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Visualizza la versione completa : Italiano da dimenticare? O resistenza al plurilinguismo?



Rupert
04-April-2013, 01:08
La proposta di impartire esclusivamente in lingua inglese l'insegnamento nel biennio di specializzazione in alcune facoltà scientifiche italiane ha suscitato grande interesse e preoccupazione ancora maggiore presso i letterati dell'Accademia della crusca. I colti accademici si chiedono se l'insegnamento in una lingua altra dall'italiano no leda le competenze linguistiche degli studenti.

Ecco un'intervista alla professoressa Maraschio, presidente dell'Accademia della crusca.

http://www.edizionidicrusca.it/download2/PDF/308_209.pdf

Mi permetto di delineare il mio punto di vista.
Ho frequentato una facoltà umanistica in lingue diverse dalla mia. I corsi che ho seguito erano impartiti in francese o tedesco ed ho ottenuto una laurea bilingue. Il mio italiano ne è risultato diminuito? Alterato? Acciaccato?

Onestamente non lo so. So che le competenze linguistiche di molti italofoni di formazione accademica sono paragonabili alle mie. Quello di cui invece sono certissimo è che le mie competenze in tedesco e francese ne hanno tratto grande giovamento.
Sono dunque un grande sostenitore dell'insegnamento plurilingue e non solo all'Università. Mi chiedo invece: Non c'è forse un'inspiegabile resistenza all'apprendimento e all'uso di lingue seconde in Italia? L'unità nazionale è così strettamente avviticchiata all'unità e all'unicità linguistica da rendere difficile un'apertura?

Che poi questa lingua seconda debba per forza essere l'inglese è altra questione...

Mauro
04-April-2013, 12:07
La mia personale opinione circa questo argomento è che in Italia c'è un sostanziale immobilismo un po' in tutti gli aspetti della vita che richiedono applicazione e apertura mentale, forse dovuto al fatto che, storicamente, siamo stati dominati da tutti, ma ne siamo sempre usciti indenni salvo attendere l'arrivo del conquistatore successivo, a tal proposito mi torna in mente un brano che a scuola è toccato a tutti studiare che è il coro dall'atto Terzo dell'Adelchi di Alessandro Manzoni.

Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,
Dai boschi, dall'arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l'orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.

Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce de' padri la fiera virtù:
Ne' guardi, ne' volti confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d'un tempo che fu.

S'aduna voglioso, si sperde tremante,
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s'avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
De' crudi signori la turba diffusa
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar;
E quivi, deposta l'usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar.

E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo frugando,
Da ritta, da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d'ignoto contento,
Con l'agile speme precorre l'evento
E sogna la fine del duro servir.

Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioie dei prandi festosi
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier.

Lasciar nelle sale del tetto natio
Le donne accorate, tornanti all'addio,
A preghi e consigli che il pianto troncò:
Han carca la fronte de' pesti cimieri,
Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sonò.

A torme, di terra passarono in terra,
Cantando giulive canzoni di guerra,
Ma i dolci castelli pensando nel cor:
Per valli petrose, per balzi dirotti,
Vegliaron nell' arme le gelide notti,
Membrando i fidati colloqui d'amor.

Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Per greppi senz'orma le corsa affannose,
Il rigido impero, le fami durar;
Si vider le lance calate sui petti,
A canto agli scudi, rasente agli elmetti,
Udiron le frecce fischiando volar.

E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D'un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All' opere imbelli dell'arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.

Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l'antico
L'un popolo e l'altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D'un volgo disperso che nome non ha.

Tutto questo mi serve a dire che la difesa della lingua è forse una sorta di debole autodifesa da una forma di invasione straniera che, non assumendo più l'aspetto delle falangi guerriere, si è trasformata in una imposizione di usi, costumi, e lingue che poco hanno a che fare con le nostre tradizioni (un esempio banale che mi viene da citare è il festeggiare anche qui Halloween senza nemmeno sapere di cosa si tratti realmente).
Ma c'è anche, più banalmente, la classica indolenza latina che nel suo fatalismo ci fa pensare che tutto sommato ci si è sempre arrangiati e alla fin fine ci si arrangerà sempre, dimenticando che arrangiarsi significa adattarsi a un destino deciso da altri che invece hanno ben altra determinazione.

Rupert
04-April-2013, 12:55
E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D'un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All' opere imbelli dell'arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.

Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l'antico
L'un popolo e l'altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D'un volgo disperso che nome non ha.

Tutto questo mi serve a dire che, forse, la difesa della lingua è forse una forma di debole autodifesa da una forma di invasione straniera che, non assumendo più le forme delle falangi guerriere, si è trasformata in una imposizione di usi, costumi, e lingue che poco hanno a che fare con le nostre tradizioni (un esempio banale che mi viene da citare è il festeggiare anche qui Halloween senza nemmeno sapere di cosa si tratti realmente).


Quella che descrivi è l'immagine di un'Italia che non c'era ancora, divisa in mille stati, altrettante lingue (o dialetti) ed altrettante culture politiche. È l'idea risorgimentale dello straniero invasore. Immagine assolutamente necessaria a quel tempo, non a caso citi il Manzoni, che ha lavorato una vita per dare basi comuni all'italiano inteso come lingua degli italiani.
Ma oggi siamo ancora a quel punto?
Il tedesco, il francese, lo sloveno, ma anche il sardo il ladino, il francoprovenzale e chi più ne ha più ne metta, sono lingue parlate da italiani in Italia, eppure misconosciute e generalmente neglette, se non bistrattate.
È ancora da fare quest'unità d'Italia? È ancora considerato pericoloso "fraternizzare con lo straniero", anche se questo straniero ha lo stesso passaporto ed il confine nazionale ha perso importanza con la formazione dell'UE?

O forse è proprio come dici tu. Ci si accontenta d'arrangiarsi. Ma questo -ed è paradossale, ma vero- condanna inesorabilmente al declino proprio la cultura e la lingua italiane.

Sir Galahad
04-April-2013, 13:25
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È ancora considerato pericoloso "fraternizzare con lo straniero", anche se questo straniero ha lo stesso passaporto ed il confine nazionale ha perso importanza con la formazione dell'UE?
Ma questo -ed è paradossale, ma vero- condanna inesorabilmente al declino proprio la cultura e la lingua italiane.

Io lo sto ripetendo da anni. L'Italiano da un lato non si rinnova stilisticamente e dall'altro sta perdendo i contatti con le proprie radici.
È una situazione allarmante.

Voce di colui che grida nel deserto