonario che ricorda l’umanità di Maigret e che agisce nell’atmosfera plumbea degli anni trenta, in cui ogni indagine deve sottostare al beneplacito politico e in cui tutto deve essere funzionale ai voleri della dittatura, tanto è vero che i colpevoli devono essere sempre stranieri e le ambientazioni devono essere all‘estero oppure in ambienti “viziosi“ come Cinecittà.

http://www.sellerio.it/upload/assets/files/841,it,696/1240-7.jpg

Il primo giallo di De Angelis è del 1936 - “L’albergo delle tre rose” - a cui seguono, tra gli altri, “Il candeliere a sette fiamme”, “Il mistero delle tre orchidee”, "La gondola della morte”, “Il mistero di Cinecittà” e “Sei donne e un libro“. Alcuni di questi libri sono stati ristampati da Sellerio nella meritoria collana “La memoria”. Negli anni settanta la Rai trasmise due serie di sceneggiati tratti dalle opere di De Angelis con Paolo Stoppa nel ruolo di Carlo De Vincenzi.

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcR0uQkzVX_i8QbfbvUN3TEOO8W_eqGL5 eE5_1MDROVdPN_hNHQT

Scrivere gialli diventa sempre più difficile e alla fine del 1941 il fascismo decreta la soppressione della letteratura gialla in seguito ad un banale episodio di cronaca nera: due studenti milanesi di buona famiglia compiono una maldestra rapina e malmenano una cameriera. Arrestati, i due sciagurati dichiararono di essere stati “esaltati” dalla lettura dei gialli. Mussolini proclama che quei libri rovinano la gioventù fascista e ne fa sospendere le pubblicazioni.
“Già non si potevano più tradurre gli inglesi, gli americani e i francesi - ricorda Alberto Tedeschi -, se avessimo potuto continuare con i nostri autori forse si sarebbe potuta creare una vera e propria scuola italiana del giallo".
Per dare un’idea di come fosse occhiuta la censura ancora prima del fattaccio che decretò la fine delle pubblicazioni, basta pensare al giallo di Agatha Christie “Assassinio sull’Orient Express” in cui, nella traduzione italiana, uno degli assassini, il commerciante italo-americano Antonio Foscarelli diventa banalmente un brasiliano e la vittima, il gangster dal chiaro cognome italiano Cassetti viene chiamato anonimamente O’Hara.

zio fred
18-November-2011, 12:16
Il commissario De Vincenzi appartiene alla galleria che apprezzo e credo di avere tutti i suoi libri.
Ricca ed interessante è l’introduzione di Roberto Pirani alla trilogia Sellerio dedicata al commissario De Vincenzi da cui traggo qesto spunto peraltro già sottolineato da dolores.
De Vincenzi da buon investigatore possiede la volontà di capire e quindi di portare luce al disordine oscuro del delitto, ma sa che ogni spiegazione sta nella psiche delle persone collegate ala vittima. Poiché è un creativo, poiché la sua sensibilità è quella del poeta De Vincenzi si muove per intuizioni, per illuminazioni , tutto il contrario dell’indagine analitico,-deduttiva del poliziesco all’inglese, che molti italiani ancora cercavano di imitare in quegli anni.
E scriveva precisamente:

"Io mi sono proposto di fare romanzi polizieschi in cui le persone vivano secondo natura, in cui la vittima, il colpevole, il detective abbiano muscoli sangue cuore anima.
Non nego che l’assenza di psicologia, la quale caratterizza quasi tutti i romanzi polizieschi stranieri, e la delineazione sommaria dei personaggi, la cui umanità quegli autori non introducono mai sotto pena di sfondarne l’orditura, riescano talvolta, per effetto della loro stessa indeterminatezza, ad essere suggestive. Ma io penso che questo appunto faccia sì che il lettore, appena terminato di leggere il libro, appena conosciuto il motto dell’enigma, si trovi immediatamente libero da quella suggestione e tutto dimentichi del libro perché non possono rimanere nel nostro spirito creature d’arte che non hanno spirito, che non hanno anima."

E’ significativo che questa via “psicologica” al giallo sia stata seguita dai tre maggiori scrittori italiani del periodo: De Angelis, D’Errico e Scerbanenco.

Ho anche scoperto dalla copertina di un mio libro che la figura del commissario De Vincenzi è stata portato sul piccolo schermo RAI negli anni 1974 ne 1977 da Paolo Stoppa, e peccato non aver visto quegli episodi.

http://s11.postimage.org/5bgf5i7mb/de_vincenzi.jpg (http://postimage.org/)
gif image hosting (http://postimage.org/)

dolores
18-November-2011, 12:32
Ho anche scoperto dalla copertina di un mio libro che la figura del commissario De Vincenzi è stata portato sul piccolo schermo RAI negli anni 1974 ne 1977 da Paolo Stoppa, e peccato non aver visto quegli episodi.


Dopo una breve ricerca su youtube, tutto quello che posso offrirti sono i titoli di testa...


http://www.youtube.com/watch?v=DAWNaGGEexw


... e quelli di coda.


http://www.youtube.com/watch?v=zrD1YawZdes

dolores
20-November-2011, 21:55
http://image.anobii.com/anobi/image_book.php?type=3&item_id=01adbc86ef50c69392&time=0

Nel 1924 con il Fascismo non ancora pienamente padrone della vita politica e sociale d’Italia, Roma fu scossa da una serie di rapimenti, stupri e omicidi di bambine che si protrassero per alcuni anni senza che la polizia potesse trovare il colpevole. Quando Mussolini impose di risolvere il caso a tutti i costi, alcuni indizi molto labili furono sfruttati per mettere in carcere un fotografo scapolo e dongiovanni Gino Girolimoni, che fu subito additato al pubblico ludibrio come “Il mostro di Roma”. Come era stato spettacolare l’arresto, il proscioglimento avvenuto anni dopo fu molto discreto e alla fine il vero colpevole, pur identificato come un prete protestante, non fu mai arrestato, mentre il povero Girolimoni passò alla storia come pedofilo, assassino e stupratore.
A questa vicenda fu dedicato un film di Damiano Damiani interpretato da Nino Manfredi e anche un romanzo giallo scritto da Lucio Trevisan intitolato “Il Mostro di Roma”. Questo periodo storico denso di violenza e oppressione ha ispirato Trevisan anche per un altro notevole giallo, “Il naso di Mussolini”, che ripercorre l’attentato dell’inglese Violet Gibson ai danni del Duce, che se la cavò solo con un graffio al naso. Entrambi i romanzi sono molto accurati e interessanti, a parte un anacronismo che parla di “Quinta colonna” in un libro ambientato nel 1926, quando la locuzione nacque durante la guerra civile spagnola del 1936. In entrambi i libri il protagonista è il commissario Pennetta, che non si piega ai voleri del Regime e tenta di capire e far trionfare la verità contro gli insabbiamenti e gli intrighi del potere.

http://www.sellerio.it/upload/assets/files/841,it,338/1680-7.jpg


Il ventennio Fascista ha affascinato anche Carlo Lucarelli che ha ambientato in questo periodo alcuni dei suoi più felici gialli come “Indagine non autorizzata”, “L’isola dell’angelo caduto”, “Carta bianca” e “L’estate torbida”.

http://www.lafeltrinelli.it/static/images-1/l/359/2234359.jpg

Corrado Augias ha invece deciso di descrivere nei suoi migliori gialli gli anni che hanno immediatamente preceduto la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922. “Quel treno da Vienna”, Il fazzoletto azzurro” e “L’ultima primavera”, che hanno per protagonista Giovanni Sperelli, fratellastro dell’eroe decadente dannunziano Andrea Sperelli, colpiscono per l’accuratezza della ricostruzione storica e per una nostalgia non certo nascosta per quel periodo di libertà e spensieratezza destinata a finire per sempre. In “Quella mattina di luglio” invece Augias ci porta proprio nel momento della caduta del Fascismo, il 25 luglio del 1943 quando tutto si dissolve ma un caparbio commissario di polizia, Flaminio Prati, non si rassegna alla sensazione di crollo della legalità e fa luce sull’omicidio di una ragazza.

http://media.hoepli.it/hoepli/Libro/MARROCU-LUCIANO/FAULAS/9788864290188.jpeg


E’ ambientato in Etiopia subito dopo il fallito attentato al viceré Graziani nel 1937 e alla successiva sanguinosissima rappresaglia il singolare “Debrà Libanos” di Luciano Marrocu, in cui due funzionari dell’Ovra indagano sull’assassinio di un giovane ufficiale e irriducibile donnaiolo mentre i soldati italiani si abbandonavano alla vendetta e al massacro. Marrocu ha ambientato anche un altro libro, “Faulas”, in quel torno di tempo e negli oscuri complotti nei palazzi del potere fascista.
“E trentuno con la morte…” di Giulio Leoni, ci porta invece all’epoca della velleitaria occupazione di Fiume da parte dei “legionari” dannunziani nel 1920. Anche qui un’indagine su di un omicidio rischia di cambiare il corso della storia.
Tra gli altri gialli legati a questa particolarissima epoca della nostra storia sono da mettere in rilievo gli straordinari romanzi di Ben Pastor come “Kaputt Mundi“ e “Il morto in piazza”, che sono ambientati in Italia. Ben Pastor, il cui vero nome è Maria Verbena Volpi è una scrittrice nata a Roma, che insegna in numerose università americane ma non ha dimenticato le sue grandi passioni, il giallo e la storia. Il suo romanzo d’esordio è “Lumen”, del 2001, ambientato nella Polonia invasa dai nazisti. Il detective creato da Ben Pastor è un ufficiale tedesco della Wehrmacht che mostra un rigore morale e una grande umanità che contrasta vividamente con la crudeltà dei tempi e degli uomini che lo circondano. Dopo "Lumen", Ben Pastor ha pubblicato nel 2002 “Luna bugiarda”, nel 2003 “Kaputt Mundi” e l’anno dopo “La canzone del cavaliere” dove Martin Bora indaga sulla morte di Federico Garcia Lorca. Nel 2005 viene pubblicato “Il morto in piazza” e a distanza di un anno “La venere di Salò”, mentre “La morte, il diavolo e Martin Bora è del 2007.

sydbar
21-November-2011, 09:27
grazie, mi sto gonfiando come la Rana di La Fontaine!
(però non dovevamo far sapere così a tutti che son tuo zio....)

Ma caro, il tuo nickname quale sarebbe??? aaah già vero, zio fred, non avrei di certo potuto chiamarti nonno o altro!!!
ihihi quindi per me, sei e rimarrai lo stimatissimo zio fred!!!

dolores
22-November-2011, 13:03
Nell’immediato dopoguerra le sorti del giallo italiano peggiorano notevolmente perché con la libertà di stampa vengono pubblicati tantissimi romanzi di qualità che il veto del Governo Fascista aveva proibito di stampare. Tra questi ci sono tanti capolavori di scrittori come Ellery Queen, Rex Stout, Agatha Christie, Erle Stanley Gardner solo per citare i maggiori e per tacere dei comprimari o degli onesti artigiani del poliziesco. Con questo ben di Dio a portata di mano, gli editori non hanno certo bisogno di stimolare la crescita di nuovi autori italiani.

http://www.bottegantica-arezzo.com/giallo/enna2.jpg

A metà anni cinquanta la Mondadori tentò di rilanciare il genere nazionale cercando nomi nuovi come Sergio Donati, Franco Enna e Giuseppe Ciabattini, autore di “Tresoldi e il duca” del 1956, i cui protagonisti sono due simpatici barboni, Tresoldi e Boero, che per caso si trovano a fare gli investigatori.

http://www.romanzopoliziesco.it/images/p093_1_02.png


Questa nuova ondata del giallo italiano non dura a lungo e le librerie vengono riempite solo con i romanzi stranieri sino all’esplosione del “fenomeno Scerbanenco”.
Nato a Kiev nel 1911 da padre ucraino e madre italiana Vladimir Giorgio Šerbanenko si trasferisce presto in Italia dove fece molti mestieri prima di dedicarsi alla scrittura. Dotato di una grande versatilità Scerbanenco cominciò a scrivere gialli sin dagli anni quaranta, incentrati sulle indagini di un archivista di Boston, Arthur Jelling (narrate da un particolare Watson, lo psicopatologo italiano Tommaso Berra).
I romanzi di questa serie ambientata in America sono tre: “Sei giorni di preavviso” scritto nel 1940, “La bambola cieca” del 1941 e “Nessuno è colpevole” sempre del 1942.

http://www.libriarrighetto.it/images/traditoritutti.jpg

Dopo vent’anni di stasi Scerbanenco torna al giallo con un nuovo personaggio, Duca Lamberti medico milanese radiato dall’albo perché coinvolto in un caso di eutanasia. Lamberti, umanissimo, dolente, sempre incerto, eroe anti-eroe, fa la sua comparsa nel romanzo “Venere privata” del 1966. Del 1966 è anche “Traditori di tutti” che vince nel 1968 il prestigioso Grand Prix Intérnational de Litérature Policière, mai vinto prima da un italiano. “I ragazzi del massacro e “I milanesi ammazzano il sabato” del 1969, pubblicato postumo, sono gli altri libri che compongono l’epopea di Duca Lamberti, un personaggio che ha fatto scuola nel giallo italiano per la vena di anticonformismo e di grande forza morale. Anche la fedele e veritiera descrizione della Milano in pieno boom economico, con tante luci e tante ombre dà a questi gialli un sapore particolare, romantico e spiazzante allo stesso tempo.

dolores
25-November-2011, 12:54
Nel 1957 fu pubblicato da Garzanti il giallo sperimentale “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana”, scritto nell’immediato dopoguerra e apparso per la prima volta a puntate sulla rivista “Letteratura”.
Ambientato in piena Era Fascista, il romanzo ha un intreccio giallo, ma è soprattutto il pretesto per il virtuosismo tecnico e letterario di Gadda che si sbizzarisce in invenzioni linguistiche (per esempio, per dire che una cosa è stata fatta male e senza cura, ricorre all’eufemismo “in modo cinobalanico”).

http://lafrusta.homestead.com/files/gadda_cop.jpg

Scritto in un dialetto romanesco brillante ed efficace, il romanzo ha come protagonista il commissario di polizia Ciccio Ingravallo che è incaricato di svolgere un’inchiesta su di un furto di gioielli avvenuto in un popoloso edificio di Via Merulana. Nel palazzo abita una coppia di amici di Ingravallo, i Balducci. Una mattina al commissariato giunge la notizia che Liliana Balducci è stata brutalmente assassinata. Durante le indagini vengono indagati molti personaggi che vengono via via sospettati, ma la narrazione si conclude senza che ci sia la scoperta del colpevole, perché per Gadda la realtà è troppo complicata per avere una soluzione e tutto diventa un “pasticciaccio”.
Da questo bellissimo libro è stato tratto il film “Un maledetto imbroglio” diretto e interpretato da Pietro Germi.

http://www.arezzopolitica.it/wp-content/uploads/2010/08/germi12.JPG

dolores
27-November-2011, 15:52
http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/sciascia/img/giornodellacivetta.jpg

Un altro scrittore che utilizza la struttura del romanzo giallo per le sue opere è Leonardo Sciascia che, a partire da “Il giorno della civetta” del 1961, frequenta con successo il genere che diventerà un suo punto di riferimento per scandagliare la complessa realtà siciliana in particolare e siciliana in generale. Già in questo suo romanzo Sciascia mette in luce il gioco delle parti di tanti protagonisti della nostra storia, narrando l’indagine su di un omicidio eccellente condotta dal capitano Bellodi, in cui lo scrittore siciliano associa molte caratteristiche del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, anche lui allora giovane ufficiale di stanza in Sicilia. Dalle indagini di Bellodi si scopre che il colpevole non è un uomo solo ma tutto l’ambiente sociale, che Sciascia condanna duramente anche con il successivo “A ciascuno il suo” in cui il maestro di Racalmuto raggiunge forse il suo risultato migliore, fondendo la critica sociale al romanzo giallo, innervato da una grande tensione civile. Il romanzo narra della morte di due persone su cui indaga, prima per gioco poi con interesse crescente, un intellettuale del posto, il professor Laurana. Quando questi scopre gli autori e i mandanti degli omicidi viene ucciso a sua volta, ma la morale più amara è che tutti in paese conoscevano la verità e tacevano per quieto vivere, per cui Laurana non era un abile investigatore dilettante, così frequente nei romanzi “Whodunit”, ma un “cretino” come lo chiama sprezzantemente uno dei colpevoli.

http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/sciascia/img/contesto.jpg


Nel 1971 Sciascia scrive un altro duro romanzo “Il contesto” in cui mette in scena una trama complessa che richiama il drammatico periodo della strategia della tensione. Nel romanzo L’ispettore Rogas indaga sulla morte di tre giudici e alla fine viene ucciso mentre è a colloquio con il segretario del partito comunista. Da questo libro è stato tratto il film di Francesco Rosi “Cadaveri eccellenti”.
Come si vede per lo scrittore siciliano il giallo non ha una funzione consolatoria ma, al contrario, ha il merito di instillare dubbi e mettere in luce ogni contraddittorietà della vita politica e sociale.
Anche i successivi lavori di Sciascia come “I pugnalatori”, “L’affaire Moro” e “La scomparsa di Majorana” hanno questa impronta di indagine su aspetti oscuri della storia vicina e lontana, vista sempre con occhio ironico ma anche scettico e disilluso.

http://img4.libreriauniversitaria.it/BIT/729/9788845907296g.jpg


Gli ultimi scritti di Leonardo Sciascia che hanno attinenza col giallo sono “Porte aperte” da cui è stato tratto un film di Gianni Amelio, “Il cavaliere e la morte” e “Una storia semplice”, ispirato dal furto di un quadro di Caravaggio avvenuto a Palermo nel 1969. Questo romanzo breve, da cui è stato tratto il film omonimo diretto da Emidio Greco con Gian Maria Volontè, è stato concepito da Sciascia come testamento morale, tanto che per sua precisa volontà è stato pubblicato il giorno della sua morte avvenuta il 20 novembre 1989.

dolores
30-November-2011, 11:19
Eric Ambler (1909-1998), oggi piuttosto dimenticato, è stato uno degli scrittori più letti del secondo dopoguerra. La sua produzione letteraria non era peculiarmente caratterizzata dal “whodunit” del giallo classico all’inglese, ma mescolava questo aspetto all’intreccio spionistico, anticipando in questo di molto Ian Fleming con il suo James Bond.
L’ambientazione dei romanzi di Ambler è quella delle classiche storie di spionaggio: Istanbul, Atene, Parigi, Londra e altre città che caratterizzano al meglio quel periodo che sta tra la prima guerra mondiale e la guerra fredda, che è la culla del genere spionistico. Ambler riesce a conferire un caldo charme ai suoi personaggi, sempre in bilico tra la loro “piccola storia personale” e la grande Storia di cui sono minuscoli ma non irrilevanti ingranaggi.


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Il romanzo più noto di Eric Ambler è forse “Topkapi”, da cui fu tratto un famoso film con Melina Mercouri e Peter Ustinov, ma libri come “La maschera di Dimitrios”, “Epitaffio per una spia” e “Il caso Schirmer” sono rimasti nell’immaginario collettivo per una caratterizzazione perfetta di un’epoca in cui niente era come appariva e tutti avevano qualcosa da nascondere.


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Secondo Alberto Tedeschi, uno dei maggiori esperti di gialli, “Gli elementi che caratterizzano i gialli di Ambler, sono il pericolo, il mistero e il ritmo incalzante dell’azione. Ciò non vuol dire che Ambler sia un autore di semplici thriller coloriti, di romanzi basati sulla violenza su fatti brutali. L’abilità di Ambler consiste soprattutto nel creare uno stato di tensione che inchioda i personaggi, e di conseguenza i lettori, fino all’ultima pagina dei suoi romanzi. Gli intrighi che Ambler costruisce sono 'gentili', gli assassini sofisticati, le ingarbugliate matasse dei suoi imbrogli si dipanano artisticamente”.

elisabetta
30-November-2011, 21:54
Che grande thread!
Si legge tutto d'un fiato ... come un libro giallo.
Bravi dolores e zio Fred!

dolores
30-November-2011, 22:05
Che grande thread!
Si legge tutto d'un fiato ... come un libro giallo.
Bravi dolores e zio Fred!

Sono felice che ti piaccia.
Grazie Elisabetta :D:D:D

zio fred
01-December-2011, 20:03
Eric Ambler, il maestro.
Fortunatamente ristampato da Adelphi per il godimento dei miei giovani lettori come Elisabetta o sydbar ecco cosa dicono nel retro di copertina del suo “Doctor Frigo” :
“Il migliore degli autori di thriller” (Graham Greene)
“Le sue opere sono una vetta” (Alfred Hitchcock)
“Non c’è miglior narratore di Ambler. La miglior storia è Doctor Frigo.” (Rex Stout).
La fama internazionale gli venne dal film Topkapi, molto per merito di Melina Mercouri, tratto da La luce del giorno neppure il suo miglior libro; ma per chi vuole veramente conoscere l’essenza dei Balcani Ambler rimane irrinunciabile.
Si può dividere la produzione negli scritti prima o dopo la guerra: libri come “La maschera di Dimitrios” (1939) poi film nel 1946 di Negulesco con la carta geografica a pieno schermo dove corre la locomotiva molto prima dell’areoplanino di Indiana Jones o La frontiera proibita (1936) degno del primo Hitchcock di Intrigo internazionale, mentre Un pericolo insolito (1937) è una trama alla Le Carrè con vent’anni di anticipo.
Le origini della spy story le racconta Ambler stesso in prefazione al suo Caccia alla spia, una raccolta dei migliori racconti di spionaggio curata da lui (ormai si trova solo su ebay) dove ironicamente Ambler scrive “ può darsi benissimo che, come dicono, la professione più antica sia la prostituzione ma quella della spia non può essere molto più recente” .
Si parte da Fenimore Cooper e Conrad per giungere ai tempi suoi e mentre vi rimando a quelle pagine, suggerisco due testi che Ambler cita: “I 39 scalini” di Buchan e “Ashenden l’inglese” di Somerset Maugham.
Torniamo al nostro e alla sua produzione del dopoguerra quando il mondo era cambiato e Ambler dice che dovette esplorarlo di nuovo da capo per mettersi in sintonia, tanto che Uno strano processo (titolo Adelphi “Processo Deltchev”, occhio perché cambiano i titoli come con Simenon) la sua prima uscita dopo la guerra è stato riscritto cinque volte. I critici gli han dato dell’esagerato e lui rispose citando Fleming “anche se i thriller non fanno parte della letteratura con la elle maiuscola ciò non toglie che si possono scrivere thrillers concepiti per essere letti come Letteratura”.Ed in effetti Ambler ha saputo elevare a dignità la spy story prima del rutilante 007 dello stesso Fleming, lo Smiley di Le Carrè o l’ Harry Palmer di Deighton. Solo che al contrario di questi non ha usato un personaggio fisso nelle sue storie, con l'’unica eccezione dell' apolide Abdel Simpson, uno sfigato sempre alla caccia del permesso di soggiorno che appare in La luce del giorno del 1962 come in Una sporca storia del 1967. Mentre il primo ha come sfondo Istanbul nel secondo siamo a Gibuti e poi nel Chad, anche qui anticipando di dieci anni il Forsyth dei Mastini della guerra. Di qualche anno dopo il suo Levantino (1972) potrebbe essere il fratello maggiore di una Tamburina.

Insomma appare chiaro che Ambler mi piace assai e alla fine se dovessi consigliare da quale libro iniziare per chi non lo conoscesse mi troverei in imbarazzo. La location per me conta molto e dunque dove vogliamo andare? vicini nella villa sulla Costa Azzurra di Non più rose? O la Milano di Motivo d’allarme (francamente noioso, non è colpa dei milanesi)? La plumbea Europa farmaceutica di Ricatto internazionale? Oppure viaggiamo verso gli Emirati del golfo con Mancanza di tempo o le Antille col Doctor Frigo? Nel dubbio, diamo retta a Stout e cominciamo da Doctor Frigo.
Comunque data la mia rispettabile età preferisco il primo Ambler, quello legato alle letture giovanili di Kipling, Hemingway, Conrad, Graham Greene e perché no Mario Soldati.
Hemingway dicevo:
“Arrivai a St. Gatien, da Nizza, martedì 14 agosto. Fui arrestato giovedì 16, a mezzogiorno meno un quarto».
E’ l’incipit di Epitaffio per una spia di Ambler.

Le storie diAmbler non sono mai fini a se stesse, hanno una “morale” e i personaggi non sono macchiette come molti detective di quel tempo ma reali, non di carta ma di carne e crescono nel corso degli eventi. In questo anche se di idee politiche diverse si accosta al Graham Greene di Una pistola in vendita o L’Agente confidenziale o il celebre Terzo uomo, anche in questo caso più famoso per Orson Welles che per il libro.
Ne L’eredità Schirmer il giovane avvocato all’inizio annoiato nel suo ufficio di Filadelfia viene mandato in Europa a indagare su un’eredità e la ricerca si trasforma in una magnifica avventura; scrive Ambler “…mentre scopriva qualcosa su quel morto, aveva anche cominciato a scoprire qualcosa su se stesso”.
Che poi mi rammenta “Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso” di Proust.


Mi scuso della lunghezza ma dovevo a Eric Ambler ( Londra 1909 - Londra 1998) un grandissimo nel suo genere che mi ha emozionato da giovincello, questo sentito omaggio.

Wentworth
01-December-2011, 22:23
Topkapi, ho appena rivisto il film, molto divertente e ben fatto. Ah ma prima o poi ci devo andare a Istanbul!
Eric Ambler mi piace assai, ma anche in questo caso ahimè ho letto poco.

dolores
05-December-2011, 19:45
Il giallo storico, tanto in voga attualmente, ha una illustre madrina: Agatha Christie. Infatti il più famoso romanzo d’indagine ambientato nell’antichità è “C’era una volta” (Death comes as the end), un intricato giallo familiare ambientato nell’antico Egitto. La Regina del giallo conosceva bene quel periodo storico in quanto in seconde nozze sposò il celebre archeologo Max Mallowan. La Christie che era più vecchia di quindici anni del marito era solita ironizzare su questo fatto dicendo “Un archeologo è un marito ideale: più invecchi e più s'interessa a te.” La lunga frequentazione dei siti archeologici che si protrasse per due decenni, creò l’ambientazione perfetta per altri suoi capolavori come “Poirot sul Nilo” e “Non c’è più scampo”, ambientato in Mesopotamia, entrambi con protagonista l’investigatore belga.

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Tra gli investigatori in “peplum”, il più famoso e simpatico è sicuramente Publio Aurelio Stazio, senatore romano ed ex console, che vive le sue avventure del secolo d’oro di Roma, il primo dopo Cristo. Nato dalla fantasia di Danila Comastri Montanari, Publio Aurelio compare per la prima volta nel 1990 nel romanzo “Mors Tua” che vinse il Premio Tedeschi e conseguentemente fu pubblicato nel Giallo Mondadori nello stesso anno. Al fortunato esordio sono seguiti sino ad ora altri quattordici libri dal successo travolgente, tra cui è doveroso segnalare “Cave Canem”, Morituri te salutant”, “Cui prodest?” e “Parce sepulto”. Sofisticato esteta ed amico personale dell’Imperatore Claudio, Publio Aurelio non disdegna di sporcarsi le mani per seguire il suo innato istinto per le indagini che lo portano a viaggiare per il mondo allora conosciuto, dalla Gallia alla Campania, sino ad Olimpia; il raffinato e licenzioso patrizio romano fiuta l’omicidio e non lesina alcuna spesa per trovare il colpevole e sciogliere l’enigma. Oltre al protagonista, mattatore di ogni indagine è lo scaltro liberto Castore, segretario di Publio Stazio che, antesignano di Watson, lo aiuta e segue nelle inchieste. La Comastri Montanari è riuscita nel difficile compito di situare vicende gialle in un ambiente inconsueto, ma storicamente molto accurato, arricchendo le indagini con toni piuttosto divertenti e originali.

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Questo stesso periodo è stato scelto come ambientazione di un romanzo molto particolare, non giallo di L. Sprague De Camp “Abisso del passato”, in cui un uomo contemporaneo viene risucchiato nel tempo e approda nella Roma di 1.500 anni fa con tutti i problemi e le avventure insite in questo particolare viaggio nel tempo.

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elisabetta
05-December-2011, 21:12
Di gialli ambientati nel mondo antico c'è anche la serie di Margaret Doody, che ha per protagonista Aristotele.

dolores
06-December-2011, 09:18
Anche il più famoso e autorevole filosofo dell'antichità, Aristotele, è protagonista di alcuni gialli storici per merito della professoressa canadese di letteratura Margaret Doody. Aristotele, nato a Stagira, in Grecia, nel 384 a.C., e perciò detto anche lo Stagirita, fu precettore di Alessandro il Grande e le sue opere influenzarono enormemente il pensiero occidentale antico (per nascondere il contenuto del secondo libro delle “Poetica” di Aristotele il monaco Jorge da Burgos commette i suoi delitti nel capolavoro di Umberto Eco “Il nome della rosa”).
In seguito alle invasioni barbariche e al crollo dell'Impero Romano i lavori di Aristotele vennero pressoché dimenticati e la sua importanza fu riscoperta nel medioevo dal saggio arabo Averroè che riuscì a farlo conoscere al mondo medioevale occidentale. In qual contesto la sua autorevolezza era talmente grande che per troncare un discorso si usava citarlo dicendo “Ipse Dixit” (L'ha detto lui).

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Il primo libro della Doody con protagonista lo Stagirita fu nel 1978 “Aristotele detective” che, pubblicato nel Giallo Mondadori nel 1980, non ebbe successo e la scrittrice canadese abbandonò al suo destino il filosofo investigatore. La pubblicazione del libro da parte di Sellerio nel 1999 fu invece un grande successo e spinse la Doody a riprendere la serie con “Aristotele e la giustizia poetica”, “Aristotele e il mistero della vita”, “Aristotele e l'anello di bronzo”, “Aristotele e i veleni di Atene”, “Aristotele e i misteri di Eleusi”, “Aristotele e i delitti d'Egitto” e "Aristotele e il giavellotto fatale", tutti editi da Sellerio, che è diventato editore di riferimento delle opere di Margaret Doody.

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Ambientati in un contesto storico molto curato e attendibile, i romanzi hanno intrecci gialli accettabili e forniscono un carismatico precursore al celebre metodo deduttivo di Sherlock Holmes. Un'altra somiglianza con il detective creato da Sir Arthur Conan Doyle è dato dalla presenza del giovane Stefanos che fa le veci del dottor Watson e riporta alla memoria anche l'Archie Goodwin, galoppino di Nero Wolfe, perchè svolge le indagini che poi vengono sbrogliate dal filosofo, che come Nero Wolfe, difficilmente si muove da casa.
Gialli estremamente godibili, i romanzi della Doody coniugano in modo eccellente erudizione storica e intriganti plot polizieschi.

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dolores
09-December-2011, 14:57
L’enorme successo mondiale de “Il nome della rosa” di Umberto Eco ha creato molto interesse sul giallo storico e ha stimolato scrittori e lettori a rivalutare questo genere, sino ad allora poco frequentato. In quel periodo solo Ellis Peters con il suo frate detective Fratello Cadfael godeva di un relativo seguito, che divenne vero caso editoriale solo dopo la comparsa del collega Guglielmo da Baskerville creato da Umberto Eco, che gli diede il nome pensando al filosofo inglese Guglielmo di Occam, famoso per il “rasoio” logico che porta il suo nome (“il rasoio di Occam” dice che ”Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem”: “A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”, che è una delle massime preferite da ogni investigatore, sia reale che di fantasia) e a Baskerville, toponimo famoso perché richiama uno dei più conosciuti romanzi di Sir Arthur Conan Doyle “Il mastino dei Baskerville”.
Fratello Cadfael è protagonista di una ventina di romanzi tra cui spiccano “Il novizio del diavolo”, “Una bara di troppo” e “Mistero doppio”. Nel 1994 la BBC trasmise una serie di telefilm basati sui romanzi della Peters, che vengono riproposti periodicamente anche sui teleschermi italiani.

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Un’altra scrittrice che ambienta i suoi gialli nel medioevo è Candace Robb, cha ha affidato il ruolo del solutore di misteri all’arciere Owen Archer che al servizio dell’arcivescovo John Thoresby affronta numerosi casi di omicidio nella città inglese di York. Il primo romanzo della Robb è stato “La rosa del farmacista”.

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Uno dei più colti e prolifici autori di gialli medioevali è Paul Doherty che scrive usano diversi pseudonimi tra i quali il più noto è certamente Paul Harding a cui si deve la serie di Fratello Athelstan, mentre la serie che ha come protagonista l’erborista Kathryn Swinbrooke è firmata con il nome di C. L. Grace.
Un detective d’eccezione, invece è protagonista dei gialli medioevali scritti da Giulio Leoni. Infatti è il priore Dante Alighieri che indaga su inquietanti delitti nella Firenze del Duecento. Caratterizzato da una personalità irosa e permalosa, il Dante di Leoni esordisce nel romanzo “Dante Alighieri e i delitti della Medusa” e continua le sue inchieste in “I delitti del mosaico”, “I delitti della luce” e “La crociata delle tenebre”.

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Nel romanzo “La mossa dell’alfiere” di Diane Stuckart il detective è nientemeno Leonardo da Vinci che, ospite a Milano di Ludovico Sforza, viene incaricato dal duca di indagare sulla morte di un nobile milanese ucciso durante una partita di scacchi viventi. A questo romanzo è seguito “La dama di Leonardo” in cui il genio di Vinci vive una nuova indagine nell’atmosfera inquietante del Castello Sforzesco.

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A questi investigatori particolari grazie al francese Raphael Cardetti si aggiunge l’autore del “Principe”, protagonista de “La vendetta di Machiavelli” singolare e sorprendente romanzo che non segue le vicende storiche ma utilizza i personaggi in un ambiente storico donando loro nuove personalità ben diverse da quelle che conosciamo dai trattati storici. Il giovane Machiavelli è alle prese con un complotto diabolico durante il governo di Savonarola in cui Firenze vive un periodo di cupo terrore, e alla fine del romanzo ci sarà una sorpresa sconvolgente.

dolores
12-December-2011, 18:23
Anche un grande giallista come John Dickson Carr si cimentò con successo nel genere storico con alcuni romanzi davvero notevoli come “Capitan Tagliagola” ambientato in epoca napoleonica, dove uno spietato assassino si aggira nell’accampamento francese che si appresta a varcare la Manica per invadere l’Inghilterra. Solo un abile agente segreto britannico riuscirà a risolvere l’enigma. Anche “La corte delle streghe”, “La sposa di Newgate”, “La fiamma e la morte” e “Ma il terrore rimane” sono ambientati nel passato, ma il vero capolavoro dello scrittore americano è senza dubbio “Il diavolo vestito di velluto”. In questo romanzo il giallo si fonde in modo mirabile con la ricostruzione storica del periodo di Carlo II Stuart.
Nicholas Fenton, professore di storia a Cambridge è tormentato dal fantasma della bella donna morta avvelenata nella casa in cui sta trascorrendo le vacanze. La donna si chiamava Lydia Fenton ed era stata uccisa tre secoli prima esattamente il 10 giugno 1675. Fenton sa tutto di quel brutale delitto, perfino che il marito della vittima si chiamava come lui, ma non conosce il nome dell’assassino perché le ultime pagine della cronaca dell’omicidio sono state strappate, e lui non vuole solo scoprirlo ma vuole addirittura impedire che il delitto avvenga con un viaggio attraverso il tempo grazie ad un patto faustiano con il diavolo.
La grande abilità narrativa di Dickson Carr fa sì che il lettore rimanga stregato dall’atmosfera soprannaturale, sino al colpo di scena finale che dovrebbe riportare tutto nei binari della normalità logica, se non ci fosse un singolare particolare che lascia tutto in sospeso tra l’incubo e la realtà.

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dolores
13-December-2011, 13:28
Se l’eroe del romanzo di Dickson Carr viaggia coraggiosamente nel tempo per scoprire un assassino, nel bellissimo giallo di Josephine Tey “La figlia del tempo” l’investigatore Alan Grant svolge la sua indagine nel letto di un ospedale.

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Costretto a letto da un banale incidente Grant si annoia a morte e per caso si trova ad affrontare un caso celebre che riguarda nientemeno che Riccardo III re d’Inghilterra e che vede come vittime i suoi nipotini, figli di Edoardo IV, che furono rinchiusi nella Torre di Londra. Secondo la leggenda furono fatti uccidere da Riccardo III per usurparne il trono, ma Grant, pian piano, sfruttando il suo intuito da vero segugio di razza, si trova a capovolgere nettamente le tante bugie che si sono accumulate nei secoli su questa vicenda e, convinto che - come dice il vecchio proverbio - “La verità è figlia del tempo”, riesce a trovare il bandolo della matassa di questo intricato giallo storico.

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“La figlia del tempo” è il capolavoro della scrittrice scozzese Josephine Tey e fu lo spunto per un altro notevole romanzo di Colin Dexter “Questione di metodo” dove l’ispettore Morse, ricoverato in ospedale a causa di un’ulcera perforante, si dedica ad un’indagine nel passato grazie ad un libretto regalatogli dall’anziana moglie di un ricoverato, che riporta il resoconto dell’inchiesta sulla morte nel 1859 di una ragazza annegata nell’Oxford Canal. Ben presto Morse capisce che i due uomini condannati a morte per l’uccisione della ragazza sono innocenti e trova le prove per scagionarli.

dolores
15-December-2011, 14:13
Secondo il diplomatico, scrittore e studioso della cultura cinese, Robert van Gulik il romanzo giallo nacque in Cina (e dove se no?) tra il 630 ed il 700 dopo Cristo con i resoconti delle inchieste del giudice Ti Jen-Tse, giovane magistrato che risolse numerose casi criminali, sul quale fiorirono numerosi racconti anonimi e ancora nel XVIII secolo era il protagonista di una grande saga criminale, “Ti Goong An” (Le tre inchieste del giudice Ti). Oltre che famoso investigatore, Ti fu anche un brillante statista e nella seconda parte della sua carriera sostenne un ruolo importante nella politica interna ed estera della Cina.
Van Gulik ha tradotto (in realtà ricreato e spesso anche inventato) diverse inchieste del giudice Ti. Nella sua versione attualizzata Ti è un giudice alto e robusto, ragionatore infallibile, ma anche un uomo d’azione. Esperto di arti marziali, il magistrato ha tre mogli e si avvale di tre luogotenenti, tra cui due sono ex delinquenti, incaricati delle missioni sporche, perquisizioni illegali, interrogatori “convincenti”, contatti con gli informatori.

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Nella versione di van Gulik il giudice si chiama Dee e compare per la prima volta nel libro "I celebri casi del giudice Dee", che conserva in gran parte l’impianto dell’originale opera cinese del diciottesimo secolo. Dopo aver tradotto queste prime indagini van Gulik si appassionò al suo personaggio e decise di ideare nuove avventure dell’onorevole Dee, che pubblicò nel 1956 con il titolo di “I delitti del labirinto cinese”. In seguito al grande successo riscosso con questo giallo, il sinologo olandese scrisse “I delitti della campana cinese”, “I delitti dell’oro cinese" (che fu lodato anche da Agatha Christie), “I delitti del lago cinese” e altri dieci romanzi tutti pubblicati da Garzanti, tra cui bisogna ricordare “Il monastero stregato” e “Il fantasma del tempio”.

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Ambientate nella Cina più misteriosa e pittoresca, le avventure del giudice Dee appassionano per la precisa ricostruzione storica che si fonde perfettamente con l’estrema fantasia degli intrecci, sempre a cavallo tra storia e mito. Una caratteristica di queste inchieste è il convergere nella narrazione di due e o tre indagini diverse, che alla fine vengono risolte dall’intuito dell’investigatore.
Nel 2006 lo scrittore francese Fréderic Lenormand ha fatto rivivere il molto onorevole magistrato in dodici nuove avventure non ancora tradotte in italiano. Anche un altro giallista francese Sven Roussel si è cimentato con questo protagonista della storia cinese scrivendo “La dernière enquète du Juge Ti”, mentre l’autore americano di origine cinese Zhu Xiao Di nel suo libro “Tales of Judge Dee“ si ricollega ai resoconti che si riferiscono al vero personaggio storico.

dolores
19-December-2011, 17:49
Il più famoso investigatore di origine cinese è stato sicuramente Charlie Chan, nato nel 1925 dalla fervida fantasia di Earl Derr Bigger che capovolse la tendenza in atto nella tradizione del giallo di quel periodo, ricca di personaggi orientali sinistri e misteriosi. Il più noto di questi “villain” fu senza dubbio il genio del male dottor Fu Manchu creato da Sax Rohmer nel 1912, che divenne l’emblema del cosiddetto “pericolo giallo” che creava inquietudine e ansia nell’opinione pubblica mondiale. Stanchi di questi cliché ormai abusati, già prima della Grande Guerra i membri del Detection Club lanciarono lo slogan “Basta con i cinesi misteriosi”.
Già scrittore di romanzi ormai dimenticati come “Seven Keys to Baldpate” e “Love Insurance”, Earl Derr Bigger ritornò al poliziesco con un romanzo a puntate pubblicato sul Saturday Evening Post, “La casa senza chiave”, in cui compare per la prima volta l’investigatore Charlie Chan detective anomalo in quanto come scrisse Bigger, “un amabile cinese dalla parte della legge e dell’ordine non c’era mai stato”.
Charlie Chan, cinese di nascita, si trasferisce a Honolulu nelle Hawaii dove entra nella polizia e si distingue presto per il suo intuito e per le doti di raffinato investigatore. Le sue armi segrete sono i cosiddetti “Sette Fiori”: cortesia, humour, pazienza, lentezza, rassegnazione, umiltà e prudenza. Dotato di queste qualità Charlie Chan si impose ben presto all’attenzione del pubblico di lettori, ma soprattutto divenne un personaggio cinematografico incredibilmente celebre. A partire dal secondo romanzo, “Il pappagallo cinese”, Chan conobbe un vasto successo nelle sale grazie anche al suo interprete più famoso, Warner Oland, che stranamente era svedese. In quel periodo le Major di Hollywood erano riluttanti a dare i ruoli importanti agli asiatici, al cui posto facevano recitare spesso e volentieri attori bianchi. Oland che impersonò anche il diabolico Fu Manchu, fu il volto di Charle Chan in ben 16 film, dal 1931 al 1937.

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Dopo i primi due romanzi Bigger fece in tempo a scrivere solo altre quattro avventure: “Charlie Chan e la donna inesistente”, “Charlie Chan e il cammello nero”, “La crociera del delitto” e “Charlie Chan e il canto del cigno” del 1932 , titolo profetico in quanto Bigger morì nel 1933 di infarto. Di fronte a questa modesta produzione letteraria stupisce il grande numero di pellicole ispirate al saggio detective cinese. Dal 1931 al 1981 si contano ben 57 film su Charlie Chan e l’ultimo interprete del poliziotto hawaiano fu nientemeno che Peter Ustinov in “Charlie Chan e la maledizione della regina drago”.

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Una delle caratteristiche principali di Chan è la sua abitudine di fare citazioni e ricordare aforismi e proverbi come: “Un uomo senza nemici è come un cane senza pulci”, “Affrettati solo quando devi ritrarre la mano dalle fauci della tigre” e “Un cattivo alibi è come il pesce, non può resistere alla prova del tempo”. Una sua famosa sentenza - “Un lungo viaggio deve sempre cominciare con un breve passo” - fu addirittura parafrasata da John Kennedy che disse: "Un viaggio di mille miglia deve avere inizio con un singolo passo”.

dolores
23-December-2011, 21:47
Visto che tra due giorni è Natale, abbandoniamo momentaneamente il giallo storico per dedicarci a questa festa.

L'atmosfera natalizia ha spesso ispirato gli scrittori di gialli, forse perché come scrisse Isaac Asimov, “se per avventura vi sentite un po' nauseati in questo periodo dell'anno e avete bisogno di un contrappeso alla saccarinità della stagione, un giallo è il libro per voi” oppure per dimostrare come sosteneva Hercule Poirot nel romanzo “Il Natale di Poirot”, che è molto più facile che un delitto avvenga durante il Natale perché “C'è molta ipocrisia... e lo sforzo per essere amabili crea un malessere che può essere in definitiva pericoloso". “Il Natale di Poirot” è uno dei più famosi gialli ambientati durante questo scorcio di dicembre ed è molto noto anche perché contiene un mistero della camera chiusa molto intrigante.

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Tutti i più grandi scrittori hanno frequentato questa sfida natalizia, a partire da Rex Stout con il racconto “Natale di morte” in cui Archie Goodwin partecipa ad un party natalizio dove il padrone di casa brinda con un Pernod avvelenato versatogli nientemeno che da Babbo Natale. Toccherà poi a Nero Wolfe sbrogliare la matassa.
Nella raccolta di racconti ispirati ad ogni mese dell'anno Ellery Queen dedica a dicembre “L'avventura della bambola del delfino” dove lo scaltro investigatore indaga sul tentato furto di una preziosa bambola esposta in un grande magazzino alla vigilia del Natale.
John Dickson Carr invece, ambientò a Natale, il suo racconto “Il cappuccio del cieco”, che fu pubblicato assieme agli citati nel libro “Delitti di Natale” edito da Editori Riuniti nel 1995 e ristampato più di recente da Polillo Editore. In questa raccolta figurano, tra gli altri, anche contributi di Dorothy L. Sayers “La collana di perle” e di Isaac Asimov “Il tredicesimo giorno”.
Tra i romanzi influenzati da questa festività ricordo “Il delitto che diverte” di Fredric Brown, dove Babbo Natale vaga per New York compiendo delitti senza che nessuno possa fermarlo; “La notte di Babbo Natale” di Serge Quadruppani, dove Babbo Natele irrompe nella casa di un'agiata famiglia minacciando una strage. Più classico invece è il romanzo “Delitto di Natale” di Cyril Hare, dove l'uomo politico Robert Warbeck viene avvelenato durante la festa e il professor Bottwin dovrà risolvere un delitto vecchio stampo.

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In libreria quest'anno possimo trovare un'altra rassegna di delitti sotto l'albero, dal titolo “Natale in giallo” edita da Sellerio che pubblica autori come Gian Mauro Costa, Carlo Flamigni, Alicia Giménez-Bartlett, Marco Malvaldi, Ben Pastor, Santo Piazzese e Francesco Recami.
Tutti i migliori giallisti italiani hanno contribuito all'interessante libro “Giallo Natale” pubblicato da Cairo Publishing, che in stretto ordine alfabetico schiera in campo: Altieri, Avoledo, Baldini, Biondillo, Carofiglio, Comastri Montanari, Dazieri, De Cataldo, Fois, Gardumi, Garlaschelli, Grimaldi, Leoni, Lucarelli, Macchiavelli, Montanari, Pederiali, Rigosi, Soria e Vichi. Niente da dire, è proprio un'ottima compagnia per passare le feste sotto il segno del giallo.

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dolores
27-December-2011, 14:43
E' davvero particolare la storia di “Imprimatur”, romanzo d'esordio dei giornalisti Rita Monaldi e Francesco Sorti. Il libro, pubblicato per la prima volta da Mondadori, ebbe un successo crescente ed inaspettato, ma dopo la seconda ristampa fu misteriosamente boicottato dalla stessa casa editrice che lo aveva promosso. Cos'era successo? La storia di questa censura è romanzesca e merita di essere raccontata.
Il libro è ambientato a Roma nel 1683, proprio quando a Vienna si svolge una delle battaglie cardine della storia europea: l'assedio di Vienna, che vedrà fermarsi definitivamente quello che sembrava l'inarrestabile slancio della conquista islamica. Il 12 settembre 1683 il re polacco Jan Sobiecki sconfisse definitamente il Gran Visir Kara Mustafà facendo tirare un sospiro di sollievo all'intero continente che temeva la terribile invasione turca. Tra i protagonisti della guerra, il più preoccupato era sicuramente Papa Innocenzo XI che aveva fatto di tutto per organizzare, armare e motivare l'indocile armata europea.
Facciamo ora un balzo di più di trecento anni e arriviamo all'11 settembre 2001, al tremendo attentato alle Torri gemelle di New York. Nel confuso periodo seguente al tragico attacco si sente il bisogno di contenere la minaccia islamica in qualsiasi modo e la Chiesa decide di utilizzare il Papa che mobilitò l'Europa nel XVII secolo come simbolo di questa nuova resistenza antiislamica. Bisogna tener conto che Innocenzo XI fu beatificato solo nel 1956 come monito ad un'altra invasione che veniva dall'Est e ora si pensava che fosse arrivato il momento adatto per renderlo Santo.

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Tutto sarebbe andato come nelle previsioni della Curia se non fosse stato pubblicato “Imprimatur”, romanzo storico in cui Innocenzo XI è protagonista, e se i due giornalisti nelle ricerche preparatorie del romanzo non avessero fatto una scoperta clamorosa: Innocenzo XI, al secolo Benedetto Odescalchi, la cui famiglia possedeva una influente banca, secondo i documenti ritrovati nell'Archivio di Stato di Roma avrebbe finanziato a più riprese Guglielmo d'Orange, principe protestante che detronizzò il Re cattolico Giacomo I. A questo punto i preparativi per la santificazione del Papa si interrompono e al suo posto viene beatificato il predicatore Marco d'Aviano, che con le sue prediche sul campo di battaglia galvanizzò i difensori di Vienna contribuendo alla storica vittoria cristiana.
Naturalmente l'impatto mediatico e simbolico di queste due figure era nettamente diverso e ciò fu fatale alle sorti del romanzo. La Mondadori, in seguito a forti e altolocate pressioni, pur in presenza di una richiesta da parte dei lettori, bloccò le ristampe del libro senza dare nessuna spiegazione mentre “Imprimatur” diventava un caso editoriale all'estero. Stanchi di lottare contro i mulini a vento Monaldi e Sorti riacquistarono i diritti editoriali e trovarono un editore olandese De Bezige Bij che pubblicò il libro anche in italiano per non privare i lettori del Bel Paese di questo avvincente thriller storico. Attualmente “Imprimatur” si può acquistare solo tramite Internet attraverso la libreria Hoepli di Milano, dove primeggia da tempo nella classifica dei più venduti.

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Protagonista del libro e degli altri che seguono (“Secretum", “Veritas”, “Mysterium”, “Unicum”, tutti bestseller all'estero) è l'abate Atto Melani, musico castrato, spia, uomo dalle mille astuzie e dai mille intrighi che indaga sui misteriosi fatti accaduti nella Roma barocca nel torno di tempo in cui si svolge la battaglia decisiva a Vienna. Scritto con una grandissima attenzione a tutti i particolari e all'ambientazione, a partire dalla locanda dove si svolge l'azione, “La locanda del Donzello dell'Orso” (realmente esistente nella Via dell'Orso, nelle vicinanze di Piazza Navona, che ospitò tanti personaggi illustri come Montaigne e Rabelais, che però non riuscì a trovare soddisfacenti rapporti diplomatici con le pulci per cui dovette fuggire dall'albergo), il libro coinvolge e attrae per i diversi livelli di lettura, nasce dal ritrovamento di un vecchio manoscritto che rievoca la vicenda.
Le vicende del libro e della vita reale si intersecano indissolubilmente anche nel caso di don Giorgio che, sospettato dalle gerarchie ecclesiastiche di aver ispirato gli autori, dalla sua parrocchia di Castel Gandolfo e in odore di promozione a cardinale, viene trasferito improvvisamente a Costanza sul Mar Nero, l'antica Tomi, luogo d'esilio del poeta Ovidio, sospettato di avere divulgato dei segreti dell'Imperatore Augusto. Proprio una punizione simbolica per un prete colpevole solo di essere amico di due scrittori “maledetti”.
Sulla storia di questo “libro proibito” un cacciatore di libri perduti, Simone Berni ha pubblicato la ricostruzione puntuale di quanto accaduto in “Il caso Imprimatur", storia di un romanzo italiano bestseller internazionale, bandito in Italia.

dolores
30-December-2011, 14:31
Un altro libro ambientato nel passato che ha come protagonista un personaggio famoso è “Critica della ragion criminale” di Michael Gregorio, nome d'arte della coppia di scrittori Michael Jacob e Daniela Di Gregorio. Come suggerisce il titolo, la vicenda del libro ruota attorno al filosofo tedesco di Koenigsberg, Immanuel Kant, il cui libro “Critica della ragion criminale” apre le porte del male nella gelida Prussia che, all'alba del diciannovesimo secolo, aspetta trepidante l'attacco di Napoleone.

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L'antico allievo del filosofo, Hanno Stiffeniis, magistrato nella placida cittadina di Lotingen, viene incaricato direttamente dal re Federico Guglielmo III delle indagini sugli atroci omicidi che terrorizzano il paese. Con l'aiuto del vecchio e malato intellettuale, Stiffeniis affronta il male assoluto, in un'ambientazione cupa e lugubre che ricorda i migliori romanzi gotici e pian piano afferra la sorprendente verità che, sfuggente e camaleontica, ci ricorda il celebre aforisma di Friedrich Nietzsche: “Quando guardi troppo nell'abisso, l'abisso guarda te”.

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A questo libro d'esordio gli autori hanno fatto seguire “I giorni dell'espiazione”, in cui il procuratore Stiffeniis indaga con l'ausilio della moglie Helena sul tremendo omicidio di tre bimbi; mentre nel recente “Luminosa tenebra”, uscito nel 2010, il magistrato è impegnato per conto dell'occupante francese ad indagare sulle misteriose morti di alcune raccoglitrici di ambra sulle spiagge baltiche.

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dolores
02-January-2012, 22:22
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La storia romana e il primo secolo dopo Cristo sono stati scelti dal giornalista e scrittore Robert Harris per ambientare il suo giallo storico “Pompei”, che ha sullo sfondo proprio la catastrofica eruzione del Vesuvio avvenuta nel 79 d.C. Il protagonista del romanzo è Marco Attilio Primo, aquarius, ossia il responsabile dell'acquedotto dell'Aqua Augusta che fornisce l'acqua a diverse città nel golfo di Napoli, che indaga sulle stranezze che avvengono attorno a questa struttura così importante per la fornitura idrica della zona. Assieme a Pilinio il Vecchio, capo della flotta imperiale stanziata a Miseno, Attilio si trova ad investigare sulle misteriose perdite d'acqua che mettono in pericolo l'economia della città, su di una truffa che coinvolge pezzi grossi dell'amministrazione pubblica e sulla strana sparizione dell'ingegnere Esomnio, predecessore di Attilio.
Pur non essendo un giallo vero e proprio, “Pompei” affascina per la cura con cui è stata ricostruita la vita di quel periodo e per il perfetto meccanismo del thriller che fa trepidare per i protagonisti, costretti a far fronte alla tremenda eruzione.
Robert Harris ha continuato a occuparsi di romanzi storici con “Imperium”, primo volume di una trilogia basata sulla figura dell'avvocato e uomo politico Cicerone, a cui ha fatto seguito “Conspirata” del 2010.

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Harris si mise in luce nel 1992 con un giallo storico particolare - “Fatherland” - in cui immagina un'Europa governata dal nazismo e da Adolf Hitler che hanno vinto la seconda guerra mondiale. Protagonista di questo romanzo ucronico (basato sul presupposto che la storia abbia preso un corso diverso da quello effettivo) ambientato nel 1964, è l'agente Xavier March che indaga sulla morte di un gerarca nazista assassinato in un parco. Seguento il suo intuito March risale pian piano tutta la scala gerarchica dello stato e mette in pericolo uno dei segreti meglio custoditi del Reich, la conferenza di Wannsee, dove si decise la soluzione finale nei confronti degli ebrei. Strutturato in modo così originale, questo giallo colpisce per le continue sorprese che abbiamo di fronte a scenari storici immaginari e anche per la solida trama che non sfigura di fronte a tanti romanzi d'azione.

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In “Enigma”, scritto da Harris nel 1995, ambientato durante la seconda guerra mondiale, il protagonista è Tom Jericho, scienziato che lavora a Bletchley Park, principale struttura del servizio segreto inglese dedicata allo studio e all'analisi dei codici segreti tedeschi, per riuscire a decifrare i codici della macchina Enigma. In questo periodo così cupo per le sorti dell'umanità Jericho indaga sulla scomparsa della fidanzata Claire, e alla fine si scoprirà che le due inchieste (su Enigma e su Claire) tendono a convergere, facendoci scoprire un mondo e un ambiente veramente originali.

Wentworth
02-January-2012, 22:45
Mi piace Robert Harris. Fatherland l'ho letto quando uscì e conservo un ottimo ricordo. Recentemente mi aveva entusiasmato Il Ghostwriter (anche il film è molto bello), mentre la scorsa estate ho letto Conspirata, non male ma lo preferisco quando scrive spy-stories o di fantapolitica.

dolores
07-January-2012, 14:57
I Navajo sono il gruppo più numeroso di nativi americani e sono famosi tra gli amanti dei fumetti per essere il popolo in cui vive Tex Willer. In origine erano pastori e guerrieri, in continua lotta con i Pueblos, di cui saccheggiavano i villaggi. I primi trattati con gli Stati Uniti vennero firmati nel 1846 e nel 1849, entrambi di breve durata, finché per pacificare la regione, nel 1863 Kit Carson (quello reale, non compagno di Tex) usò le maniere forti distruggendo gran parte delle loro greggi, riducendoli alla fame e costringendoli alla resa. Nel 1867, ormai persuaso di aver spento i loro istinti bellicosi, il governo creò la Riserva Navajo e donò loro nuovi greggi di pecore. La Riserva Navajo, la più grande degli USA, occupa una vastissima parte dell'Arizona e si spinge anche nel Nuovo Messico e nello Utah e ospita la bellissima Monument Valley, resa celebre da tanti film di John Ford e da “C'era una volta il West” di Sergio Leone.

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La Riserva Navajo è anche la suggestiva ambientazione dei gialli di Tony Hillerman, scrittore americano morto nel 2008. I suoi personaggi principali sono il tenente della polizia indiana Joe Leaporn e il sergente Jim Chee che indagano su misteri e delitti che molto spesso hanno radici nella spiritualità navajo. Pur attingendo ad una sensibilità antica, i due poliziotti riescono a destreggiarsi con abilità anche nelle indagini più complicate grazie al loro intuito ed alla loro grande umanità.
Il primo romanzo di Tony Hillerman è “Il canto del nemico” e, come i due successivi, vede protagonista solo Joe Leaporn, mentre Jim Chee fa il suo debutto nel libro “Il popolo delle tenebre” del 1980. Il primo giallo che li vede affiancati è “Lo stregone deve morire” del 1986.

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Tutti i romanzi di Tony Hillerman sono da leggere per la grande cura antropologica che li contraddistingue e per gli ottimi intrecci gialli che intrigano per la loro varietà. Tra i migliori, per me, ci sono “Ladri del tempo”, ambientato nelle rovine dell'antico popolo degli Anasazi; “Il vento oscuro”, “La via dei fantasmi”, "Il contagio” e “La maschera del Dio parlante”.

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Pubblicati originariamente solo nei gialli Mondadori, ultimamente alcuni gialli di Hillerman sono stati stampati anche da Piemme: "Morte nel canyon", "La notte degli sciamani", "Il mistero della riserva indiana", "Notte di Halloween".
Nella confinante riserva Hopi è invece ambientato un insolito giallo di Martin Cruz Smith “L'ala della notte”.

dolores
11-January-2012, 11:07
La struttura interna del romanzo poliziesco consente e quasi incoraggia l'utilizzo di intermezzi ironici, ma allo stesso tempo difficilmente permette l'uso dell'umorismo e della comicità. Uno dei gialli che sconfessa questa tesi è “Delitti da mille e una notte” di John Dickson Carr, in cui l'atmosfera stregata del museo in cui avviene un efferato omicidio viene stravolta dall'irruzione di uno scombinato professore ed è difficile seguire attentamente l'intreccio giallo per il gran divertimento di questa trama davvero stupenda.

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Uno scrittore che ha fatto dell'umorismo e della comicità il suo tratto caratteristico è invece Donald E. Westlake, prolifico giallista creatore del personaggio di John Dortmunder, sfigato ladro a cui ne capitano sempre di tutti i colori. A capo di una scalcagnata combriccola di sciagurati, Dortmunder fa il suo esordio nel 1970 nel romanzo “Gli ineffabili cinque” (The Hot Rock), che è stato portato sul grande schermo nel 1972 col titolo “La pietra che scotta” con Robert Redford nel ruolo di John Dortmunder. Visto il grande successo del libro le avventure dello sfortunato ladro sono proseguite con gli esilaranti “Come sbarcare il lunario” (Bank Shot), “Come ti rapisco il pupo” (Jimmy The Kid), “Nessuno è perfetto” (Nobody's perfect) e altri 9 divertenti romanzi.

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Oltre alla serie Dortmunder, Westlake ha scritto numerosi altri libri di indubbio spessore in cui fonde con maestria una perfetta costruzione gialla con un umorismo prorompente, inventando situazioni in partenza drammatiche che sfociano ben presto nel grottesco, senza per questo perdere la loro qualità “gialla”. Tra questi romanzi spiccano, “Guardie e ladri” del 1973, “Ma chi ha rapito Sassi Manoon?” del 1968, “Qualcuno mi deve del grano” del 1969, “Un bidone di guai” del 1971, “Ditelo con i fiori” del 1974 e “La danza degli aztechi” del 1976, che nel 1977 ebbe il privilegio di festeggiare il numero 1500 del Giallo Mondadori.

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Scrittore molto prolifico, Westlake scrisse numerosi altri gialli sotto lo pseudonimo di Richard Stark, che hanno come protagonista Parker, un duro, un autentico lupo solitario nella migliore tradizione dell'hard-boiled novel. Westlake si è inoltre servito dello pseudonimo di Tucker Coe per la serie in cui compare l'ex poliziotto Mitch Tobin, una singolare figura di investigatore che si isola sempre più al mondo per punirsi di essere stato l'involontaria causa della morte di un collega. Mitch Tobin compare nei romanzi “Oltre il muro”, "Oggi a voi, domani a lui”, e “La menzogna di Mitch Tobin”.

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dolores
13-January-2012, 09:47
Forse nessuno scrittore come James Ellroy ha sentito sulla sua carne i morsi feroci dei delitti che avrebbe poi descritto in tanti suoi libri. Nel 1958, quando Ellroy aveva 10 anni sua madre - Geneva - fu uccisa da un assassino rimasto sempre sconosciuto e questo delitto cambiò drasticamente la vita del giovane James. Dopo un adolescenza sbandata, in cui fece le esperienze più scellerate e più degradanti, Ellroy cercò la salvezza nella scrittura e nel giallo, che gli permise, da un lato, di sfruttare la conoscenza dei bassifondi e delle periferie più malfamate, e dall'altro gli consentì di trovare una catarsi letteraria del brutale omicidio della madre.

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Il suo primo romanzo fu “Prega detective”, in cui si trovano i punti fermi della sua produzione giallistica: Los Angeles, gli anni Quaranta- Cinquanta, le donne fatali, la polizia corrotta e/o incapace e violenta, il linguaggio nervoso e frenetico e le trame intrecciate che alla fine si riuniscono per creare un finale gonfio di amarezza e di sconfitte. A questo primo lavoro, che fu molto apprezzato, seguirono romanzi come “Clandestino”, “Le strade dell'innocenza”, “Perché la notte” e “La collina dei suicidi”, in cui James Ellroy analizza sempre lo stesso mondo in cui è rimasto imprigionato dall'infanzia, quasi a rivivere e scontare ogni volta il suo trauma infantile.

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La svolta della sua carriera avvenne nel 1987 con “Dalia Nera”, un romanzo ispirato dalla morte di Elizabet Short (“La Dalia Nera” appunto), avvenuto nel 1947. In questo libro Ellroy mette a frutto e porta a compimento tutti i suoi tentativi di ricreare la vita di quegli anni tumultuosi e violenti della Hollywoodland del dopoguerra (solo dopo, nel 1949 perse il suffisso land, diventando la scintillante Hollywood mecca del cinema).
“Dalia Nera” è anche il primo capitolo della cosiddetta “Tetralogia di Los Angeles”, composta anche da “Il grande nulla”, “L.A. Confidential” e “White Jazz”, romanzi caratterizzati da una stretta interdipendenza e dal perfezionamento dal metodo di scrittura di Ellroy, che ha come punti di forza la brevità delle frasi, la netta predilezione per il dialogo a discapito delle descrizioni e soprattutto la visione cupa e quasi disperata dell'umanità, costretta a fare a pugni ogni giorno per avere una speranza di un miglioramento, che si dimostrerà sempre un'irridente illusione.

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Con “American Tabloid”, primo atto della cosiddetta “Trilogia americana”, lo scrittore alza il tiro e - ormai consapevole della sua capacità di illustrare al meglio la vita del suo Paese - osa affrontare il momento in cui l'America perse l'innocenza, ovvero il delitto Kennedy. Il romanzo è un disperato affresco di quegli anni crudeli e l'icastica scrittura di Ellroy ci immerge in un inferno contemporaneo, descritto con la consueta realistica paranoia.
Dopo aver affrontato direttamente il peccato originale pubblico, James Ellroy si sente pronto per affrontare in prima persona quello suo personale, l'omicidio di Geneva, e da questa consapevolezza nasce nel 1996 “I miei luoghi oscuri”, cronaca dell'omicidio e delle infruttuose indagini dello scrittore per trovare il colpevole dell'efferato assassinio della madre.

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“Sei pezzi da mille”, il seguito di “American Tabloid”, affronta i mille misteri e i mille complotti che si intrecciano nell'America nel periodo tra l'omicidio di Kennedy e la fucilata che pose fine alla vita di Martin Luther King. Nel terzo e ultimo capitolo della trilogia, “Il sangue è randagio”, viene invece analizzata la politica e la vita americana della fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, e l'autobiografia di una nazione che tanto aveva affascinato nei primi due atti, perde mordente e diventa confusa ed oscura, forse perché Ellroy si trova fuori dal suo ambiente amniotico: gli anni della tragedia e quelli della dissolutezza, che ha saputo descrivere in maniera mirabile.

dolores
16-January-2012, 15:21
Patricia Highsmith è universalmente considerata dai critici come una delle migliori autrici, sempre presente ai primi posti nelle svariate classifiche sui migliori gialli di tutti i tempi. E’ una grande scrittrice che esplora con particolare bravura i lati più oscuri del nostro vivere quotidiano. Proprio questa sua analisi così cinica del mondo le ha alienato il grande successo che ha arriso, invece, a giallisti meno dotati e più scialbi. Patricia Highsmith nei suoi libri scardina le basi del romanzo giallo che tende a dare una risposta consolatoria agli sconvolgimenti causati dal delitto riportando la situazione all'ordine turbato dal crimine; nei suoi libri, invece, l'inquietudine e il turbamento continuano a macerare la nostra mente convincendoci che, a differenza di quanto affermava Pangloss nel "Candido" di Voltaire, non viviamo nel migliore dei mondi possibili.

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Il talento della Highsmith si mise in luce sin dal suo primo romanzo, "Sconosciuti in treno", che fu portato sullo schermo nientemeno che da Sir Alfred Hitchcock nel suo film "Delitto per delitto". In tutti i suoi lavori successivi sono presenti pericoli e situazioni al limite del possibile, in cui le catastrofi avvengono nei modi più particolari come in "Catastrofi più o meno naturali", oppure, come in "Delitti bestiali", i nostri amici animali sono protagonisti di storie piuttosto allarmanti, mentre in "Piccoli racconti di misoginia" le donne sono vittime di piccoli e grandi soprusi narrati con cinismo e una particolare vena di sadismo. Attraverso la misantropia dell'autrice de "Il talento di Mr. Ripley" ci viene mostrata una parte del mondo poco descritta nei romanzi gialli ma molto, molto angosciosa e minacciosa.

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Dice Graham Greene della Highsmith : “E’ una scrittrice che ha creato un proprio mondo – un mondo claustrofobico ed irrazionale nel quale ogni volta entriamo con una sensazione di pericolo personale con il capo mezzo girato all’indietro , persino con una certa riluttanza”.

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Ed ancora, dice un altro fan viscerale della Highsmith, che risponde al nome di Andrea Camilleri: “La normale terribilità di questa autrice è che tutti i suoi racconti iniziano mostrando un quadretto rassicurante quotidiano, perfino banale e ad un tratto qualcosa, un niente, un inciampo, incrina quel quadretto, lo fa in mille pezzi, lo ricompone in una dimensione irrazionale, metafisica, totalmente spiazzante… Ti trovi ad un tratto trasportato, assieme ai personaggi del racconto, in un mondo nel quale non vorresti mai essere entrato”.

dolores
20-January-2012, 14:17
Sin dalla sua nascita il genere giallo ha avuto una struttura narrativa che ignorava le tensioni interne della società e si chiudeva nel ristretto perimetro dell'inchiesta senza interessarsi del mondo che ferveva al di fuori delll'intrigo. Come per rendere ancor più evidente questo agnocistismo sociale molti romanzi si svolgono in posti chiusi e isolati come isole, castelli, magioni signorili e ville da nababbi, senza nessun collegamento sia fisico che ideale con il momento storico in cui è incastonata la storia.
Solo da poco le questioni sociali fanno da sfondo ai romanzi di detection e Petros Markaris, scrittore e sceneggiatore greco, valido collaboratore di Theo Angelopoulos, è uno dei più validi esponenti di questa nuova frontiera della letteratura gialla. Nel suo ultimo libro "Prestiti scaduti" il commissario Kostas Charitos indaga su raccapriccianti delitti che hanno come movente e come sfondo la drammmatica crisi economica che scuote la Grecia. Dotato di grande umanità e perspicacia Charitos, affascinate Maigret mediterraneo, riesce a scoprire gli intrighi che si nascondono dietro gli omicidi, ma soprattutto ci guida con mano nella vita di una Atene allo sbando, ma ancora vitale e intrigante.

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Markaris è un maestro nell'alternare la trama poliziesca a frammenti di vita familiare del commissario, ora occupato nei preparativi del matrimonio della figlia, ora impegnato a litigare bonariamente con la moglie Adriana, ottima cuoca preoccupata di sbarcare il lunario, oppure interessato ad ogni lemma del vocabolario che studia devotamente.

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Il primo romanzo di Petros Markaris è stato "Ultime della notte"del 2000, seguito nel 2002 da "Difesa a zona", da "Si è suicidato il Che" del 2004, "La lunga estate calda del commissario Charitos" del 2007, dal volume di racconti "I labirinti di Atene" del 2008 e da "La balia" del 2009 ambientato a Istanbul, citta natale di Markaris.

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I romanzi di Markaris hanno come comun denominatore una serrata critica al mondo del giornalismo e all'ambiente affaristico, famelici complici che hanno creato i presupposti per il fallimento dell'economia greca.

dolores
24-January-2012, 09:29
Una delle più grandi gialliste contemporanee a livello mondiale è Donna Leon. Statunitense, ha venduto milioni di libri in tutti i paesi del mondo, meno che in Italia dove non è pubblicata. La cosa a prima vista suona strana per più di un motivo: vive in Italia (a Venezia per la precisione) da 25 anni e scrive di storie italiane, anzi italianissime (fin troppo, al punto da risultare stucchevole a noi con i suoi stereotipi), ambientate - appunto - nella città lagunare. Il suo detective è il commissario Guido Brunetti, sposato con Paola, insegnante di Inglese all’universita e grande cuoca, nonché amorevole madre di famiglia (hanno due figli intorno ai dieci anni). Tra i collaboratori di Brunetti spiccano il fedele ispettore Vianello e la bella segretaria factotum con grandi capacità deduttive, “la signorina” Elettra, più tutto un universo di caratteri fin troppo italici, ma bisogna riconoscere molto abilmente descritti. Della saga Brunetti Donna Leon ha pubblicato, se non sbaglio, 20 romanzi. Brunetti è un puro, sempre in lotta solitaria contro una società corrotta e decadente ed una macchina della giustizia kafkiana e mafiosa a dir poco.

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Tutte le nostre principali case editrici si sono offerte di pubblicarla in Italiano, ma Donna ha sempre rifiutato accampando la scusa che, vivendo proprio qui, vuole godersi il suo anonimato. Per lo stesso motivo rifiuta interviste e servizi su media e giornali italiani. Scusa a dir poco debole. Come dire che Umberto Eco non può uscire di casa a Bologna o Camilleri a Roma perché verrebbero assaltati da orde di fan.

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L’impressione di alcuni invece è che abbia paura delle ripercussioni di quanto scrive. Anche questa motivazione non regge per due motivi: 1) siamo il paese più tollerante alle critiche del mondo, 2) il caso non è neppure lontanamente confrontabile a Gomorra di Saviano, tanto per fare un esempio. Non ci dimentichiamo che Sciascia, pur denunciando i metodi e delitti della mafia, ha continuato a circolare tranquillamente a Palermo (e Palermo non è Venezia) per tutta la vita.
Rimane il rammarico di non poterla leggere in Italiano fino a quando non morirà, e siccome non è così anziana (nemmeno 70 anni), forse c’è da aspettare anche molto.

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dolores
30-January-2012, 16:39
Per proseguire nel settore degli autori stranieri contemporanei che hanno ambientato in Italia i loro romanzi gialli, dopo Donna Leon vorrei citare Magdalen Nabb, scrittrice inglese naturalizzata a Firenze, dove ha vissuto per più di 30 anni, fino alla sua morte avvenuta nel 2007.
Protagonista dei romanzi della Nabb è il maresciallo Salvatore Guarnaccia, siciliano grasso e impacciato ma di grande intuito, che lacrima sempre per una fastidiosa allergia e un po’ spaesato in quanto trapiantato dal sud con difficoltà a capire la mentalità dei fiorentini. La Nabb incontra nel mondo reale il maresciallo, comandante della stazione di Montelupo . Abitando vicino alla caserma, comincia a frequentarla facendosi introdurre nel mondo dei crimini fiorentini.
La saga di Guernaccia si compone di quattordici romanzi di cui una decina pubblicati in Italia alcuni da Passagli ed altri da Rusconi.

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Romanzi della serie Maresciallo Guarnaccia:
Morte di un inglese, 1981;
Morte di un olandese, 1982;
Morte in primavera, 1983;
Morte in autunno, 1985;
Il maresciallo e l'assassino, 1987;
Il maresciallo e la pazza, 1988;
Il maresciallo a Villa Torrini, 1993;
L'innocente, 2005;
Vita Nuova, 2008.

Sin dal primo romanzo si fa largo anche il personaggio del capitano Mastrandrea, nella realtà capitano d’Andrea che si congederà poi dall’arma con il grado di generale. D’Andrea diventa il suo vero consulente, oltre che amico, il vero riferimento per disegnare la vita di tutti i giorni che circonda una caserma dei carabinieri.

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Sin dal primo romanzo diviene uno sfegatato fan della Nabb Georges Simenon, che per la prima ed ultima volta nella sua vita scrive anche la presentazione del libro di un altro autore (introduzione a Morte in Primavera):
“Cara amica e collega,
Che piacere vagare con te per le strade di Firenze, con l’arma dei carabinieri, con la gente che lavora, le sue trattorie, ed anche i turisti rumorosi. E’ tutto così vivo: si odono i suoni , si sentono gli odori , percepibili come nebbia luminosa della mattina sopra l’acqua che scorre nell’Arno; e poi a piedi fino a dove i pastori sardi, le tradizioni e il ritmo quasi invariato del loro stile di vita, sono così abilmente ritratti. Che cosa non avrebbe dato chiunque di noi per poter gustare la loro fresca ricotta!
Sei riuscita ad assorbire tutto, ed ogni cosa si ritrae così vivacemente, dai vari caratteri dei carabinieri, all’ineffabile sostituto procuratore, alle trattorie fiorentine nelle prime ore del mattino. Non c'è mai una nota falsa. Sei riuscita anche a catturare quella fragranza nell'aria che è così particolare in questa città e la campagna ancora selvaggia a portata di mano.
Questo è un romanzo da gustare appieno, ancor più dei tuoi due precedenti. E’ la prima volta che ho visto così semplicemente e così plausibilmente trattato il difficile tema del rapimento. Sebbene il cast di personaggi sia vasto, sono così impressionato di come gli ingressi e le uscite sono facilmente ed efficacemente descritti con poche parole. Bravissima! Puoi dire di avere mantenuto la tua promessa.
Georges Simenon”

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La Nabb si occupa anche del Mostro di Firenze con un suo romanzo del 1996 (The Monster of Florence). Il romanzo per volere dell’autrice non fu edito in Italia. In più di una intervista l’autrice si è dichiarata fortemente critica sia con la conduzione delle indagini che con le varie conclusioni dei processi a Pacciani ed ai “compagni di merende”.

dolores
05-February-2012, 17:14
Solitamente lo scrittore di romanzi gialli frequenta il delitto esclusivamente nella sua fantasia e lo concepisce come punto d'origine di una trama che porta alla scoperta rapida oppure lenta e faticosa dell'assassino. La scrittrice inglese Juliet Marion Hulme più conosciuta come Anne Perry, invece, fu protagonista di un clamoroso omicidio che nel 1954 sconvolse il Regno Unito: appena sedicenne Juliet, assieme all'intima amica Pauline Parker uccise la madre di quest'ultima a colpi di pietra. Questo sensazionale caso di cronaca nera ispirò ben due film (la pellicola francese “E non liberarci dal male” e il film neozelandese “Creature del cielo” diretto da Peter Jackson, che poi divenne famoso per la trasposizione de “Il signore degli anelli”).
Abbastanza stranamente il passato di Anne Perry fu per tanto tempo nascosto alla sempre crescente schiera di affezionati lettori. Questa è la stringata biografia che accompagna l'edizione di “Funerale in blu” pubblicata nella collana I classici del Giallo Mondadori nel 2003: “Anne Perry nasce a Londra nel 1938. Dopo un lungo periodo trascorso in giro per il mondo, la scrittrice raggiunge un vasto successo internazionale con un romanzo poliziesco ambientato in epoca vittoriana. Incomincia così la serie dedicata all'ispettore Pitt, a cui farà seguito quella incentrata su William Monk”.
Franco Fossati nel suo “Dizionario del genere poliziesco” edito da Vallardi le dedica questa voce: “Anne Perry. Nata a Londra nel 1938 Anne Perry ha fatto l'hostess di aria e di terra, lavorando anche nel settore alberghiero, nella moda e nelle assicurazioni. Ha trascorso diversi anni negli Stati Uniti diventando mormone ed è tornata in Gran Bretagna nel 1972. Dopo aver scritto alcuni romanzi storici senza ottenere alcun successo, a metà degli anni Settanta ha l'idea di scrivere un romanzo poliziesco ambientato nella Londra vittoriana e dà vita all'ispettore Thomas Pitt, da allora protagonista di numerose avventure accolte con grande favore soprattutto in Gran Bretagna, dove i lettori possono cogliere e apprezzare l'affascinante precisione storica dell'autrice”.
E' proprio un capolavoro di sviamento dalla realtà, che invece vede la giovane Juliet scontare in carcere cinque anni di detenzione perché all'epoca dell'omicidio era troppo giovane per essere condannata a morte.

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Il romanzo poliziesco d'esordio di Anne Perry è stato “Il boia di Cater Street”, pubblicato nel 1979, in cui facciamo la conoscenza di Thomas Pitt, giovane e determinato poliziotto, che incontra la sua futura moglie, Charlotte Ellison, dama dell'alta società londinese che lo aiuta nelle indagini sulla misteriosa scomparsa di una ragazza figlia di un amico di famiglia. Ambientato nel 1881, nello stesso periodo in cui Jack lo Squartatore e Sherlock Holmes percorrono le nebbiose strade londinesi, il romanzo offre un perfetto spaccato della società vittoriana con le sue regole rigidissime, le sue stridenti ipocrisie e il suo classismo esasperato. A questi schemi intollerabili si ribella Charlotte aiutata dalla sorella Emily e da Lady Vespasia Cumming-Gould, anziana nobildonna simpatizzante del movimento femminista delle suffragette, che permette alla coppia di investigatrici di entrare nel mondo dell'alta società, spesso protagonista di orrendi misfatti e precluso alle indagini dell'ispettore Pitt. Bisogna tener conto infatti che la polizia londinese (fondata da Sir Robert Peel nel 1829 e i cui agenti vennero chiamati “bobbies” in suo onore) era vista dai rappresentanti dell'alta società come un'organizzazione di subordinati, capaci a mala pena di sedare una rissa e utili a proteggere il loro mondo dorato e corrotto, ma non meritevole di nessun rispetto e considerazione.

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I romanzi successivi a “Il boia di Cater Street”, che era stato concepito come episodio unico, hanno la particolarità di citare nel titolo vere località londinesi come Bluegate Fields, Highgate Rise e Callander Square. Questi sono i romanzi di Anne Perry che hanno come protagonista Thomas Pitt:
1979 - Il boia di Cater Street (The Cater Street Hangman), Il Giallo Mondadori n. 1720; I Classici del Giallo Mondadori n. 803
1980 - I peccati di Callander Square (Callander Square), Il Giallo Mondadori n. 1792; I Classici del Giallo Mondadori n. 828
1981 - I misteri di Paragon Walk (Paragon Walk), Il Giallo Mondadori n. 1816; I Classici del Giallo Mondadori n. 841
1981 - I bassifondi di Resurrection Row (Resurrection Row), Il Giallo Mondadori n. 2225
1984 - Tragedia a Bluegate Fields (Bluegate Fields), Il Giallo Mondadori n. 2174
1983 - Delitti a Rutland Place (Rutland Place), Il Giallo Mondadori n. 2292
1985 - Incubo a Devil's Acre (Death in Devil's Acre), Il Giallo Mondadori n. 2140; I Classici del Giallo Mondadori n. 935
1987 - Scandalo a Cardington Crescent (Cardington Crescent), Il Giallo Mondadori n. 2128; I Classici del Giallo Mondadori n. 885
1988 - Silenzio in Hanover Close (Silence in Hanover Close), Il Giallo Mondadori n. 2190
1990 - Intrighi a Bethlehem Road (Bethlehem Road), Il Giallo Mondadori n. 2216
1991 - Incendio a Highgate Rise (Highgate Rise), Il Giallo Mondadori n. 2268
1992 - Ombre su Belgrave Square (Belgrave Square), Il Giallo Mondadori n. 2320
1993 - Veleni a Farrier's Lane (Farrier's Lane), Il Giallo Mondadori n. 2375
1994 - Il parco delle teste tagliate (The Hyde Park Headsman), Il Giallo Mondadori n. 2475
1995 - L'arco dei traditori (Traitors Gate), Il Giallo Mondadori n. 2633
1996 - Il battesimo (Pentecost Alley), finalista Edgar Award 1997, Il Giallo Mondadori n. 2681; Mondadori Superblues
1997 - Il maniero (Ashworth Hall), Il Giallo Mondadori n. 2737
1998 - Brunswick Gardens
1999 - Bedford Square (Bedford Square), Il Giallo Mondadori n. 2703
1998 - I segreti di Half Moon Street (Half Moon Street), Il Giallo Mondadori n. 2774
2001 - Il complotto di Whitechapel (The Whitechapel Conspiracy), I Classici del Giallo Mondadori n. 969
2002 - La medium di Southampton Row (Southampton Row), I Classici del Giallo Mondadori n. 1014
2003 - L'amante egiziana (Seven Dials), I Classici de Il Giallo Mondadori n. 1053
2005 - In un vicolo cieco (Long Spoon Lane), Collezione Immaginario Dark (Fanucci Editore, 2006)
2008 - Buckingham Palace Gardens
2010 - Betrayal at Lisson Grove
2011 - Dorchester Terrace

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dolores
05-February-2012, 17:37
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Nel 1990 con il romanzo “Il volto di uno sconosciuto” Anne Perry dà il via ad una serie di gialli che vede la partecipazione di un nuovo personaggio, l'ispettore William Monk. Come Thomas Pitt anche Monk nasce di umili origini, figlio di un pescatore, ma riesce a salire la scala sociale diventando poliziotto per lottare contro la sopraffazione e l'ingiustizia. Ambientati in un periodo precedente della storia britannica (William Monk ebbe un incidente nel 1856 in cui perse la memoria), i romanzi di questa serie condividono gli stessi valori di critica della società perbenista, ciecamente convinta di essere il sale della terra, già ampiamente messi in risalto dalla serie principale. Per esempio nel romanzo “Una morte terribile e improvvisa” del 1993 William Monk, non più funzionario di polizia ma investigatore privato, indaga sul delitto di una delle infermiere di Florence Nightingale (la famosa “signora della lampada” eroina della guerra di Crimea, creatrice della moderna assistenza infermieristica) e si fa strada tra tradimenti, slealtà e omertà di casta scoprendo l'infernale mondo ospedaliero e il dramma sociale molto frequente ma innominabile dell'aborto. Questi sono i romanzi della serie Monk:

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1990 - Il volto di uno sconosciuto (The Face of a Stranger), Il Giallo Mondadori n. 2252
1991 - Lutto pericoloso (A Dangerous Mourning), Il Giallo Mondadori n. 2310
1992 - Scandalo in famiglia (Defend and Betray), Il Giallo Mondadori n. 2345
1993 - Una morte terribile e improvvisa (A Sudden, Fearful Death), Il Giallo Mondadori n. 2414
1994 - I peccati della lupa (Sins of the Wolf), Il Giallo Mondadori n. 2437
1995 - La maledizione di Caino (Cain His Brother), Il Giallo Mondadori n. 2557
1996 - Il piatto della bilancia (Weighed in the Balance), Il Giallo Mondadori n. 2581
1997 - Il prezzo della colpa (The Silent Cry), Il Giallo Mondadori n. 2605
1997 - Tragica promessa (The Whited Sepulchres o A Breach of Promise), I Classici de Il Giallo Mondadori n. 1037
1999 - La radice del delitto (The Twisted Root), Il Giallo Mondadori n. 2751
2000 - Delitti tra nord e sud (Slaves of Obsession), I Classici de Il Giallo Mondadori n. 944
2001 - Funerale in blu (A Funeral in Blue), I Classici de Il Giallo Mondadori n. 983
2002 - Morte di uno sconosciuto (Death of a Stranger), I Classici de Il Giallo Mondadori n. 1000
2004 - Il carico d'avorio (The Shifting Tide), I Classici de Il Giallo Mondadori n. 1069
2006 - Il fiume mortale (Dark Assassin), Roma: Fanucci Editore, 2009 (Vintage)
2009 - Assassinio sul molo (Execution Dock) (Fanucci, 2010)

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Oltre alle due serie principali Anne Perry ha da poco iniziato un nuovo filone ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, costituito da:

2003 - Alto tradimento (No Graves as Yet: 1914), Collezione Immaginario Dark (Fanucci Editore, 2005) e TIF - Tascabile Immaginario Fanucci (Fanucci Editore, 2006)
2004 - Giustizia in prima linea (Shoulder the Sky: 1915), (Fanucci Editore, 2005)
2005 - Angeli nell'ombra (Angels in the Gloom: 1916), (Fanucci Editore, 2006)
2006 - Appuntamento con la morte (At Some Disputed Barricade: 1917), (Hobby & Work, 2009)
2007 - We Shall Not Sleep: 1918

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dolores
09-February-2012, 14:21
Nato nel fertile humus culturale ed intellettuale del Positivismo ottocentesco come il romanzo poliziesco, il genere fantascientifico fu nei primi tempi latore di una visione fiduciosa nel futuro e ottimistica delle “magnifiche e progressive sorti delle umane genti”. Caratterizzato da trame ricche di speculazioni tecnologiche e di mondi “paralleli” la fantascienza sembra a prima vista un genere lontanissimo dal giallo, eppure molti scrittori di Science Fiction si cimentarono con buoni risultati negli intrecci di detection.
A partire dal maggiore esponente del genere, Isaac Asimov, diversi autori furono attratti da entrambi i generi letterari. Isaac Asimov, nato in Russia nel 1920, fu il maestro incontrastato della fantascienza mondiale, portata da lui a livelli filosofici e letterari di prim'ordine. Uno dei suoi più grandi successi fu il ciclo di “Fondazione” grande affresco che racconta la nascita e la morte di un impero che ricorda tanto quello Romano e che vede la grande intuizione della “psicostoria”, scienza immaginaria che consente di prevedere il comportamento umano in situazioni di svolta storica. Oltre a questo capolavoro Asimov è anche ricordato per “Io, robot”, “Viaggio allucinante”, “Paria dei cieli”, “Il tiranno dei mondi” e “Notturno”, scritto con Robert Silverberg, che da molti è considerato il miglior romanzo di fantascienza di tutti i tempi.

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La produzione gialla di Asimov è focalizzata sui racconti brevi della serie dei “Vedovi neri”, un gruppo di professionisti che ospitano un personaggio importante che pone loro un problema apparentemente insolubile e che viene risolto immancabilmente dal meno quotato del raduno: il maggiordomo.
Pur ingessati dallo schema rigido della narrazione, questi racconti sono molto godibili per la fantasia e l'immaginazione di Asimov che spiazza e sorprende ogni volta. Le raccolte dei racconti dei Vedovi Neri sono:
“I racconti dei Vedovi Neri”
“Altri racconti dei Vedovi Neri”
“Il club dei Vedovi Neri”
“Gli enigmi dei Vedovi Neri”
“Il ritorno dei Vedovi Neri”

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Oltre a queste raccolte sono meritevoli di considerazione anche i romanzi “Rompicapo in quattro giornate”, “Un soffio di morte” e “Gli enigmi dell'Union Club”, che riprende lo schema usato nei racconti dei Vedovi Neri ambientandolo nell'Union Club, dove il dipanatore delle matasse è il perspicace Griswold.

dolores
10-February-2012, 14:40
Se Isaac Asimov era uno scrittore di fantascienza prestato al giallo, Fredric Brown invece riuscì ad eccellere in ambedue gli ambiti letterari. Il suo romanzo giallo più noto è “I delitti di Babbo Natale” (conosciuto anche col titolo di “Il delitto che diverte”), dove un commediografo di successo immagina la trama di un Babbo Natale che in piena estate gironzola per New York, raggiunge un grattacielo e lì compie un omicidio riuscendo a far perdere le proprie tracce. La trama sembra incredibile ma il principale di Bill Tracy, il commediografo ispirato, viene assassinato proprio da un babbo natale che si fa vedere platelmente nelle strade della Grande Mela. Poco dopo un'altra delle sue bizzarre idee viene messa in opera proprio nel palazzo dove abita e Bill deve improvvisarsi investigatore per salvare la pelle.
Tra le altre sue opere sono da ricordare “La statua che urla” (che ha ispirato il thriller d'esordio di Dario Argento “L'uccello dalle piume di cristallo”) e “Il sangue nel vicolo” (primo romanzo di Brown) che vinse il premio Edgar Allan Poe come migliore opera prima e che fu molto apprezzato dai critici che paragonarono Fredric Brown a mostri sacri del calibro di James M. Cain e Raymond Chandler.

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Un altro scrittore di fantascienza attratto dalle trame poliziesche è stato Jack Vance, autore dei cicli “della Terra Morente” e “dei Principi Demoni”, che fu tanto stimato da Frederic Dannay e Manfred Lee (i cugini creatori di Ellery Queen), che gli commissionarono alcuni romanzi siglati con la firma storica della coppia. Infatti i notevoli romanzi “Una stanza per morirci” e “Il seme della follia” scritti da Jack Vance sono stati pubblicati con il nome di Ellery Queen.

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Un altro dei più famosi romanzi di Ellery Queen fu scritto da uno dei maggiori autori di Science fiction. “Bentornato, Ellery” fu infatti ideato da Theodeore Sturgeon, grande autore di romanzi ambientati nel futuro e sceneggiatore di “Star Trek”, celebre anche per la legge di Sturgeon: "Il novanta percento della fantascienza è spazzatura, ma in effetti il novanta percento di tutto è spazzatura".
Nel gruppo di autori di Ellery Queen ci fu anche Avram Davidson, altro nome noto ai cultori della fantascienza, che scrisse due ottimi gialli “E l'ottavo giorno”, “Il quarto lato del triangolo” e un onesto ma scialbo “La febbre dell'ottone”, sempre con il nome di Queen.

dolores
11-February-2012, 12:14
Ieri nella discussione "Curiosità sul giallo" in aNobii ho trovato un intervento molto interessante, che mi ha rallegrata, allora ho scritto all'interessato per avere il suo permesso di postarlo qui. Mi ha risposto subito autorizzandomi a farlo. Quindi, ringraziando C.K.Bare per la sua disponibilità, procedo. :D

http://www.jrrtolkien.it/wp-content/uploads/2012/01/Luomo-che-fu-giovedì.jpg

"Dopotutto io sono piu' di un diavolo: sono un uomo. Posso fare l'unica cosa che Satana stesso non potrà mai fare: posso morire".
(L'uomo che fu Giovedi)

"Voi potete pensare che un delitto è orribile, perché non potreste mai commetterlo. Io, invece, lo penso orribile appunto perché potrei commetterlo". (Ibidem)

Mi sono imbattuto recentemente in un articolo di Sciascia degli anni ‘80 dove lo stesso per spiegare la percezione popolare sulla reale natura delle Brigate Rosse citava proprio “L’uomo che fu Giovedì” di Gilbert Keith Chesterton (1874-1936). Ricordavo di averlo letto circa 40 anni fa (eh si, gli anni passano… ) ma non di cosa trattasse, perciò l’ho ricercato e riletto, ritrovando grandi pagine di letteratura.
Di Chesterton è stato già detto qualcosa da Chomsky, ma consentitemi di aggiungere dell’altro. Inglese, scrittore di grande prolificità, giornalista, umorista, aforista ecc.. è stato autore popolarissimo tra le due guerre. “L’uomo che fu Giovedì” è indubbiamente un grande romanzo dalla trama sofisticata che offre pagine di letteratura elevatissima: un poliziotto si infiltra in una pericolosissima organizzazione segreta di anarchici il cui direttivo comprende 7 membri anonimi identificati con i nomi dei giorni della settimana. Il capo supremo è il terribile Domenica. A mano a mano che Giovedì si confronta con gli altri componenti del direttivo scopre come, uno ad uno, siano anche essi poliziotti e tutti reclutati da Domenica stesso. Il romanzo piacque tantissimo anche a Mussolini che divenne fervido ammiratore e lettore di Chesterton. Dobbiamo poi a Chesterton la saga dei racconti gialli di Padre Brown , impersonato nella serie televisiva omonima da Renato Rascel, primo prete investigatore della storia della nostra televisione. Quelli dedicati a Padre Brown sono circa 50 racconti in 5 volumi che recentemente dovrebbero essere stati riproposti anche da Morganti Editori.

“Chesterton ha scritto una delicatissima caricatura delle novelle poliziesche piú che delle novelle poliziesche propriamente dette. Il padre Brown è un cattolico che prende in giro il modo di pensare meccanico dei protestanti e il libro è fondamentalmente un'apologia della Chiesa Romana contro la Chiesa Anglicana. Sherlock Holmes è il poliziotto «protestante» che trova il bandolo di una matassa criminale partendo dall'esterno, basandosi sulla scienza, sul metodo sperimentale, sull'induzione. Padre Brown è il prete cattolico, che attraverso le raffinate esperienze psicologiche date dalla confessione e dal lavorio di casistica morale dei padri, pur senza trascurare la scienza e l'esperienza, ma basandosi specialmente sulla deduzione e sull'introspezione, batte Sherlock Holmes in pieno, lo fa apparire un ragazzetto pretenzioso, ne mostra l'angustia e la meschinità. D'altra parte Chesterton è grande artista, mentre Conan Doyle era un mediocre scrittore. In Chesterton c'è un distacco stilistico tra il contenuto, l'intrigo poliziesco e la forma, quindi una sottile ironia verso la materia trattata che rende tra i piú gustosi i suoi racconti”.

La citazione proviene dalle “Lettere dal carcere” di Antonio Gramsci, anche lui grande ammiratore di Chesterton. Che io sappia, la letteratura di Chesterton rimane l’unica cosa che metteva allora d’accordo Mussolini e Gramsci…

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dolores
15-February-2012, 10:18
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Wells, Carolina del Nord. 1965. Nella piccola e sonnolenta cittadina del sud-est degli Stati Uniti viene trovato il corpo senza vita di Enrico Mantoli, direttore d'orchestra italiano che stava organizzando un festival di musica classica che avrebbe risollevato le sorti della località in gravi difficoltà economiche. Nel rituale giro di perlustrazione per individuare eventuali sospetti il poliziotto di ronda scopre nella sala d'aspetto della stazione un negro che detiene nel portafogli una grossa somma di denaro. Quando lo conduce dinanzi al capo della polizia si scopre che il negro è un ispettore della Squadra Omicidi della polizia di Pasadena, in California, Virgil Tibbs, recatosi a Wells per far visita all'anziana madre. Vincendo tutti i pregiudizi razziali che opprimono la vita cittadina, facendo leva sulle sue grandi capacità deduttive Virgil Tibbs riesce a scoprire il colpevole dell'omicidio nonostante l'estrema ostilità del capo della polizia, che alla fine riconoscerà i meriti dello straniero.
Questa è la trama di “La notte calda dell'ispettore Tibbs”, romanzo d'esordio dello scrittore bianco John Ball. Virgil Tibbs è il primo investigatore di colore della storia del giallo, se non consideriamo alcuni esponenti completamente dimenticati da tempo come Florian Slappey oppure Pharaoh Love.

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La carica sovversiva di un personaggio come Virgil Tibbs è ancor più notevole se si considera il periodo in cui il romanzo è stato scritto. Nel 1965 erano passati più di dieci anni da quando l'attivista per i diritti umani Rosa Parks venne arrestata per non aver ceduto ad un bianco il suo posto nell'autobus e le discriminazioni nei confronti dei neri erano continue e venivano considerate normali. Nel romanzo sono evidenziati bene questi scenari di apartheid perché a Tibbs viene negato l'ingresso nel bar anche se ormai era conosciuta la sua appartenenza alla polizia e ai negri vengono riservati dottori e sale d'aspetto distinti da quelli per WASP (White, Anglo-Saxon Protestant).
Virgil Tibbs è un poliziotto acuto, sensibile e intelligente e a queste doti unisce una notevole prestanza fisica e una profonda conoscenza delle arti marziali, è cintura nera di karate (ha studiato con il celebre maestro Nishiyama) ed è anche esperto di aikido. Per pagarsi gli studi ha lavato piatti ed è stato inserviente alla mensa nella sua università. Il personaggio di Virgil Tibbs è talmente reale (e se posso permettermi un giudizio, assomiglia come carisma al presidente americano Barack Obama), che la polizia di Pasadena ha deciso subito di iscriverne il nome nei suoi ruoli, come se fosse autentico, un onore mai toccato prima ai grandi investigatori della fiction poliziesca.
Il romanzo ebbe tanto successo che Norman Jewison ne girò immediatamente la versione cinematografica che vinse ben 5 premi Oscar grazie anche alla superba interpretazione di Sidney Poitier nel ruolo di Virgil Tibbs.
Nel 1966 fu pubblicato il secondo romanzo di John Ball “The Cool Cottontail” (Virgil Tibbs e il morto senza nome) a cui seguirono “Virgil Tibbs: Prendi la berta Johnny” (Johnny Get Your Gun), “Virgil Tibbs: cinque giade preziose” (Five Pieces of Jade), “Virgil Tibbs e gli occhi di Buddha” (Eyes of the Buddha) dove per scoprire l'assassino di una giovane donna uccisa in un parco di Pasadena l'ispettore Tibbs si recherà anche in Nepal, “Una moglie per Virgil Tibbs” (Then Came Violence) e “Virgil Tibbs a Singapore” (Singapore).
Al ciclo di gialli dedicato a Tibbs John Ball affiancò anche alcuni romanzi che hanno come protagonista il capitano Jack Tallon, “Un poliziotto tranquillo” e “Guai in vista capitano Tallon”, in cui Ball mostra il suo grande talento di osservatore del costume sociale.

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Oltre a Tibbs un altro investigatore di colore è diventato protagonista della letteratura e del cinema giallo. Si tratta dell'investigatore privato John Shaft, creato dalla fantasia di Ernest Tidyman, giornalista e sceneggiatore famoso anche per la sceneggiatura del film “Il braccio violento della legge”. Mentre Tibbs è il nero “perbene” elegante cultore di filosofia, Shaft è il tipico ragazzo di Harlem, il ghetto nero di New York. Rimasto orfano giovanissimo, è cresciuto in mezzo alla strada come tanti suoi coetanei negri, vivendo di piccoli furti. Durante la ferma militare si arruola nei Marines e viene spedito in Vietnam dove diventa un eroe.
Nel 1970 esce il suo primo romanzo “Shaft” a cui seguirono altri romanzi come “Shaft Amongst the Jews” e “The Last Shaft”, che non ottennero molto successo, a differenza della trasposizione cinematografica “Shaft il detective” in cui l'investigatore viene impersonato da Richard Roundtree, che conferisce a Shaft un atteggiamento molto più raffinato e politicamente corretto del suo omologo letterario e che diede anche vita ad un serie televisiva di buon livello.
Recentemente è stato realizzato un remake cinematografico di "Shaft" con protagonista Samuel L. Jackson.

dolores
19-February-2012, 20:56
Nel suo periodo d'oro, quello degli anni sessanta-settanta, la Rai Tv varò un imponente programma di trasposizioni televisive di romanzi classici e anche di gialli che divennero famosissimi per la particolare cura posta sia nella sceneggiatura che nella regia. Tra questi sceneggiati, tra i quali ricordiamo “A come Andromeda”, “Il cappello del prete”, “La pietra di luna”, “I racconti di Padre Brown” e “Il segno del comando”, spiccano per importanza e gradimento le miniserie ispirate ai libri di Francis Durbridge.
Nato nello Yorkshire nel 1912, Durbridge cominciò giovanissimo a scrivere sceneggiati per la radio e poi si specializzò nel genere poliziesco diventando molto noto per i suoi intrecci in cui è sempre in agguato il colpo di scena e che sono perfetti per essere trasferiti sulla pellicola.

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Il primo sceneggiato tratto dai suoi libri è stato nel 1963 “La sciarpa”, a cui seguirono “Paura per Janet” nel 1964 e “Melissa” nel 1966. E' con il successivo telefilm, “Giocando a golf una mattina” del 1969, che scoppiò la vera e propria Durbridge-mania che culminò nel 1973 con “Lungo il fiume e sull'acqua”, titolo poetico che sicuramente migliora di molto il titolo originale “The Other Man” scritto nel 1956.

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In un barcone lungo il Tamigi viene trovato il cadavere di un misterioso italiano che durante il secondo conflitto mondiale era sommergibilista impegnato nella guerra missilistica. Il primo sospetto è un atletico insegnante, David Henderson che ha come allievo il figlio dell'ispettore che indaga sull'omicidio. Mentre le prove contro il docente si accumulano e ormai le porte del carcere si stanno aprendo per lui, un clamoroso colpo di scena capovolge la vicenda e porta ad un sorprendente finale.
Quasi scritto per la televisione questo romanzo, lineare nella scrittura, diventò un vero e proprio cult per merito della cura minuziosa che il regista Alberto Negrin e lo sceneggiatore Biagio Proietti, ottimi professionisti e veterani di innumerevoli successi, misero in ogni minimo aspetto dello sceneggiato, a cominciare dalla sigla “Vincent” cantata da Don Mc Lean che ebbe una grande notorietà.
Oltre ai libri già ricordati bisogna citare anche “Un certo Harry Brent”, che ebbe una traduzione televisiva nel 1970 con protagonista Alberto Lupo.

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Questi fasti televisivi oscurarono in Italia il personaggio più noto di Francis Durbridge, Paul Temple, che gli diede un'enorme fama in tutta Europa. Nato nel 1938 come personaggio radiofonico, Paul Temple in breve tempo raggiunse la dignità letteraria e fu un'icona multimediale apparendo in diversi film e in numerose serie TV. Scritti dal 1938 al 1989 i romanzi della serie Paul Temple spaziano nel tempo e si adeguano al cambiamento della vita sociale tanto che uno degli ultimi libri “Paul Temple and te Margo Mistery” è stato tradotto in italiano col titolo “Delitto a tempo di rock”.
Questi sono i romanzi della serie Paul Temple pubblicati in Italia:
1973, Una strana rapina (Paul Temple and the Hardware Robbery), stampato nella collana I Gialli Longanesi con il numero 99.
1973, Il mistero di Ginevra, (Paul Temple and the Geneva Mistery), stampato nella collana I Gialli Longanesi con il numero 108.
1977, Ritorna Paul Temple (News of Paul Temple), stampato nella collana I Pocket Longanesi con il numero 620
1986, Delitto a tempo di rock (Paul Temple and the Margo Mystery), stampato nella collana Il Giallo Mondadori con il numero 1973.

dolores
23-February-2012, 23:10
Tra le 1523 vittime del tragico affondamento del transatlantico Titanic avvenuto il 14 aprile 1912 ci fu anche un famoso scrittore di gialli, Jacques Futrelle, che rifiutò di salire su di una scialuppa per permettere il salvataggio della moglie.

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Americano a dispetto del nome, Futrelle fu uno dei giallisti più noti del primo decennio del XX secolo. Dopo le prime esperienze giornalistiche a Boston, pubblicò due curiosi libri polizieschi “The Chase of the Golden Plate” e “La macchina pensante" (“The Thinking Machine”), nei quali compare per la prima volta un nuovo tipo di investigatore, il coltissimo Augustus S.F.X. Van Dusen, Ph D. (dottore in filosofia), L.L.D. (dottore in legge), F.R.S. (membro dell'Accademia Reale) M.D. (dottore in medicina), professore di un'università non menzionata. Van Dusen, soprannominato “la macchina pensante”, degno discepolo di Sherlock Holmes, è uno scienziato dell'indagine e tiene in gran conto le analisi del sangue, la balistica e altre scienze che la criminologia comincia a scoprire in quegli anni. Il suo motto è “Logica, logica, logica” e, contrariamente a molti suoi colleghi decisamente misogini, non disdegna flirtare con le belle donne.

http://1.bp.blogspot.com/_PTyixG6R1Ws/TTqzN40LyQI/AAAAAAAAEMQ/bSnt4T-xWaA/s320/Il+problema+della+cella+n.+13+–+Jacques+Futrelle.j pg

Il romanzo più celebre di Futrelle è “Il problema della cella 13”, che alcuni critici considerano tra i migliori 100 racconti gialli mai scritti. Durante un dibattito scientifico Van Dusen sostiene che niente è impossibile se il cervello umano è adeguatamente preparato e per provarlo partecipa all'esperimento che dovrà sostanziare le sue affermazioni venendo rinchiuso in un carcere dal quale “la macchina pensante” dovrà evadere. Riuscirà a farlo con grande inventiva e poi sbalordirà tutti spiegando come ha fatto.
Tra gli altri suoi libri più famosi ricordiamo “Il re dei diamanti” e “La giarrettiera” ("My Lady Garter"), pubblicato postumo.

dolores
28-February-2012, 12:57
Malgrado sia nato quasi contemporaneamente al giallo anglosassone, per molti anni il genere letterario di origine francese non riuscì ad ottenere il successo e la notorietà dell'omologo di lingua inglese. Nonostante diversi autori, ormai dimenticati, come Arnoluld Galopin, Louis Latzarus e Robert Destez abbiano scritto gialli di un certo livello, la vera svolta avviene attorno agli anni Trenta, quando si affacciano alla ribalta scrittori come Pierre Very, Stanislas-André Steeman, Georges Simenon e Claude Aveline. Questi autori tentano di liberarsi dalle regole del giallo all'inglese, che ritengono troppo scarno e molto simile ad un gioco intellettuale, e cercano di avvicinarsi al romanzo puro, senza aggettivi.
Il primo rappresentante di questa visione del genere è probabilmente Pierre Very con il suo detective Prosper Lepicq, avvocato parigino che adotta un particolare metodo per procacciarsi i clienti: copre, infatti, i colpevoli di un delitto per assicurarsi la loro difesa in tribunale. Very pubblicò ben 28 romanzi di mistero, come li definiva lui stesso. “Il mio sogno è quello di rinnovare la letteratura poliziesca rendendola poetica e umoristica. Da qui la decisione di scrivere una serie di racconti di mistero, una quarantina, nella linea dei capolavori di Chesterton, con personaggi che non saranno più burattini al servizio di un enigma da risolvere, ma esseri umani in lotta con la verità”.

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Il primo celebre scrittore che affronta la sfida del giallo è però nel 1932 Claude Aveline, che con il suo corposo romanzo “La doppia morte dell'ispettore Belot” cerca programmaticamente di oltrepassare le frontiere di genere. Ad un intervistatore che gli chiedeva: “Come si spiega che lei possa scrivere indifferentemente dei romanzi polizieschi e romanzi 'psicologici'?” Aveline rispondeva: “Il fatto è che io non faccio nessuna distinzione tra gli uni e gli altri. La psicologia è un elemento indispensabile nel romanzo poliziesco, che senza di essa si ridurrebbe a un gioco, magari perfetto nella sua costruzione, ma senz'anima. (…) Edgar Allan Poe scriveva con la stessa penna 'Storie straordinarie', poesie, saggi. L'ho già detto cento volte e non mi stancherò di ripeterlo: non esistono generi letterari deteriori”.
“La doppia morte dell'ispettore Belot” è uno strano giallo anche perché, pur essendo stato scritto nel 1932, costituisce l'ultimo atto della “Suite policière” composta da cinque romanzi scritti in quarant'anni. Nel 1970 l'autore ha ordinato la serie secondo questa sequenza:
1-“L'abbonato della linea U”- 1947
2-“Vettura 7, posto 15”- 1937
3-”Il getto d'acqua”- 1947
4-”L'occhio di gatto”- 1970
5- “La doppia morte dell'ispettore Belot”-1932
Il protagonista de “La doppia morte” è l'ispettore Simon Rivière, giovane protetto del capo della Brigata Speciale Frédéric Belot, grande amico di suo padre. Una sera, non avendo sue notizie, Rivière va a cercarlo a casa e lo trova morente a terra, col viso insanguinato e poi, quando perquisisce la casa, trova dietro una tenda il cadavere di un altro uomo che riconosce essere quello di Frédéric Belot. Da questa incredibile situazione prende avvio una vicenda basata sul tema dello sdoppiamento della personalità, che sarà presente anche in altri romanzi di Aveline, perché secondo l'autore “La vita si incarica di dimostrarci che tutto è possibile e che la fantasia più sbrigliata ha meno risorse del destino”. Ne “L'occhio di gatto” l'ispettore Belot è alle prese con un caso che ha risvolti grandguignoleschi in quanto indaga sul ritrovamento di una mano tagliata che ha sull'indice un anello, l'occhio di gatto appunto.
“Il getto d'acqua”, invece, è la storia ossessionante della famiglia Redoux, sconvolta dalla sparizione della figlia. Sarà l'ispettore Belot a risolvere il mistero che porterà la tragedia in casa Redoux.

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La particolare tecnica letteraria di Aveline è tale che, come scrisse esplicitamente “la storia poliziesca è una storia che ricomincia dalla fine. Se c'è un romanzo che si presta ad essere riletto, questo, contrariamente all'opinione generale, è il romanzo poliziesco. Il lettore ha seguito un'indagine mettendosi nei panni dell'investigatore. Ebbene, ora può riprenderla, non più con gli occhi dell'autore, ma con quelli del criminale. Con gli occhi, il cuore, le viscere del criminale. Nel romanzo letterario 'consueto' il lettore può sognare soltanto durante il primo contatto con l'opera, qui, invece, si trova in grado di evocare un nuovo dramma. Qui può creare”.

dolores
05-March-2012, 14:10
I maggiori esponenti del giallo francese furono due belgi, entrambi nati a Liegi, Stanislas-André Steeman e Georges Simenon.
Steeman debuttò con un romanzo-enigma all'inglese "Il patto dei sei” (Six hommes morts) che ricorda molto da vicino “Dieci piccoli indiani”, ma fu scritto ben otto anni prima del capolavoro della Christie. In questo libro compare per la prima volta il raffinato ispettore Wenceslas Vorobeitchik che, dopo un breve periodo nella polizia ufficiale, diventa investigatore privato. Wens dichiara di essere un cattivo poliziotto perché non ama “dubitare della parola degli altri”, contrariamente a Sherlock Holmes e ai suoi emuli: "Io tiro a indovinare sempre e mi sbaglio, una, due, dieci, venti volte. Ma non c'è caso nel quale, alla fine, io non riesca a cascare giusto”. E' interessante notare che, prima di Wens, Steeman aveva creato la figura di un commissario alla Maigret, Aimé Malaise, fumatore di pipa, placido e sottile indagatore, un anno prima che Simenon pubblicasse il primo romanzo del suo famoso commissario. Tra i gialli più riusciti di Steeman, che fu definito da Jean Cocteau “Il Fregoli del romanzo poliziesco”, ricordiamo “L'assassino abita al 21”, “Legittima difesa” e “Il condannato muore alle cinque”.

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Se i romanzi di Steeman sono ormai dimenticati, ciò non si può certamente dire dell'opera del concittadino Georges Simenon, autore di circa 400 romanzi (circa 200 firmati Simenon mentre gli altri con 23 pseudonimi diversi) e circa mille racconti. Di questa sterminata produzione ben 76 romanzi sono dedicati al suo personaggio più celebre Jules Maigret. Il commissario più famoso di Parigi fa la sua comparsa in alcuni libri scritti con lo pseudonimo di Christian Brulls e poi rinnegati da Simenon ma è in “Pietr il lettone” scritto nel 1929, ma pubblicato nel 1931, che Maigret diventa pienamente protagonista e icona di un certo tipo di indagine che privilegia l'aspetto psicologico a discapito di quello materiale. Nelle sue inchieste il commissario Maigret tende a scoprire la vera personalità degli indagati e, invece di chiedersi “Chi è stato?”, si domanda “Perché è stato?”, dando estremo rilievo alla comprensione dell'ambiente in cui si è verificato l'omicidio. Nel suo quarto libro “Il carrettiere della Provvidenza” viene descritta chiaramente la tecnica investigativa del commissario: “Ci si domandava quel era la sua idea, e in realtà non ne aveva. Non cercava neanche di scoprire un indizio propriamente detto, ma piuttosto di impregnarsi dell'atmosfera”.

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Di Maigret Simenon diceva: “Di veramente mio gli ho dato una regola fondamentale della mia vita: comprendere e non giudicare perché ci sono soltanto vittime e non colpevoli. Gli ho dato anche i piaceri della pipa, ovviamente. E l'assenza di figli perché, quando il personaggio è nato, non avevo ancora i quattro figli che poi ho avuto. Aggiungo che a Maigret ho dato un'altra regola: non bisognerebbe mai togliere all'essere umano la sua dignità personale. Umiliare qualcuno è il crimine peggiore di tutti".
Protagonista dei romanzi di Simenon è indubbiamente anche Parigi, coi suoi sentimentali boulevard, i suoi amichevoli bistrot e i quartieri così ben descritti da Simenon, come Montmartre e i bassifondi del Marais. Oltre a Parigi anche la provincia francese fa da sfondo a molte avventure di Maigret e nel dopoguerra, in seguito alle accuse di collaborazionismo con i nazisti Simenon si recò in esilio volontario negli Stati Uniti, alcuni romanzi come “Maigret a New York” e “Maigret dal giudice” che è il romanzo di Simenon più venduto in assoluto con più di seicentomila copie stampate solo in Francia. Tra gli altri gialli di Simenon ricordiamo “Il porto delle nebbie”, “Il cane giallo”, “Il caso Saint-Fiacre”, dove Maigret torna nel villaggio che gli ha dato i natali, “Il pazzo di Bergerac” e l'ultimo della lunga serie, “Maigret e il signor Charles”, scritto nel 1972.

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Un altro giallista belga molto famoso in Europa ma poco noto in Italia è Pieter Aspe, creatore del malinconico ispettore Van In della polizia di Bruges, che esordisce nel libro “Il quadrato della vendetta”, dove deve districare un caso ingarbugliato in cui un antico mistero dei Templari, incentrato sul quadrato magico del Sator, provoca diversi atroci delitti nella placida città delle Fiandre. Gli altri libri di Aspe pubblicati in Italia da Fazi, sono “Caos a Bruges”, “Le maschere della notte” e “La quarta forma di Satana”.

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dolores
13-March-2012, 18:51
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Parallelamente al romanzo poliziesco “psicologico”, in Francia si sviluppò il genere corrispondente all'Hard boiled americano che prese il nome di Polar. Il precursore del nuovo romanzo giallo francese è certamente Leo Malet, giornalista, amico di Breton e del gruppo dei surrealisti (da cui fu espulso proprio per la sua passione per il poliziesco), autore di poesie e romanzi, che nel 1943 inizia la pubblicazione di una serie di romanzi gialli raccolti sotto il titolo collettivo di “Les Nouvaux mystères de Paris” trasparente citazione de “I misteri di Eugene Sue” capolavoro del romanzo d'appendice ottocentesco e chiaro riferimento programmatico per una rifondazione del genere. Il suo primo libro è “120, rue de la gare” dove compare Nestor Burma, detective bohemien, cinico e sfortunato, le cui avventure proseguono con “Un delitto di troppo” e un'altra trentina di romanzi ambientati nei vari arrondissement parigini. Malet è anche autore della Trilogia Nera, composta da “La vita è uno schifo” del 1948, “Il sole non è per noi” del 1949 e “Nodo alle budella” del 1969.
I gialli francesi dell'immediato dopoguerra devono molto alla nascita, nel 1945, di una collezione dedicata al Polar la “Série Noir” diretta da Marcel Duhamel che importando i romanzi classici del “nero” americano di autori come Dashiell Hammett, Raymond Chandler e James Hadley Chase, permise agli scrittori francesi di farsi le ossa traducendo spesso in modo più duro degli originali e usando il particolare gergo della malavita francese l'argot. Il programma che Duhamel propone ai suoi lettori non lascia dubbi: “Ci sono poliziotti più corrotti dei delinquenti che braccano. Il detective simpatico non sempre risolve il mistero. Spesso, non c'è neanche mistero. E a volte non c'è neanche il detective. E allora?... Allora ci sono azione, angoscia violenza sotto tutte le forme, pestaggi e massacri”.
La “Série Noir” fu un fertile vivaio di giallisti come Albert Simonin, autore di “Grisbì”, grande affresco della delinquenza parigina, subito trasferito sul grande schermo in un film che ha come protagonisti Jean Gabin, Jeanne Moreau e Lino Ventura. “Grisbì” fu interamente pensato e scritto in argot, tanto che l'autore fu costretto ad allegare un dizionario dell'argot. Nella “Série Noir” pubblicarono sotto pseudonimo anche altri mostri sacri della cultura francese come Raymond Queneau (Sally Mara) e il cantautore Boris Vian (Vernon Sullivan), traduttore di Chandler e autore del controverso romanzo giallo “Sputerò sulle vostre tombe”. Tra gli altri autori della “Série Noir” sono da ricordare Jean Amila e soprattutto André Hèlena, autore di diversi straordinari romanzi che rievocano la cupa e oppressiva occupazione nazista della Francia. Questa è la bibliografia di André Hèlena, di recente riscoperto e pubblicato da Fanucci e da Aìsara : "Il gusto del sangue", "I viaggiatori del venerdì", "Un uomo qualunque", "I clienti del Central Hotel", "Il buon Dio se ne frega", "La vittima", "Il ricettatore", "Gli sbirri hanno sempre ragione", "Divieto di soggiorno", "Vita dura per le canaglie”, "Il festival dei cadaveri" e "Il bacio della Vedova".

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Il più prolifico e autentico rappresentante del romanzo “nero” francese è però Auguste Monfort, nato nel 1913 a Lesleven in Bretagna, conosciuto nel mondo della malavita e del romanzo poliziesco con il nome di battaglia di “Le Breton”. Orfano di guerra e assiduo frequentatore dei riformatori Le Breton conosce a fondo il mondo della delinquenza, da cui esce dopo aver scritto un romanzo autobiografico “Les hauts murs”, primo di una serie molto letta, che, scritto nel 1946 dovrà aspettare sette anni per essere pubblicato ma che alla fine fu un grande successo. Contemporaneamente ai primi libri autobiografici, Le Breton comincia a scrivere anche romanzi di malavita, direttamente in argot, su consiglio di un giornalista di Paris-Soir, Marcel Sauvage. Nasce così nel 1953 “Rififi”, storia di un clamoroso colpo in una gioielleria che finisce in un massacro perché una banda di balordi vuole impadronirsi del bottino. Tra i suoi numerosi Polar è da ricordare “Il clan dei siciliani” portato sullo schermo con Jean Gabin e Alain Delon.
Un altro portabandiera del Polar fu Jean-Patrick Manchette, autore di alcuni notevoli gialli tra il 1970 e il 1995, anno della sua morte. Caratteristica dei suoi lavori - tra cui spiccano “Nada” (1972), “Un mucchio di cadaveri” (1973) e “Piovono morti” (1976) - è la realistica visione della violenza della società moderna che rende nei suoi libri con particolare vividezza.
Un autore che invece si posiziona a metà strada tra Polar e romanzo psicologico è Pierre Magnan che ambienta i suoi romanzi nella provincia francese, sempre ricca di segreti inconfessabili e di intrighi sanguinosi. Tra i suoi romanzi più efficaci si segnalano “Il sangue degli Atridi”, “La polvere della morte”, “Morirai per ultima”, conosciuto anche col titolo “L'incerata nera” e “Messaggi di morte”.

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Tra tanti scrittori molto attenti all'aspetto realistico delle trame, si differenzia Sanantonio, pseudonimo di Frédéric Dard che ha costruito un universo umano e filosofico molto intrigante. Protagonista dei suoi gialli è proprio Sanantonio, commisario scanzonato e virile, plasmato sugli archetipi dei più fortunati investigatori americani e talvolta impligliato in vicende surreali ma molti divertenti. Mattatore di più di cento romanzi molto odiati oppure molto amati ("Lei è uno scrittore della mano sinistra: ha creato un nuovo linguaggio, in rilievo”, gli scrisse Jean Cocteau), Sanantonio è riuscito a creare un modo nuovo di scrivere, molto sarcastico, ricco di giochi di parole, di calembour, neologismi, citazioni nascoste che se lo ha reso estremamente popolare in Francia, è molto ostico da tradurre riducendo di molto la sua fortuna all'estero, tranne che in Italia dove è stato tradotto al meglio da alcuni ottimi specialisti. Nato nel 1950 con “Lasciate perdere la ragazza” Sanantonio ha avuto l'onore di una collana italiana edita da Mondadori, completamemente dedicata, “Le inchieste del commissario Sanantonio”.

http://imc.unilibro.eu/find_buy/vcm.asp?copertina=9788804491194&prodotto=libro

Più vicini a noi ed estremamente attivi politicamente, Serge Quadruppani e Didier Daeninckx rappresentano la “nouvelle vague” del giallo francese. Quadruppani, traduttore dei più noti scrittori italiani come Andrea Camilleri, Valerio Evangelisti, Marcello Fois e Wu Ming esordisce con il giallo “L'assassina di Belleville” seguito da “La breve estate dei colchici" e da “La notte di Babbo Natale”, romanzi tesi sino allo spasimo e ricchi di impegno sociale. Come Quadruppani, anche il suo amico Daeninickx rappresenta tutti gli orrori della società contemporanea e li porta davanti agli occhi di tutti scavando negli inconfessabili politici come nel romanzo “A futura memoria” che ha vinto nel 1984 il prestigioso Grand prix de litérature policière.

dolores
20-March-2012, 13:52
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Nel 1995 la “Série Noir” di Gallimard pubblicò “Casino totale” (Total Cheops) primo romanzo giallo di Jean-Claude Izzo, giornalista e scrittore marsigliese di origini italiane. In questo suo libro Izzo raffigura con grande abilità una città e un ambiente poco frequentato dal giallo riuscendo a farci percepire i colori e gli odori di questa metropoli a metà strada tra Francia e Mediterraneo.
Scrittore pienamente rappresentativo assieme a Manuel Vázquez Montalbán, Andrea Camilleri e Petros Markaris del cosidetto “noir mediterraneo”, Izzo trasferisce le sue esperienze di vita nei suoi romanzi che costituiscono la trilogia marsigliese che, assieme al suo libro d'esordio, sono “Chourmo. Il cuore di Marsiglia” e “Solea”.
Il protagonista di questa epopea mediterranea è Fabio Montale, ex poliziotto che diventa un investigatore privato che scandaglia con nostalgia e con amore tutti gli anfratti di questo crogiolo di razze e di lingue dove ha vissuto la sua adolescenza scapestrata e dove si fa fatica a distinguere nettamente la bellezza e la violenza dei posti e dei gesti.

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Dopo Izzo, il giallo francese ha avuto come esponente di spicco Fred Vargas, che all'anagrafe si chiama Frédérique Audouin-Rouzeau, ricercatrice di archeozoologia ed esperta di archivistica che nel tempo libero ha creato un vero e proprio mondo letterario ricco di fantasia e di originalità. I protagonisti dei libri della Vargas sono personaggi normali messi alla prova da situazioni particolari come i cosiddetti “Evangelisti”, tre storici che si dilettano a risolvere enigmi piuttosto complessi o come il commissario Jean-Baptiste Adamsberg soprannominato “lo spalatore di nuvole”, investigatore distratto e sognatore, ma che alla fine riesce sempre a sbrogliare la matassa degli incredibili casi che si trova ad affrontare.
I romanzi che hanno Adamsberg come protagonista sono:
1990: L'uomo dei cerchi azzurri (L'Homme aux cercles bleus) - Premiato al festival di St Nazaire 1992
1999: L'uomo a rovescio (L'Homme à l'envers) - Gran premio del romanzo noir di Cognac 2000, Premio mystère de la critique 2000
2001: Parti in fretta e non tornare (Pars vite et reviens tard) - Premio des libraires 2002, Premio delle lettrici di ELLE 2002, Deutscher Krimipreis
2002: Scorre la Senna (Coule la Seine)
2004: Sotto i venti di Nettuno (Sous les vents de Neptune)
2006: Nei boschi eterni (Dans les bois éternels)
2008: Un luogo incerto (Un lieu incertain)
2011: La cavalcata dei morti (L'armée furieuse)
I Tre Evangelisti invece compaiono nei libri “Chi è morto alzi la mano”, "Un po' più in la sulla destra” e “Io sono il Tenebroso”.

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Ai confini tra giallo tradizionale, horror e thriller si pone invece Jean-Cristophe Grangé, autore che ha avuto un grande successo con il suo secondo libro “I fiumi di porpora”, grazie anche alla riduzione cinematografica diretta da Mathieu Kassovitz e interpretato da due mostri sacri come Jean Reno e Vincent Cassel.
Il primo romanzo di Grangé, “Il volo delle cicogne”, pubblicato nel 1994, ha già i tratti fondamentali dei successi dello scrittore e giornalista francese: grande ritmo narrativo, trama tesa e serrata, investigatori dagli opposti caratteri che si scontrano prima di unirsi nella ricerca del colpevole e fantasia sfrenata che talvolta sfiora il Grand Guignol anche a dispetto della verosimiglianza di alcuni aspetti del plot.
I suoi libri successivi hanno avuto un successo mondiale sempre crescente ed ogni nuova uscita in libreria conferma la grande popolarità di questo autore molto originale.
Questa è la sua bibliografia:
1994 - Il volo delle cicogne (Le vol des cicognes), Garzanti
1998 - I fiumi di porpora (Les rivières pourpres), Garzanti
2000 - Il concilio di pietra (Le concile de pierre), Garzanti
2003 - L'impero dei lupi (L'Empire des loups), Garzanti
2004 - La linea nera (Le ligne noire), Garzanti
2007 - Il giuramento (Le serment des limbes), Garzanti
2008 - Miserere (Miserere), Garzanti
2009 - L'istinto del sangue (La Foret Des Manes) Garzanti
2012 - Amnesia (Amnesia) Garzanti

dolores
26-March-2012, 08:38
Inghilterra, 1860. Una casa isolata dove avviene un rapimento che poi diventa un omicidio, un cane che abbaia, un ispettore scaltro e sagace che segue le piste visibili e segrete, un ambiente familiare che nasconde un assassino. Questi possono essere gli elementi di un buon giallo classico, “all'inglese” appunto, ma sono anche i punti fondamentali di un fatto criminale che scosse l'Impero britannico e che fu sulle prime pagine dei giornali inglesi per lungo tempo, scatenanando furiose polemiche politiche e religiose. Questo giallo della cronaca reale è l'oggetto del libro “Omicidio a Road Hill House” di Kate Summerscale, che segue passo passo tutti i fatti e le indagini che seguirono il misfatto.

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Nella villa del funzionario governativo Samuel Kent, posta poco fuori la cittadina di Road, nel Somerset, il 29 giugno 1860 scomparve misteriosamente il piccolo Saville di soli 3 anni, figlio della sua seconda moglie, che dormiva nella stanza assieme alla bambinaia. Quando questa si accorse della sparizione del bambino si scatenò una ricerca che portò dopo poco tempo alla scoperta del povero corpo di Saville gettato in una latrina. Incaricato delle indagini è il valido ispettore Jonathan Whicher che non si fa ingannare dai falsi indizi predisposti per depistarlo e in breve costruisce una teoria che individua il colpevole del reato nella sorellastra Costance, accecata dalla gelosia e desiderosa di infliggere dolore infinito alla matrigna che odia. Pur non sostanziato da prove ineccepibili, Whicher fa arrestare Costance e la porta davanti al giudice, che però la assolve. Alcuni anni dopo, convertita al cattolicesimo, Costance confessa parzialmente e con reticenza la sua colpa e viene arrestata nuovamente, condannata, essere poi liberata diversi anni dopo e finire la sua vita centenaria, nel 1944 in Australia.

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Nel suo libro la Summerscale ipotizza che Costance agì con la complicità del fratello William, che poi divenne un famoso botanico, anche lui geloso delle attenzioni che i fratellastri ricevavano dai genitori. Il saggio, oltre a fornire un puntuale resoconto del fattaccio e delle indagini, crea un'interessantissima cornice storica e letteraria all'omicidio, che fece nascere l'interesse sulla figura dell'investigatore e fu un probabile modello per diversi investigatori di carta come il sergente Cuff protagonista del romanzo “La pietra di luna” di Wilkie Collins, basato in parte sui tragici fatti di Road, e ispirò alcuni lavori di Charles Dickens.
Questo aspetto di ricerca e studio del ruolo dell'investigatore è messo in luce dal sottotitolo “Invenzione e rovina di un detective” in quanto, sia pur capace di capire la dinamica del delitto, Whicher non ebbe la capacità di provarlo “senza nessuna ombra di dubbio” e la sua carriera fu notevolmente ostacolata da questo demerito.

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Libro che si legge come giallo “Omicidio a Road Hill House” è anche un valido strumento che consente di paragonare letteratura e vita vissuta, dove “I fatti non tornano come tornano i conti”, come sosteneva Friedrich Dürrenmatt, e getta un fascio di luce storica sui comportamenti sociali dell'Inghilterra vittoriana, luogo d'origine e d'elezione del giallo classico.

dolores
01-April-2012, 16:32
Nel 2003 fu conferita al grande germanista Cesare Cases la Laurea honoris causa in Lingue e Letterature Straniere dall'Università di Bari e in questa occasione tenne una lectio magistralis su "Grandezza e decadenza del romanzo giallo". Questo è uno stralcio di quel discorso, compreso un piccolo errore sfuggito al grande studioso. Infatti il titolo originale del giallo di Agatha Christie Dalla nove alle dieci non è Why didn' t they ask Evans? (Perché non l'hanno chiesto a Evans?) ma The Murder of Roger Ackroyd.

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La casa editrice Sellerio, che ha approfittato, finché visse, della profonda competenza in materia di Leonardo Sciascia, all'origine di riscoperte di grandi gialli come Due rampe per l'abisso di Rex Stout o La fine è nota di Geoffrey Holiday Hall, ha tenuto fede al suo insegnamento pubblicando romanzi gialli di maggiore o minor valore, riscoprendo figure dimenticate come Friedrich Glauser e aprendo la strada del successo a Andrea Camilleri.
L'ultima infornata di gialli Sellerio è particolarmente adatta a delineare una breve storia del genere. Enunciamo qui brevemente il giallo come l'intendiamo noi:
1) l'assassino deve essere capace di intendere e di volere; egli può essere coadiuvato da una intera organizzazione ma quando agisce agisce individualmente;
2) egli viene individuato da vari indizi coordinati da un detective che non fa necessariamente parte della polizia, spesso ne ironizza i metodi e generalmente non è sposato;
3) questo detective si piazza all'interno della logica del delinquente, che finisce per intendere pienamente;
4) la difficoltà nell' appurare la verità è dovuta al fatto che si vive in una società omogenea, in cui chiunque può essere l'assassino (anche il narratore, come nel caso famoso di Agatha Christie, Dalle nove alle dieci (Why didn' t they ask Evans?), poiché alla fine della corsa c'è sempre l'«auri sacra fames», che in epoca capitalistica è propria di tutti.
Fissate così le caratteristiche del genere nella sua epoca classica, passiamo a esaminare le novità di Sellerio in ordine cronologico.
Il primo volume che attira la nostra attenzione è La follia dei Monkton di Wilkie Collins. Apparentemente si tratta di un'anticipazione del problema dello psicopatico oggi dilagante, ma mentre oggi gli psicopatici sono all'ordine del giorno e non turbano minimamente la democrazia del giallo, allora erano custoditi in robusti armadi vittoriani e non si esibivano volentieri. Sicché si capisce che il sodale e datore di lavoro di Collins, Charles Dickens, si rifiutasse di pubblicarlo nella rivista da lui diretta. Collins era suo amico, ma ancor più amici erano i suoi lettori, che allora non avrebbero gradito un tema così delicato.
Il mistero delle tre orchidee di Augusto De Angelis corrisponde invece ai dettami del giallo classico. De Angelis è il primo giallista italiano importante, il che non significa che abbia «inventato il giallo all'italiana», ma semplicemente che ha ambientato in Italia, e in particolare a Milano, motivi e personaggi propri della narrativa anglosassone. Nell'ambientazione milanese, De Angelis - che era, si noti bene, romano di origine - avrà un degno continuatore in Giorgio Scerbanenco, di origine straniera e spesso ristampato da Garzanti.
«All'italiana» sono tutt'al più le difficoltà che questi pionieri ebbero ad affrontare. Il regime fascista aveva scarsa simpatia per un genere fondato sull'assassinio, che metteva in dubbio l'onnipotenza della polizia. Nel libro di De Angelis il detective è un commissario di polizia e i delinquenti vengono d'oltreoceano e hanno la determinazione di veri americani, mentre il commissario De Vincenzi è un intellettuale italiano amante della musica e delle belle arti. La scena è la casa di mode di Cristiana O'Brian, in corso del Littorio (oggi corso Matteotti) al nº 14. Sul letto della O'Brian si trova il cadavere di Valerio, losco individuo che fa da galoppino a madama O'Brian, con accanto un'orchidea che getta la predetta signora in un mare di disperazione: la O'Brian è stata sposata a un farabutto internazionale di nome Moran che aveva l'abitudine di portarle un'orchidea ogni volta che ricompariva dopo aver perpetrato qualche misfatto. La donna era scappata a Milano perché non ne voleva più sapere del gangster, che evidentemente l'aveva scovata. E cosi è. Crediamo di essere in porto quando è il gangster che muore con la sua brava orchidea accanto. L'assassina sarà certo la ex moglie, colei che è collegata sin dall'inizio con i delitti, avendo trovato in camera sua il primo cadavere e la prima orchidea. Così fa finta di credere il commissario De Vincenzi, ma così non è.
Qui occorre inserire una parentesi sull'inverosimiglianza, un ingrediente del giallo che può esserci ma può anche non esserci, come in ogni opera di finzione, e che quindi non abbiamo annoverato tra quelli indispensabili. Ma a guardar bene ogni giallo, appartenendo al genere del romanzo «autoriale», in cui l'autore fa e disfa a suo piacimento, contiene qualche inverosimiglianza, salvo qualche capolavoro della Christie. Ora, è proprio contro la Christie e il suo famoso romanzo Assassinio sull' Orient Express che si appuntano gli strali di Raymond Chandler, uno dei massimi rappresentanti del giallo americano hard boiled, in uno scritto teorico che è in qualche modo il manifesto della nuova scuola. Non staremo a difendere la verosimiglianza di questo romanzo perché non esiste. In un vagone del famoso treno si trovano riuniti un arcifarabutto che è riuscito sempre a farla franca grazie all'inefficienza della polizia e le sue vittime o i parenti di esse, che evidentemente hanno prenotato e riempito il vagone in cui si è peraltro insinuato un temibile ometto di nome Hercule Poirot. Uno dopo l'altro le vittime o i loro parenti immergono il coltello nel corpo del farabutto, che così risulta colpito da ben diciassette pugnalate (se ricordo bene). Anziché ammirare l'acume di Poirot che riesce a dipanare la complicata matassa, Chandler da un punto di vista piattamente naturalistico si meraviglia dell'inverosimiglianza di un cadavere ottenuto «a fette».
Con Un matrimonio d' amore di Dashiell Hammet passiamo nel regno dell’hard boiled, di cui Hammet è considerato il fondatore. Basta un'apposizione per definire due caratteristiche essenziali del giallo hard boiled nei confronti di quello di tradizione inglese:
l) è scritto assai meglio;
2) il peso del racconto si sposta dal binomio assassino/vittima al detective e alla sua personalità.
Nel racconto in questione il detective Rush è di una bruttezza senza pari, che ha bisogno di un'intera pagina per essere descritta. Tale bruttezza sarà antitetica alla bellezza dell'autore, il quale pare che fosse bellissimo e affascinante, certo più di Agatha Christie. Aveva lavorato presso l'agenzia Pinkerton e quindi conosceva bene i suoi colleghi e i delitti che perseguivano o che commettevano essi stessi. Infatti gli anni passati da Pinkerton erano serviti a persuaderlo dell'inesistenza di un discrimine tra buoni e cattivi, su cui era fondato il giallo tradizionale. Pagatemi abbastanza e divento un killer. Il titolo italiano di questo racconto è ironico solo a metà. Henry Bangs è un farabutto in combutta con una donna di nome Madeline, entrambi ordiscono la morte di tale Falsoner e fanno in modo da attribuirla alla nipote Sara, unica erede di un mucchio di dollari, che Bangs aveva preventivamente sedotto e sposato. L'idea è che o Sara viene accusata di omicidio o il malloppo passa a lei, che prima o poi sarà soppressa. Ma Bangs ha imparato ad apprezzare le virtù di Sara ed è Madeline ad essere fatta fuori da lui.
Non c' è dubbio: questa storia è più «realistica» di qualsiasi romanzo della Christie, poiché non solo non esiste una netta divisione tra buoni e cattivi, sicché un killer può nutrire teneri sentimenti, ma il caso riprende il ruolo che aveva perduto. Non che il giallo classico fosse privo di elementi accidentali, anzi ne pullulava, ma essi erano un'invenzione dell'autore, mentre qui hanno il ruolo che viene loro attribuito nella vita quotidiana.

dolores
16-April-2012, 16:42
Un omicidio che ispirò tanti letterati, come Stendhal e Alberto Moravia, e offrì a Caravaggio diversi temi per la sua pittura così rivoluzionaria ed evocativa è l'omicidio del Conte Francesco Cenci ad opera dei familiari, tra cui spicca la figura della figlia Beatrice.

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Questa è la rievocazione della vicenda tratta da wikipedia:

Figlia del conte Francesco Cenci, uomo violento e dissoluto, e di Ersilia Santacroce, dopo la morte della madre, nel giugno del 1584, insieme con la sorella maggiore Antonina fu mandata, all'età di 7 anni, presso le monache francescane del Monastero di Santa Croce a Montecitorio. Ritornata in famiglia all'età di quindici anni vi trovò un ambiente quanto mai difficile e fu costretta a subire le angherie e le insidie del padre che, poco dopo, nel 1593, sposò in seconde nozze la vedova Lucrezia Petroni, che aveva già una figlia (uccisa dal padre di Beatrice), dalla quale non ebbe figli.

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L'esilio a Petrella
Francesco, oberato dai debiti, incarcerato e processato per delitti anche infamanti, condannato due volte per "colpe nefandissime" al versamento di somme rilevanti, pur di non pagare la dote di Beatrice volle impedirle di sposarsi e decise nel 1595 di segregarla, insieme con la matrigna Lucrezia, a Petrella Salto, in un piccolo castello del Cicolano chiamato la Rocca, nel territorio del Regno di Napoli, di proprietà della famiglia Colonna. In quella forzata prigionia crebbe il risentimento di Beatrice verso il padre. La ragazza tentò anche, con la complicità dei domestici, di inviare richieste di aiuto ai familiari ed ai fratelli maggiori, ma senza alcun risultato. Una delle lettere arrivò, anzi, nelle mani del conte provocandone la dura reazione: Beatrice fu brutalmente percossa.
Nel 1597 Francesco, malato di rogna e di gotta, anche per fuggire alle richieste pressanti dei creditori, si ritirò a Petrella portando con sé i figli minori Bernardo e Paolo, e le condizioni di vita delle due donne divennero ancora peggiori.

L'omicidio
Si dice che, esasperata dalle violenze e dagli abusi paterni, Beatrice giungesse alla decisione di organizzare l'omicidio di Francesco con la complicità della matrigna Lucrezia, i fratelli Giacomo e Bernardo, il castellano Olimpio Calvetti ed il maniscalco Marzio da Fioran detto il Catalano.
Per due volte il tentativo fallì: la prima volta si cercò di sopprimerlo con il veleno, la seconda con una imboscata di briganti locali. La terza, stordito dall'oppio fornito da Giacomo e mescolato ad una bevanda, fu assalito nel sonno: Marzio gli spezzò le gambe con un matterello, Olimpio lo finì colpendolo al cranio ed alla gola con un chiodo ed un martello. Per nascondere il delitto i congiurati tentarono di simulare una morte accidentale per caduta: fu aperto un foro nelle assi marce di un ballatoio tentando di infilarci il cadavere. La cosa non riuscì: il foro era troppo piccolo. Decisero allora di gettarlo dalla balaustra.
Il 9 settembre 1598 il corpo di Francesco fu trovato in un orto ai piedi della Rocca di Petrella. Dopo le esequie il conte fu sepolto in fretta nella locale chiesa di Santa Maria. I familiari, che non parteciparono alle cerimonie funebri, lasciarono il castello e tornarono a Roma nella dimora di famiglia, Palazzo Cenci, nei pressi del Ghetto.

Le indagini
Inizialmente non furono svolte indagini, ma voci e sospetti alimentati dalla fama sinistra del conte e dagli odi che aveva suscitato nei suoi congiunti, indussero le autorità ad indagare sul reale svolgimento dei fatti.
Dopo le prime due inchieste (la prima voluta dal feudatario di Petrella il duca Marzio Colonna, la seconda ordinata dal viceré del Regno di Napoli Don Enrico di Gusman, conte di Olivares) lo stesso pontefice Clemente VIII volle intervenire nella vicenda.
La salma fu riesumata e le ferite furono attentamente esaminate da un medico e due chirurghi che esclusero la caduta come possibile causa delle lesioni. Fu anche interrogata una lavandaia: Beatrice le aveva chiesto di lavare lenzuola intrise di sangue dicendole che le macchie erano dovute alle sue mestruazioni, ma la giustificazione - dichiarò la donna - non le sembrò verosimile. Insospettì gli inquirenti inoltre l'assenza di sangue nel luogo ove il cadavere era stato rinvenuto.
I congiurati vennero scoperti ed imprigionati. Calvetti, minacciato di tormenti, rivelò il complotto. Riuscito a fuggire, fu poi fatto uccidere da un conoscente dei Cenci, monsignor Mario Guerra, per impedirne ulteriori testimonianze. Anche Marzio da Fioran, sottoposto a tortura, confessò ma, messo a confronto con Beatrice, ritrattò e morì poco dopo per le ferite subite. Giacomo e Bernardo confessarono anch'essi. Beatrice inizialmente negò ostinatamente ogni coinvolgimento indicando Olimpio come unico colpevole, ma la tortura della corda ne vinse ogni resistenza e finì per ammettere il delitto.
Acquisite le prove, i due fratelli Bernardo e Giacomo furono rinchiusi nel carcere di Tordinona, Beatrice e Lucrezia in quello di Corte Savella.

Il processo
Il processo fu affidato al giudice Ulisse Moscato ed ebbe un grande seguito pubblico. Nel dibattimento si affrontarono due tra i più grandi avvocati dell'epoca: l'alatrese Pompeo Molella per l'accusa e Prospero Farinacci per la difesa. Farinacci nel tentativo di alleggerire la posizione della giovane accusò Francesco di aver stuprato la figlia, ma Beatrice nelle sue deposizioni non volle mai confermare l'affermazione del difensore. Alla fine prevalsero le tesi accusatorie di Molella e gli imputati superstiti vennero tutti giudicati colpevoli e condannati a morte. Si noti che il processo fu funestato da alcuni vizi procedurali a danno dei Cenci, tra i quali quello di impedire all'avvocato difensore la pronuncia della sua arringa conclusiva ammettendolo in aula solo a sentenza emessa.
Cardinali e difensori inoltrarono richieste di clemenza al pontefice ma Clemente VIII, preoccupato per i numerosi e ripetuti episodi di violenza verificatisi nel territorio dello stato, volle dare un severo ammonimento e le respinse: Beatrice e Lucrezia furono condannate alla decapitazione, Giacomo allo squartamento. Solo per Bernardo il pontefice acconsentì alla commutazione della pena.
Bernardo, il fratello minore, di soli diciotto anni, pur non avendo partecipato attivamente all'omicidio era stato anch'esso condannato per non aver denunciato il complotto ma, per la sua giovane età, ebbe risparmiata la vita: gli fu imposta la pena dei remi perpetui, cioè remare per tutta la vita sulle galere pontificie, e fu obbligato inoltre ad assistere all'esecuzione dei congiunti legato a una sedia. In aggiunta, la notizia della commutazione della pena gli fu deliberatamente nascosta e comunicata solo poche ore prima della scampata esecuzione. Solo alcuni anni più tardi, dopo il pagamento di una grossa somma di denaro, riottenne la libertà.

L'esecuzione
L'esecuzione di Beatrice, della matrigna e del fratello maggiore avvenne la mattina dell'11 settembre 1599 nella piazza di Castel Sant'Angelo gremita di folla. Tra i presenti anche Caravaggio insieme con il pittore Orazio Gentileschi e la figlioletta, anch'essa futura pittrice, Artemisia. La giornata molto afosa e la calca provocarono la morte di alcuni spettatori; qualcun altro cadde ed annegò nel Tevere.

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dolores
29-April-2012, 18:32
Una vicenda tra le più intricate, torbide e morbose della storia italiana è quella del "Mostro di Firenze".
Le indagini sui delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” sono state influenzate, depistate o innervate da numerosi libri, saggi, romanzi, reportage e inchieste giornalistiche, ma il contributo più notevole alla comprensione di ciò che avvenne tra il 1968 e il 1985 nella provincia di Firenze mi pare quello scritto da Michele Giuttari, che fu dal 1995 al 2003 capo della squadra mobile del capoluogo toscano e che scoprì le prove che hanno fatto condannare i “compagni di merende” di Pacciani. Nel libro “Il mostro” Giuttari ripercorre la storia dei delitti attribuiti al “mostro” e lo sviluppo delle indagini che, partite con grande dispiego di mezzi e di denaro, si arenarono senza portare ad un arresto convincente e sostenuto da prove decisive. Forse era errato l'assunto di partenza determinato dai “profiler” che indicavano un assassino gelido, di cultura medio-alta. Come scrive Giuttari nel libro “A differenza dei gialli di carta, un'indagine vera non procede a colpi di scena ma si alimenta di piccoli passi che si conquistano in una routine quotidiana apparentemente piatta”.
E' stata questa routine a fare emergere i fatti salienti di queste morti terribili, nate in un ambiente malsano costituito da violenze, ricatti, satanismo e intimidazioni, ma non ha consentito, anche per forti ostacoli interni alla Questura, di salire al livello superiore di questa turpe associazione a delinquere. Per i delitti del “mostro di Firenze” sono stati condannati i “compagni di merende” Mario Vanni e Giancarlo Lotti, mentre Pietro Pacciani, colui che è stato indicato dagli amici come l'anima nera del gruppo di guardoni e assassini, è stato assolto in appello, anche per una sciagurata strategia processuale. Questa assoluzione è stata poi annullata ma il contadino di Mercatale non ha potuto presenziare al nuovo processo d'appello perché è deceduto in circostanze piuttosto sospette nel febbraio del 1998. Se la lunga storia di questi omicidi è stata decifrata nei suoi aspetti principali, non mancano le zone d'ombra da chiarire e che lasciano la pungente sensazione che i misteri non si siano voluti indagare sino in fondo. A questo proposito è emblematica la morte del medico Francesco Narducci avvenuta nel lago Trasimeno nel 1985, subito dopo gli ultimi delitti, e mai spiegata in modo convincente. Michele Giuttari prima di questa sua esauriente rievocazione del caso, aveva scritto assieme a Carlo Lucarelli ”Compagni di sangue”, primo tentativo di districare l'ingarbugliata e sanguinosa matassa.
Oltre a queste testimonianze in prima persona, Giuttari ha dimostrato grande capacità letteraria con diversi romanzi gialli come “Scarabeo”, “La loggia degli innocenti” e “Il basilisco”, dove il caso “mostro di Firenze” aleggia in sottofondo, sia con riferimenti ben chiari, sia come ambientazione e come atmosfere.

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Altri protagonisti di questo vero e proprio giallo infinito hanno fissato con l'inchiostro le loro ipotesi, inchieste e anche i loro depistaggi. Forse il più noto tra questi testimoni diretti del caso è l'avvocato di Mario Vanni, Nino Filastò, le cui esperienze letterarie erano precedenti al processo con romanzi gialli di buon livello e di un certo successo come “La tana dell'oste”, “La moglie egiziana” e “La notte delle rose nere”. Filastò intervenne nel dibattito mediatico con due libri che peroravano la causa di Pacciani, “Pacciani innocente” e “Storia delle merende infami”.

Un altro personaggio di questo dramma a scrivere un libro è stato il giornalista della Nazione di Firenze Mario Spezi, duramente contestato da Michele Giuttari e che fu anche arrestato con l'accusa di depistaggio, per poi essere completamente scagionato da ogni accusa. Mario Spezi nel 2006 scrisse un romanzo-inchiesta “Dolci colline di sangue” assieme al notissimo scrittore Douglas Preston, autore di thriller come “Mount Dragon”, “Relic”, “La stanza degli orrori”.

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Lo psicologo del SISDE Aurelio Mattei, anche lui pesantemente coinvolto nel caso, ha scritto nel 1992 un romanzo “Coniglio il martedì” in cui anticipava gran parte delle scoperte fatte dagli investigatori fiorentini negli ultimi anni.

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A testimoniare il fatto che il caso sia stato di grande interesse mediatico arrivò anche il celebre Thomas Harris, autori di bestseller come “Il silenzio degli innocenti” e “I delitti della terza luna” che nel 1995 presenzio al processo a Pietro Pacciani per documentarsi sull'ambiente fiorentino che poi illustrò nel romanzo “Hannibal”, ricco di richiami e rimandi al “mostro”.

Chiari e documentati resoconti delle indagini e della successione di fatti sono anche presenti nei libri di Massimo Polidoro “Grandi gialli della storia” al capitolo “Chi si nasconde dietro il mostro di Firenze” e di Carlo Lucarelli “I nuovi misteri d'Italia” nel capitolo “I mostri di Firenze”.

Rosy
29-April-2012, 19:31
Io di GIUTTARI avevo letto, tempo fa, SCARABEO, che mi era piaciuto moltissimo.
Ma, come tu sai, talvolta si ...abbandonano anche degli autori che sono piaciuti, per mancanza di tempo!
ciao
Rosy

dolores
30-April-2012, 22:41
Io di GIUTTARI avevo letto, tempo fa, SCARABEO, che mi era piaciuto moltissimo.
Ma, come tu sai, talvolta si ...abbandonano anche degli autori che sono piaciuti, per mancanza di tempo!
ciao
Rosy

Eh già, Rosy, mancanza di tempo, desiderio di conoscere nuovi autori, molteplicità di interessi... una cosa è certa: bisogna fare delle scelte. :)

dolores
07-May-2012, 18:20
New York, fine degli anni venti. Al “Roman Theatre” mentre è in corso la rappresentazione della commedia “Il gangster” viene rinvenuto il corpo senza vita di quello che si rivelerà un ricattatore ed un losco individuo Montz Field. Questa la è scena in cui irrompe l'investigatore più geniale della storia del giallo: Ellery Queen. Il libro, pubblicato nel 1929, si intitola in italiano “La poltrona n° 30”, ma il titolo inglese è particolare. Infatti “The Roman Hat Mystery” inaugura una serie definita dallo schema The + aggettivo di nazionalità + sostantivo + mystery, che ricorda lo schema caratteristico dei romanzi di S.S. Van Dine che hanno Philo Vance come protagonista che presentano The + sostantivo + murder case come marchio di fabbrica.

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Non è questo il solo richiamo al sofisticato detective creato da Van Dine nei romanzi di Ellery Queen, che è stato chiaramente plasmato sul modello creato tre anni prima nel libro “La strana morte del signor Benson”. Avendo, come Vance, un progenitore diretto in Sherlock Holmes, Ellery Queen focalizza le sue indagini sul ragionamento logico deduttivo che porta a livelli eccelsi, lasciando il lavoro sporco, quello di fare le indagini materiali, alla squadra coordinata dal padre, l'ispettore della polizia di New York Richard Queen.
Scritto per partecipare ad un concorso, che poi vinsero, “La poltrona n° 30” fu scritto da due cugini ventiquattrenni Manfred B. Lee e Frederic Dannay che scelsero di firmarsi come il protagonista delle loro storie, per dare più visibilità al loro eroe.
Richard ed Ellery rappresentano i due aspetti dell'investigazione: la raccolta delle prove e l'elaborazione di queste attraverso un percorso logico e psicologico. Sono, in pratica, un'unica persona, un unico detective che, per il fatto di essere sdoppiato, nella finzione letteraria, in due personaggi distinti, risulta più umano, più reale, senza avere la boria e la presunzione dei detective che lo hanno preceduto.
Tutti i rompicapo che la premiata ditta Ellery Queen ha prodotto in più di quarant'anni di onorata carriera rispondono in genere ad un connotato fondamentale: sono delle perfette scatole cinesi. Prima di arrivare alla soluzione dell'enigma, si è sempre costretti ad aprire, con estrema attenzione, tutta una serie di scatole successive, a chiarire un'infinità di piccoli o grandi misteri che, in genere, con la soluzione vera e propria non hanno molto a che fare, ma che in realtà rispondono a due scopi ben precisi: distrarre il lettore dalla pista giusta, senza barare con lui, e creare una cornice psicologica nella quale inserire gli sviluppi della vicenda e giustificarne la conclusione.
Una delle prima scatole cinesi nella quale ci si imbatte è proprio la loro identità, infatti i loro veri nomi sono Manford Lepofsky e Daniel Nathan, essendo figli di poverissimi immigrati polacchi costretti a nascondersi dietro pseudonimi perché quello era un periodo in cui spirava una brutta aria per gli europei di lingua non inglese.
Un altro dei misteri della loro lunga carriera è stato quello della stesura di molti libri firmati con il famoso nome "Ellery Queen". A partire dal romanzo del 1958 “Colpo di grazia”, che doveva essere l'ultimo dell'investigatore, infatti diversi gialli furono scritti da altri autori su tracce predisposte da Frederic Dannay e portarono ad una connotazione da una parte ancora più definita dal punto psicologico delle trame come in “Bentornato Ellery” e “...e l'ottavo giorno...”, mentre in seguito si ebbe uno spostamento d'interesse verso tematiche più noir, che sconfinarono anche nel versante spionistico.

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Un'altra delle diversioni e dei depistaggi dei due gemelli siamesi si verificò nel 1932 quando, forse stanchi del successo del loro ingombrante personaggio, crearono un nuovo detective Drudy Lane, pubblicandolo con un altro pseudonimo Barnaby Ross.
Come suggerisce il suo nome che richiama un celebre teatro londinese, Drudy Lane è un ex attore scespiriano ritiratosi dalle scene che per diletto si interessa a risolvere enigmi polizieschi. Il suo romanzo d'esordio è “La tragedia di X”, in cui il procuratore Bruno e l'ispettore Thumm pregano Drury Lane di aiutarli a risolvere l'assassinio di un agente di cambio senza scrupoli. A questo libro seguirono “La tragedia di Y”, “La tragedia di Z” e “Cala la tela”, in cui la vicenda ruota intorno ad un manoscritto di Shakespeare rubato da un museo di New York e che contiene un finale davvero sorprendente.

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Nel tempo Ellery Queen è diventato sinonimo di investigatore infallibile e di scrittore affascinante anche grazie all'innovazione della Sfida al lettore, in cui l'autore porta il fedele lettore nel romanzo mettendolo in competizione con sé e con la trama: "Fedele al mio motto, giocare franco con il lettore, vi ho dato le carte che ho anch'io in mano. Tutto quello che so io, lo sapete anche voi. Mettete nell'ordine conveniente le indicazioni che vi ho fornito e la conclusione logica si presenterà da sé alla vostra mente indicando il solo assassino possibile".
Un altro merito dei due scrittori è di aver creato l'Ellery Queen's Mystery Magazine, la rivista creata nel 1941 e che ha pubblicato e pubblica ancora quanto di meglio ci sia in materia di romanzi gialli.

(continua)

dolores
09-June-2012, 09:56
Nato quasi per caso, Ellery Queen divenne in breve tempo l'investigatore più amato ed ammirato dai lettori di gialli. Per capire le ragioni di questa predilezione e per definire la cronologia della produzione queeniana penso sia utile dare la parola a Francis M. Nevins Jr scrittore di gialli che scrisse un saggio su Ellery Queen molto interessante “Royal Bloodline. Ellery Queen Author and Detective” che è stato tradotto in italiano soltanto nelle introduzioni ai racconti di Ellery Queen editi da Mondadori nel 1984.

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"I libri prodotti da Dannay e Lee in questi primi anni, da The Roman Hat Mystery fino a The Spanish Cape Mystery sono di solito considerati come il Primo Periodo di Queen. L'inconfondibile marchio di fabbrica di tale periodo è il ripetersi degli aggettivi di nazionalità nei titoli (aggettivi molte volte non pertinenti ma di sicura riconoscibilità). Un altro segno distintivo, più significante ma meno evidente, è l'enorme influsso esercitato da Van Dine, influsso che cominciò a diradarsi intorno al 1932 per svanire poi completamente (come pure il fascino di Van Dine suoi lettori) nel 1935. L'Ellery fittizio di questi primi 'Problemi di deduzione' è un saccente capace di spiccicare paroloni, avvolto in un toga di allusioni classicheggianti e con tanto di pince-nez... in breve un'imitazione ravvicinata di Philo Vance o, come lo definì Manfred Lee in anni più recenti, il più grande presuntuoso con la puzza sotto il naso mai sceso in terra. Per coloro che non amano il Queen del Primo Periodo, un gruppo che apparentemente include gli stessi autori a giudicare dalle interviste rilasciate verso la fine della vita di Lee, questi romanzi sono sterili, privi di vita, esercitazioni spietatamente intellettuali, tecnicamente eccellenti ma privi di ogni traccia di personalità umana, di calore e di emozioni che non siano le passioni della mente. Per quelli che invece amano il Primo Periodo, incluso il sottoscritto e la maggior parte dei Queenofili, questi libri sono splendidi tour de force inventivi e non sono affatto privi di interesse per quanto concerne l'umanità dei personaggi o altri elementi fondamentali ma toccherà ai lettori giudicare”.

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"Il secondo romanzo di Queen, The French Powder Mystery (Sorpresa a mezzogiorno) del 1930, è ancora più sorprendente del primo, almeno sotto il profilo tecnico. Si apre la mattina di martedì 24 maggio, con una riunione ad alto livello della polizia nell'appartamento dei Queen, sull'atteggiamento da tenere contro dei grossi trafficanti di droga, ma poco dopo l'aggiornamento della riunione i due Queen vengono distolti dalla droga (o almeno così sembra) e posti di fronte ad un omicidio. Il cadavere di Winifred Marchbanks French è ruzzolato fuori da un letto pieghevole a muro in una vetrina dei favolosi Grandi Magazzini French, cogliendo piuttosto alla sprovvista tanto la modella quanto la folla che osservava dall'esterno. (…) Se tuttavia i Grandi Magazzini French sono enormi, gli indizi concreti relativi all'omicidio sono minimi. Nella borsetta della donna uccisa c'è un rossetto che non combacia con quello sulle sue labbra. Un pezzo di feltro verde che protegge la parte inferiore di un fermalibri di onice non è della stessa tonalità di colore del feltro sul fermalibri appaiato. Un cappello e un paio di scarpe non si trovano nel luogo in cui dovrebbero essere. Partendo da simili minuzie Ellery forgia una catena di logica ferrea in una scena di crescendo che Anthony Boucher ha lodato come l'epilogo probabilmente costruito in modo più ammirevole di tutta la storia della narrativa poliziesca. Queen tiene nascosto il nome dell'assassino attraverso trentacinque pagine, piuttosto fitte, di spiegazioni, in pratica fino alle ultime due parole del romanzo, un'impresa che non ha praticamente uguali nel genere”.

(continua)